Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 27 dicembre 2012

Budd(h)ismo o dell’illuminazione illusa




Il mio inizio buddista è stato tutto fuorché casuale. Da sempre affascinato dalle religioni orientali, quando ho saputo che una mia amica praticava una specie di buddismo giapponese mi ci sono fiondato, come si dice. Era da un po’ di tempo che la vedevo cambiata, più sicura di sé, meno casinista e più concreta, ma lì per lì non ci avevo fatto troppo caso.
Il motivo per cui mi sono voluto buttare nel buddismo era che, pur ritenendomi ormai irrimediabilmente ateo, avevo una fame di spiritualità non appagata. Volevo qualcosa che desse un senso al tutto e che, in più, funzionasse. Il cambiamento della mia amica e la promessa che situazioni concrete trovassero soluzioni meravigliose, mi fecero decidere al grande passo (per me) di fidarmi di una qualche dottrina.
E così, un bel giorno di maggio 1988 ho iniziato a recitare il mantra e a imparare il libretto del sutra. Gongyo e daimoku e Nam Myoho Renge Kyo. Il Buddismo, senza acca, di origine giapponese.
Per raccontare tutto quello che ho vissuto e sperimentato ci vorrebbero pagine e pagine. Sono rimasto nell’universo della Soka Gakkai, questa apparentemente perfetta organizzazione laica buddista, da praticante indefesso (cioè costante fino al masochismo) fino al 2002.
Devo dire che i primi anni sono stati belli. Conoscevo un sacco di persone, visitavo un sacco di posti nuovi, il mio umore (loro lo chiamano stato vitale) era quasi sempre buono. Stavo bene, veramente. Ero giovane, mi divertivo. La pratica mi dava la possibilità (o l’illusione) di potere risolvere qualunque problema della vita quotidiana mi si parasse davanti.
Più o meno velocemente i miei amici di prima del buddismo sparirono per lasciare il posto a nuovi amici, tutti buddisti, ovviamente. Era una cosa naturale, che chi non condividesse con me la gioia della “verità assoluta”, dopo un po’ sparisse. 
Per come sto descrivendo la faccenda, tutto sembra essere il deliro di un malato e in certo senso può essere così, ma è veramente difficile spiegare la fascinazione assoluta che mi aveva pervaso, per questa pratica. Mi sembrava di aver trovato la risposta a tutte le mie domande: perché la mia vita è così come è? Perché molti si danno da fare e non ottengono mai nulla? Perché al mondo c’è tutta questa sofferenza? Esiste una vita dopo la morte? Ecc, ecc.
Mi sono reso conto di questa fascinazione assoluta soltanto dopo che me ne sono tirato fuori.

venerdì 21 dicembre 2012

Ogni giorno è buono per la fine del mondo




Si fottano i Maya. Erano un popolo tutto sommato atroce, beota, schiavista e dedito ai sacrifici umani. No, i Maya con i loro calendari sono già giustamente fottuti da secoli. Fottiamoci noi, con il nostro continuo, esasperato ed esasperante bisogno di crearsi miti, profezie, manie religiose, superstizioni e allucinazioni di massa.
La razza umana è, nel complesso, allucinata: vive cioè in uno stato di continua allucinazione. Il sistema capitalista stesso non è forse una folle chimera che costringe miliardi di esseri a correre come automi su e giù per una astrazione come il denaro?
Senza rivelazioni strepitose non sappiamo vivere. Cerchiamo catastrofi che ci tolgano il sonno, o di cui possiamo ridere, inferni a cui sfuggire affidandoci a tutti i tipi di déi, e non vediamo la catastrofe reale che stiamo preparando con le nostre mani: sovrappopolazione e cambiamenti climatici saranno i protagonisti veri di questo XXI secolo.
Ma noi, da bravi animali addomesticati dall’abitudine, andiamo avanti come se nulla fosse. In questo non siamo tanto diversi dai gorilla, con i quali condividiamo, dopotutto, il 95% del genoma.
Eppure, senza una chiara consapevolezza di cosa siamo, che ruolo abbiamo in un universo inesprimibile, immenso, inospitale, senza capire cosa possiamo fare, non possiamo dirci umani: siamo solo un’occasione mancata.
In questo senso è vera la frase stampata sulla maglietta di quel ragazzo che qualche anno fa fece una strage di ragazzini all’interno di una scuola finlandese: Humanity is overrated, l’umanità è sopravvalutata.
Purtroppo l’impotenza genera questo tipo di rabbia e frustrazione incontrollabile.
Le masse si stanno avviando, giorno dopo giorno, a un simile livello di impotenza autodistruttiva. È il sistema stesso allucinatorio che le conduce. L’allucinazione conduce alla distruzione, inevitabilmente.
L’allucinazione non è una caratteristica solo delle masse: le élite stesse sono allucinate.
Non esiste complotto più grande della stupefacente idiozia di chi comanda, altro che NWO o stronzate simili … ciechi che sfruttano altri ciechi.
È difficile uscire dall’impasse. La consapevolezza è un’ardua conquista, che ai più non interessa, in quanto implica una solitudine feroce, glaciale. Niente superuomini che salvano il mondo, solo qualche migliaio di sfigati dietro a uno schermo e una tastiera, sprizzano scintille di luce nella notte del web, in compagna dei grandi del passato, ridotti a fantasmi digitali.
Mentre fuori dalla stanza il mondo continua la sua corsa indifferente, si cerca di classificare e riordinare in sempre nuovi schemi di percezione quello che si crede di aver compreso.
Nella stra – abusata frase di Marx, che più che comprendere il mondo si tratta di cambiarlo, c’è celato il seme della nostra impotenza.
Noi crediamo di comprendere il mondo molto più di quanti i nostri nonni o bisnonni comprendessero: quello che è venuto a mancare completamente è la possibilità di creare di una società diversa, più giusta, umana ed equa. Il popolo televisivo vive nell’allucinazione collettiva che basterebbe apportare alcuni cambiamenti perché le cose come stanno funzionino.
Ma il fatto è che questo non è vero e non sarà mai vero. Le cose come stanno sono maligne, mal funzionanti strutturalmente, inumane. Sono ontologicamente sbagliate.
Il vero schiavo, si dice, è chi acconsente incondizionatamente alla propria schiavitù.
Chi non acconsente, chi sa, pur se schiavizzato, non è schiavo. Una scintilla c’è ancora nei suoi occhi.
Non c’è possibilità imminente di una rivoluzione. Nemmeno si è in grado di capire come potrebbe essere questa rivoluzione. Forse non accadrà mai.
Eppure, per chi sa, ogni giorno è buono per la fine del mondo. Chi sa, vive, al massimo delle sue percezioni, resta più umano che può. Anche se costretto a una parte indigesta nel teatro di questa società, rimane vigile, pronto, nell’incessante attesa che tutto crolli come deve crollare.

lunedì 17 dicembre 2012

Argonauta




SE CI SI MESCOLA SI MUORE. 
SE NON CI SI MESCOLA SI MUORE.
DA SOLI SI MUORE. INSIEME SI MUORE.
DI GUERRA SI MUORE. DI PACE SI MUORE.
DI VERITA’ SI MUORE. DI MENZOGNA SI MUORE.
DI VITA SI MUORE.
I tuoi sogni siano lievi.
La tua lotta ti dia onore.
Shanti shanti shanti.     
 E IN CULO AI BLOG LETTERARI         
LA FINE DEL MONDO E’ VICINA E VOI SIETE STRONZI
LA FINE DEGLI STRONZI E’ VICINA E VOI SIETE IL MONDO
STALIN E HITLER AVEVANO I BAFFI MA STALIN CE LI AVEVA PIU’ GROSSI
DI VERITA’ SI MUORE. DI MENZOGNA SI MUORE.
DI VITA SI MUORE.
La tua lotta sia lieve.
I tuoi sogni ti diano onore.
Voglio che funghi atomici brillino su Montecitorio.
Fall out sul Quirinale
VOGLIO CHE GLI OCCHI VUOTI DEL MINISTRO DEI POMPINI SI CHIUDANO SU QUESTO SQUALLORE
VOGLIO AMARTI FINO A RENDERTI IMPOSSIBILE
VOGLIO CHE PROIETTINO CARTONI ANIMATI SUL CIELO DI ROMA PER I PROSSIMI CINQUANTAMILA ANNI
VOGLIO UN VOGLIO DEFINITIVO
SPEZZEREMO LE RENI ALLA GRECIA
SPEZZEREMO GLI EURO ALLA GRECIA
SPEZZEREMO
SPEZZEREMO IL PANE COMPAGNI
DATE UN BACIO AI VOSTRI BAMBINI
E DITE CHE QUESTO E’ UN BACIO DI SATANA
CHE ULULINO DAL TERRORE
CHE ULULINO
ULULINO
COME UPUPA ABBANDONATE
COME CAROGNE INFESTATE DI VERMI
VERMI CHE URLANO
WERMACHT per le strade
LA FINE
LA FINE E’ solo un po’ PIU’ DURA
SE VIENE DAGLI AMICI
PER QUEL CHE VI IMPORTA
QUESTO VINO POTREBBE ESSERE IL MIO SANGUE
QUESTO PANE IL MIO CORPO
IL SOLE DISTA DALLA TERRA OTTO MINUTI LUCE
NON BASTERANNO I FONDI
NON BASTERANNO I BOND
NON BASTERA’ LA TERRA INTERA
NEMMENO SE DIVENTASSE PIATTA
TUTTO BRUCIATO DAL FUNGO
IL FUNGO DEI TERRORISTI
CHE NON ESISTONO
TI HO SEMPRE AMATO
E QUANDO DICO SEMPRE
INTENDO ALMENO DAL VENTESIMO SECOLO
TI CERCO TI VENGO A CERCARE
SULL’ONDA DI UNA CANZONETTA POPOLARE
E ANCHE SE PIOVE
FUORI C’E’ IL SOLE
NON ERO NATO
EPPURE C’ERO
COMPAGNA
COMPAGNO
DAMMI LA MANO
BIAFRA DALFUR
CONNECTICUT
LA MIA BUSTA PAGA PRESENTA
UNA NUOVA ALIQUOTA
DA SOLI SI MUORE. INSIEME SI MUORE.
ET IN ARCADIA EGO
TI PORTO NEL CUORE
PER TE HO STRAPPATO ALLE BANCHE
I LORO MUTUI SOSPIRI
E ANCORA ADESSO IO VOLO
COME GAGARIN
IN ORBITA INTORNO ALLA DISPERAZIONE
TI PORTO NEL CUORE
E TI ACCAREZZO IL VISO
TI BACIO LA BOCCA TREMANTE
ESCO NEL MATTINO
AFFRONTO LA MACELLERIA SOCIALE
COME UN QUARTO DI BUE IN PERCENTUALE
TI PORTO NEL CUORE
TI BACIO LA BOCCA TREMANTE
ESCO NEL MATTINO
SEGNALE ORARIO
COME GAGARIN
IN ORBITA
LA TERRA E’ BLU COMPAGNI
LA TERRA E’ BLU
PER QUEL CHE VI IMPORTA
IL SOLE DISTA DALLA TERRA OTTO MINUTI LUCE
E LA MIA BUSTA PAGA PRESENTA
UNA NUOVA ALIQUOTA
ESCO NEL MATTINO
ESCO NEL MATTINO
ESCO NEL MATTINO
LA FINE DEL MONDO E’ VICINA E VOI SIETE STRONZI
LA FINE DEGLI STRONZI E’ VICINA E VOI SIETE IL MONDO
ESCO NEL MATTINO
ESCO NEL MATTINO
ESCO NEL MATTINO

mercoledì 28 novembre 2012

Mercy Street, 45



Ho voluto (ammetto, forse un po' troppo poco modestamente) cimentarmi nella traduzione di questa poesia della Sexton. Da non amante della poesia (anche per i miei trascorsi di frequentatore di poeti), amo tuttavia da sempre la Sexton, come pure molta produzione anglosassone. Il problema come sempre è nelle traduzioni. Ho optato per il fai da te, e l'inghippo è sicuramente in agguato. Questo testo è straordinariamente difficile da rendere. Specialmente la frase finale mi ha fatto dannare. 
Spero abbiate comprensione e che nonostante il dilettantismo, qualcosa di questa lirica, densa e desolata, sia passato. 

Nel mio sogno
reale fino al midollo
cammino su e giù per Beacon Hill
cercando un cartello stradale,
Mercy Street.
Non c’è.

Provo per Back Bay.
Non c’è.
Non c’è.
Eppure conosco il numero,
Mercy Street, 45.
Conosco il vetro colorato
della finestra nell’atrio,
le tre ali della casa
con il parquet sui pavimenti
Conosco i mobili e
Mamma, nonna e bisnonna e servi.
Conosco la credenza con gli Spode*,
la vaschetta del ghiaccio, argento solido,
dove il burro posa in bei quadrati,
come strani denti di gigante,
sul grande tavolo di mogano.
Lo conosco bene.
Non c’è.

Dove siete andati?
Mercy Street, 45,
con la nonna inginocchiata
nel suo corsetto di stecche di balena
che prega, a bassa voce, ferocemente,
davanti alla bacinella,
alle cinque del mattino
a mezzogiorno,
sonnecchiando sulla sedia a dondolo
il nonno schiaccia un pisolino nella dispensa,
la nonna suona il campanello per la cameriera, di sotto,
e Nana culla Mamma, con un fiore gigante
sulla fronte, per coprire un ricciolo
di quando era buona ed era …
E là, dove fu concepita,
e, dopo una generazione,
me, 
la terza che avrebbe concepito,
un fiore di nome Orrido, sbocciante
da un seme straniero.

Cammino con un vestito giallo
e una borsetta bianca piena di sigarette,
pillole, portafogli, chiavi
e ho ventotto anni, o quarantacinque?
Cammino. Cammino.
Accendo i fiammiferi ai cartelli stradali,
perché è buio,
scuro come pelle morta
e ho perso la mia Ford verde,
e la mia casa nei sobborghi,
e due bambini piccoli
succhiati via come polline dall’ape che sono,
e un marito,
che si è seccato gli occhi
per non guardarmi più dentro,
e cammino e guardo
e non è un sogno,
ma solo la mia vita,
dove le persone sono alibi
e la strada è perduta
per sempre.

Indosso gli occhiali scuri.
Non mi importa.
Imbullona pure la porta, pietà,
cancella il numero,
strappa via i cartelli stradali.
Cosa può contare,
cosa può contare questa spilorcia che sono,
chi lo vuole un passato,
che uscì da un morto battello
lasciandomi solo della carta?

Non c’è.

Apro la borsetta,
come fanno le donne,
e pesci nuotano avanti e indietro
tra le banconote e il rossetto.
Li afferro uno per uno
e li getto ai cartelli stradali,
e lancio la borsetta
nel fiume Charles.
Poi tiro fuori il sogno
e lo getto sul muro di cemento
dello stupido calendario
in cui vivo
la mia vita,
e i suoi faticosi
taccuini

Anne Sexton 

* Una tipica porcellana inglese, credo.

lunedì 19 novembre 2012

La rivolta degli Straccioni



Il venti maggio 2014, una folla di migliaia e migliaia di persone inferocite, unite dall’unico pensiero che i politici abbiano colpa di tutte le loro sofferenze, un pensiero del resto non molto lontano dal vero, marcia compatta, come si dice, verso il palazzo del governo.
A nulla serve che la polizia spari lacrimogeni ad altezza d’uomo, a nulla serve che decine di morti rimangano a coprire di sangue l’asfalto delle strade, a nulla serve qualsiasi tipo di discorso dei leader dei partiti.
Noi vogliamo quello che ci avete tolto, urlano gli Straccioni.
Noi vogliamo quello che avete voi.
Noi vogliamo la felicità che voi avete solo perché l’avete tolta a noi.
Voi ci avete condannato all’inferno.
Noi vi condanneremo ad assaggiarlo questo inferno. Così urlano dai megafoni gli Straccioni e subito dopo entrano nel palazzo del governo e massacrano indiscriminatamente, come si dice, tutti quelli che trovano.
In quel terribile giorno di maggio duecentoquindici deputati di tutte le fazioni politiche e tredici uscieri vengono trucidati a colpi di ascia, spranghe, coltelli, pistole, alcuni vengono impiccati ai lampioni del cortile interno, altri gettati dalle finestre e solo verso sera l’esercito ha ragione degli Straccioni a colpi di cannone e mitragliatrice.
Il risultato di una simile giornata è la cifra di seicentotrentotto vittime, tra deputati e rivoltosi. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’esercito americano, assieme ai membri del governo superstiti assumono il comando provvisorio di emergenza del paese e  proclamano la legge marziale. In nessun caso è possibile permettere che quello che è successo in Italia possa estendersi e dilagare in qualche altro paese europeo o del mondo. Tutto deve finire qui e ora. E la punizione per i ribelli deve essere esemplare.
Cominciano gli interminabili processi agli Straccioni che vengono trasmessi in diretta dalle TV di tutto il mondo. Viene invocata la pena di morte per i più irriducibili, come si dice, che sono neri, albanesi, rumeni, molti italiani disoccupati. Il novanta per cento di questa gente è di sesso maschile. Da qui nasce un’altra furibonda protesta sul fatto che la violenza ha sempre origine maschile e che il potere maschile non protegge abbastanza le donne. Nei disordini scoppiati dall’inizio dell’anno le vittime donne hanno superato il centinaio ma, nonostante nella maggior parte dei casi queste donne siano state uccise negli scontri con la polizia, la colpa di questa violenza maschile ricade sui rivoltosi sconfitti.
Quindi questi criminali nemici dell’umanità, questa macchia inaccettabile in una Europa pacificata da quasi settant’anni, come dice il capo del governo scampato miracolosamente al massacro, questi rimasugli di una sanguinosa epoca ideologica e maledetta, devono essere eliminati. Ci sono diversi problemi per realizzare questo obiettivo. Il primo problema è che la pena di morte non è più prevista dalla legge fin dalla fine della seconda guerra mondiale. Occorre dunque fare una revisione totale del codice penale con il rischio di tornare indietro di un secolo nell’ambito dei diritti civili. Ci sono discussioni etiche interminabili, come si dice.
Ciò che resta del governo, però, vuole fare piazza pulita degli Straccioni. E anche la cosiddetta gente comune, che sotto sotto ci ha goduto nel vedere massacrati a colpi d’ascia e spranghe certe facce che per decenni sono apparse in televisione a dire sempre le stesse stronzate, anche la gente comune, ne ha abbastanza. Vuole pace e ordine. Vuole vedere sparire gli Straccioni. Vuole godersi le esecuzioni capitali in diretta da casa.
Troppa violenza per le strade, pensa la gente comune, ora basta, lo spettacolo è durato troppo. Il secondo problema è che molti dei rivoltosi sono  stranieri, per lo più senza permesso di soggiorno.
Il governo è inflessibile. Italiani o stranieri, devono essere puniti con la morte per quello che hanno fatto a un governo democratico di un paese democratico.
Attraverso una procedura paradossale, dovuta al timore che qualcosa di simile a quello che è successo il venti maggio possa ripresentarsi in qualsiasi altra democrazia europea, gli Straccioni vengono equiparati ai terroristi internazionali e processati da un tribunale internazionale per crimini contro l’umanità.
I governi dei paesi di appartenenza, non possono e non vogliono impedire il processo ai danni dei loro concittadini. Tutti i governi sono unanimi. Mai più, mai più si deve verificare la possibilità che la popolazione più povera e dunque moralmente più debole e influenzabile da ideologie distorte, come dice il presidente degli Stati Uniti, possa aggredire fisicamente un governo democratico. I governi romeno, albanese, senegalese, marocchino, filippino, peruviano, ecuadoreño accolgono la decisione del tribunale internazionale senza batter ciglio. Solo i governi scandinavi avanzano delle riserve ma non vengono minimamente ascoltati. L’unica condizione che viene posta dagli altri governi è che l’esecuzione deve avvenire in territorio neutro e che gli esecutori siano cittadini dei paesi coinvolti.
La cosa viene accordata in fretta. I governi democratici o meno democratici di Europa, Africa e Sud america si mettono d’accordo alla svelata.
I rivoltosi vengono tutti condannati a morte per fucilazione.
Alcuni rivoltosi italiani riescono a farsi convertire la pena dalla fucilazione all’ergastolo. Tutti quelli stranieri invece sono spacciati. La comunità internazionale grida all’ingiustizia ma la cosa viene messa presto a tacere con il pretesto che i fatti del venti maggio, anche se riguardano nello specifico il governo di un solo paese, sono in realtà una minaccia potenziale per qualunque governo del mondo e quindi di competenza internazionale.
Il governo più danneggiato ha la precedenza nel giudizio finale di clemenza. La polemica non si sgonfia così facilmente e anzi rischia di far mandare a monte tutta la faccenda e allora il governo italiano fa marcia indietro. Verranno risparmiati dall’esecuzione capitale solo dieci ragazzi e tre ragazze, tutti ancora minorenni. Gli altri italiani verranno fucilati assieme agli altri.
I membri dei diversi plotoni di esecuzione vengono presi dall’esercito albanese, rumeno, peruviano, ecuadoreño, senegalese. Per solidarietà anche il governo americano e perfino quello iraniano offrono plotoni di esecuzione per gestire la faccenda in maniera più neutra possibile. Il governo israeliano offre un plotone specializzato in esecuzioni per manifestare la solidarietà con la democrazia messa in pericolo dalle rivolte popolari.
È una vera rivoluzione sociale. Anche fazioni che si sono fatte la guerra fino a poche settimane prima, si riunisce in concordia per condannare a morte gli Straccioni.
Le TV di tutto il mondo riprendono i plotoni israeliano e iraniano fianco a fianco, mentre caricano i fucili, puntano e invece di mirare gli uni addosso agli altri, sparano contro i rivoltosi Straccioni legati ai pali.
Quando i corpi legati sobbalzano sotto i colpi e si afflosciano, un boato di applausi, come si dice, esplode nelle piazze dove sono allestiti i maxischermi che permettono a migliaia di persone di assistere all’evento.
La pace è finalmente scesa sul mondo. La democrazia del nostro paese e, di conseguenza, la democrazia di tutti i paesi del mondo, è salva. Il sangue dei rivoltosi viene velocemente ricoperto di segatura.

Quando i rivoltosi del venti maggio sono stati passati per le armi, una bella mattina di giugno, durante una diretta televisiva trasmessa dal cortile di una prigione in disuso nell’isola di Pianosa, il movimento degli Straccioni ha cominciato a mangiare sé stesso. Quando milioni di persone avevano visto sui loro schermi i plotoni di esecuzione scaricare pallottole su decine e decine di uomini legati ai pali, quando hanno visto le figure legate afflosciarsi a terra, hanno provato un doppio brivido dovuto all’eccitazione della morte violenta e al pensiero tremendo che dopo questo passo indietro di civiltà l’Europa e il mondo avrebbero fatto molta fatica a tornare a un livello accettabile di convivenza civile. Ma il terrorismo, la ferocia inaccettabile di chi usa la violenza per distruggere le fondamenta della nostra vita, deve essere combattuta con fermezza e senza inutili e fuorvianti sentimentalismi, ha detto il capo del governo.
Anche il Vaticano ha approvato tacitamente, come si dice, le esecuzioni, pur pregando per le anime irrequiete di queste persone che non hanno avuto, come dice il papa, rispetto per i ruoli sociali che sono la base della civiltà cristiana.
L’attaccamento alle cose materiali come il vile denaro, ha detto il papa apparso con il suo vestito bianco dalla sua solita finestra , l’attaccamento alle vuote aspettative del più vile consumismo, il mille volte sciagurato attaccamento a ideologie pseudo libertarie che la storia del novecento ha già ampiamente condannato e che niente hanno a che fare con la verità di Cristo, hanno portato a questa iattura che affligge oggi la società.
La civiltà come la conosciamo corre grave pericolo oggi, ha detto il papa. Non possiamo permetterci debolezze nel condannare il terrorismo ideologico, anche se bisogna implorare il perdono di Dio su queste povere anime.
Il presidente degli Stati Uniti ha approvato completamente le parole del papa e anche il presidente della Russia e quello della Francia e quello della Gran Bretagna e così via. E così il movimento degli Straccioni, passato alla più assoluta clandestinità, condannato agli occhi del mondo, si è dissolto nel nulla.
Nel giro di poche settimane i poveri hanno smesso di prendersela con i ricchi e hanno ricominciato a prendersela tra di loro, come è sempre stato.
L’ordine delle cose è stato ristabilito da adesso fino allo spegnimento del sole.
Il mio paese è diventato l’avanguardia di un nuovo movimento sociale nel quale i ruoli sono sacri e inviolabili.
Dio lo vuole. Il potere lo vuole. I poveri stessi lo vogliono.
Proteggeteci da noi stessi, dicono i poveri ai governanti.
Diteci cosa dobbiamo fare e lo faremo.
Per tutti i secoli dei secoli, amen. 

mercoledì 14 novembre 2012

È tutto lo stesso




Perché queste Cronache babilonesi? Perché mi trovo sempre a scrivere dall’orlo del’abisso. Perché vorrei sapere qualcosa e non so nulla di nulla. Perché sono bombardato da informazioni in misura massiccia e la mia vita si rattrappisce in risposta.

Sono pienamente consapevole di ogni mio mutamento, come pure del ridicolo insito in esso, eppure non riesco a fare affiorare nessuna descrizione certa di quanto mi accade.
Nella mia vita sono stato:
Buddista
Ateo
Negazionista
Possibilista
Spiritualista
Comunista
Materialista
Agnostico
Mistico
Fondamentalista
Catastrofista
Complottista
Anti complottista
Individualista
Collettivista

Ondate successive di pensiero mi hanno colto e mi hanno mutato. Una ondivaga inquietudine mi porta da una parte all’altra dello spettro cognitivo. Non mi convinco mai di nulla perché so che non c’è un posto dove mi posso fermare.
L’unico porto sicuro è il senso del mio corpo un po' indolenzito.

Ora cosa sono? La mia fase attuale si può definire in una sorta di disillusione incantata.
Sono disilluso da una vita che rimane un mistero che incanta.
Sto imparando a vivere. Ecco una frase che non significa nulla. Che vuol dire “imparare a vivere”? Si impara a nuotare, non a vivere. Se dici che stai imparando a vivere ti stai riferendo a qualcos’altro.
Si impara piuttosto a lasciare andare: schemi mentali, costruzioni ideologiche, rivestimenti bizzarri, idee fisse, sottrazioni di immagini sovrapposte alla realtà. Si impara a disimparare.


Non c’è un fatto al quale posso aggrapparmi, una fede definitiva che posso abbracciare, sono intriso di impermanenza.
Lascio fare alla mia vita, che conosce ciò di cui ho bisogno più di me stesso. Cerco solo di essere consapevole senza che questa consapevolezza mi paralizzi.
Che vuol dire “lascio fare alla mia vita”?
Forse che per vita intendo un superiore istinto di conservazione? Sì, può darsi.
La vita è una colossale strategia di sopravvivenza. Non sempre, certo.
A che pro cercare di sapere qualcosa?
Il fatto è che se anche non vuoi credere, la credenza si insinua e informa di sé i tuoi atti.
Allora bisognerebbe coltivare il distacco del frutto dall’atto. Sarvakarmaphalatyaga
È un termine buddista.
Significa agire senza cercare soluzioni, meriti, frutti, doni. Agire e basta. Oppure non agire e basta.
Sentire la libertà di questo concetto. Sentire il Vuoto, il Non Condizionato, forse l’estrema delle illusioni. Se non sei condizionato puoi essere qualunque cosa, fare qualunque cosa. 
È tutto Vuoto. Non c'è più niente da temere, né la crisi, né la disoccupazione, né la morte.
È lo stesso, dice Thomas Bernhard. È tutto lo stesso, dice ne La cantina. 
Qualunque cosa facciamo, è lo stesso.
È difficile da accettare, quasi impossibile, perché i nostri condizionamenti culturali ci portano a vedere un mucchio di differenze in quello che facciamo. Va bene così.
Ma se arrivi a percepire il Vuoto, la tua vita cambia. Esternamente sei lo stesso. Mangi, lavori, scopi, pisci, caghi, ti formi delle opinioni, ti incazzi, aggiusti le cose che si rompono (se ci riesci), paghi le bollette, porti la macchina dal carrozziere.
Ma dentro si è creato un distacco. È tutto lo stesso, ti dici, e sei diventato in grado di divertirti. Ti diverte lo spettacolo di te stesso e degli altri che si danno un gran daffare.
Ballerini che si muovono a scatti sul gran palcoscenico, rivolti in mille direzioni diverse.
Allora ridi di più. 
Puoi perfino trovare soluzioni apparenti a problemi apparenti

giovedì 8 novembre 2012

Nuovi appunti dal futuro




La vita è un messaggio, da qualcuno a qualcun altro. Un messaggio quasi sempre frainteso. Questo è tutto.

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Massima sincerità. Che vuol dire? Che ancora non ti sei trovato.

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La gioia di vederla sorridere, salutare e andare via. Non sia profanata da una assurda confidenza. Ormai godo solo della lontananza.

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Stupore di osservare come le persone desiderino essere in potere di qualcun altro. È una continua, sotterranea ammirazione per chi ci tiene per le palle. Vogliamo servire. Anzi, dovrei dire vogliono servire. Io, da quanto mi posso ricordare, non ho mai desiderato servire, né tanto meno essere servito. È forse questo il motivo della mia assoluta estraneità a questo mondo.

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Ogni cosa, ogni fenomeno, una persona, il mare, una montagna, mi lascia sempre dentro un senso di assoluta estraneità. È passato il tempo in cui le cose entravano dentro formandomi un’anima. Ora, tutto quello che mi circonda è strano, irreale. Proseguo nella vita quotidiana attraverso degli automatismi. Spesso rispondo anche appropriatamente agli stimoli esterni, come un navigatore esperto che sa indovinare le correnti.
Tuttavia il gioco dell’esistenza non fa più presa su di me. A tratti, però, affiora il ricordo di felicità passate, di antichi coinvolgimenti. Non è però il ricordo di avvenimenti precisi, che pure ci sono stati: no, è proprio il ricordo della sensazione. Io fui felice. È strano come ciò che mi procurò tanta felicità sia scomparso lasciando solo la sensazione.
Altre volte mi accade qualcosa di simile alla memoria involontaria.
Invece della madeleine di proustiana origine, un odore, un sapore, mi riportano a qualcosa di straordinariamente importante per me … ma non riesco a ricordare cosa.
Continenti immensi di passato giacciono dentro la mia anima e non so riviverli.
Se riuscissi a raggiungerli vivrei la vita dell’eterno presente.
È proprio il tempo perduto che più non si trova.

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Ogni anno ci sono un milione di suicidi in tutto il pianeta. Praticamente una persona su settemila si toglie la vita. Vuol dire che tra le migliaia di persone, corpi, facce, vestiti, che vedi in metropolitana, in strada, su una spiaggia, al lavoro, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ce n’è sicuramente qualcuna che ha già deciso e che lo farà.
Quante persone sfiorandoti, ti hanno detto addio. Non lo saprai mai.

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Non mi interessano problematiche sociali, svolte dal punto di vista di una certa ideologia.
Mi interessa l’uomo, nella sua interezza. L’uomo che scopre se stesso, l’uomo che scopre il proprio mistero, andando oltre la maschera del consumatore – consumato.
L’uomo che dice no. La maniera in cui dice no. I mille ripensamenti, le sconfitte che fanno vacillare questo no, per poi riprendersi (o non riprendersi mai).
L’uomo in rivolta, per dirla con Camus, più Lo Straniero. Ma Camus è il novecento. E il novecento, con tutto il rispetto, ormai è morto, un po' come è morto Dio  nell'ottocento.
Come si rivolta un uomo, oggi (2012) in piena epoca tardo capitalista, in piena recessione mondiale, in pieno cambiamento climatico, con la diffusione capillare di nuovi mezzi di informazione e di interazione sociale? Come si ribella, come acquista la sua autonomia spirituale, un uomo costretto a vivere in un mondo non più (come ai tempi di Camus) dominato da due fronti contrapposti, ma prigioniero di un pensiero unico, totalizzante?
Come si rivolta un uomo che la Società Unica può privare all'improvviso di ogni mezzo di sostentamento, ogni dignità, ogni contatto, sia pure superficiale, con i suoi simili?
Camus si prendeva troppo sul serio, mi pare. Viceversa l'unica cosa rivoluzionaria è l'umorismo. L'uomo dice no mandando a fare in culo chi parla di cose che non conosce. Fanculo chi parla di povertà e disoccupazione e guadagna 500000 euro l'anno. Fanculo ai poveri che sperano di azzeccare un gratta e vinci. Fanculo alla competitività, alla produttività, allo sviluppo, alle riforme. Fanculo agli intellettuali, ai tatuati, ai reality, ai modelli di vita, alla sostenibilità, la natalità, la globalizzazione.
Ognuno deve inventarsi una prassi. 
Ognuno deve salvarsi da solo, mettendosi a disposizione degli altri. Bisogna vivere un curioso mix di compassione e individualismo. Equilibrio umano. Guardarsi negli occhi, toccarsi. Basta stronzate ideologiche, basta atteggiamenti di superiorità letteraria. Nessuno sa nulla e tutti sanno tutto. Siamo costretti a essere confusi. Scostiamo da parte le merci e guardiamoci negli occhi.
Caos - ordine oscillano su una corda tesa. 
Siamo a Babilonia. 
L'uragano Sandy ci saluta e se ne va.



venerdì 19 ottobre 2012

Piccoli deliri di onnipotenza


Albert Caraco (1919 - 1971). O della lucidità estrema

Io mi barcameno da sempre tra la paura di morire e il desiderio che ci sia qualcosa oltre questa pena. Non credo in nulla e tuttavia non credo di non credere.
Non posso essere coerente, perché non posso decidermi per una visione o l’altra. Ho il vizio e la tentazione di lasciare sempre tutte le porte aperte. Il risultato è che vengo risucchiato da una corrente all'altra.
Mi spiego: da un lato credo (sempre questo fastidioso verbo in mezzo ai coglioni) che Caraco, con la sua esasperata lucidità, faccia una pippa a Cioran e arrivi al punto. Niente illusioni. Da un altro lato io, nella mia vita, ho pur tuttavia sperimentato la cosiddetta felicità. Proprio così, nella mia meschina vita ho potuto assaporare grandi gioie, pur se insieme a dolori atroci. Quindi, so che la felicità esiste.
E questa cosa pende sul piatto della bilancia.
Al di là dell’esattezza filosofica delle sue conclusioni, Caraco, era un uomo assolutamente coerente. Si definiva duro, incapace di piangere. Aveva deciso (a torto o a ragione è inutile discuterne) cosa fosse vero per lui e aveva agito di conseguenza. Questa è virtù, una caratteristica che lo rende membro di una piccola ma potente schiera di uomini tra cui ci mettiamo Montaigne: uomini coerenti con se stessi. Montaigne amava la vita, Caraco no. Entrambi hanno saputo vivere secondo le proprie scelte e hanno saputo morire.
Entrambi avevano coraggio, sia pure applicato in modo diverso.
Il coraggio è sempre la chiave di tutto.
Albert Caraco, uomo di elegante nonchalance, solitario, nomade, aveva deciso di continuare a vivere per “gentilezza verso i suoi genitori”. Dopo la morte della madre, accudì il padre per vari anni, facendogli compagnia e sostenendolo nel dolore per la perdita della moglie.
Il giorno dopo la morte del padre, prese dei sonniferi e per essere proprio sicuro di morire, si tagliò la gola con un rasoio.
Cioran, al confronto, dopo una vita di geremiadi contro l'esistenza e perorazioni a favore del suicidio, è rimasto a farsi cambiare il pannolone, demente per l'Alzheimer.
Coerenza e coraggio di Caraco, mestizia di Cioran.
Non bisogna arrivare agli estremi, o meglio, non è necessario arrivarci, a meno che non si abbia la stessa concezione esistenziale di Caraco.
Io credo, dal canto mio, che la vita sia un mistero pieno di dolore e gioia. Può darsi che sia una che l’altra siano illusioni.
Credo anche che bisogna volere bene, come dice alla fine del libro il protagonista di La vita davanti a sé, di Romain Gary.
Credo anche di cadere troppo facilmente nelle stronzate letterarie. Credo proprio che dovrei finirla qui con le idiozie: comportarmi da adulto, cioè da morto. 
Ma non credo di poterlo fare. 
Sono sempre stato un po' troppo pazzo, senza volerlo. E questa pazzia mi serve, per non morire.
Alla fine bisogna trovare anche la propria dimensione di follia. Vengo attratto da forme vitali che mi affascinano. 
Le vite portate all'estremo della coerenza trovo che siano eleganti, come equazioni matematiche. Folli e dolorose. Uomini pazzi e forti. Non ce ne sono più. 
Oggi nessuno è forte. Nessuno è niente. Forse nessuno lo è mai stato. Almeno, io non lo sono. Inganni e auto inganni. Solo la coerenza fino al fanatismo, nella sua follia, può dare un senso alla vita. Ma il prezzo da pagare è troppo alto. 
Finché si è attaccati alla vita è meglio rimettersi le maschere della finzione sociale. Sotto le maschere la vita palpita, che è  tutto quello che conta. Vivere, vivere, è tutto. 
Mistero, buio, luce. Miseria. Grandezza. 
Ogni cosa è contenuta, in sordina, in queste sterili giornate che viviamo, giorno dopo giorno, lontani da ogni idea di rivoluzione, nel mondo sempre uguale del Capitale.
L'istinto della pazzia, però, rimane.
Dovrei uscire e schiantarmi con la macchina, per vedere se c’è la luce di là.
Dovrei ricominciare a drogarmi. Ricominciare adesso, a 50 anni. Dovrei fare delle orge. Tutte cose già fatte, ma che solo adesso potrei apprezzare pienamente. Allora c'era la smania di accumulare esperienze, anche stupide e improduttive, ora c'è il desiderio di vivere la realtà in un delirio sensuale definitivo. Alla scemenza giovanile è subentrata la decadenza. In fondo è tutto così banale. 
Dovrei fare qualcosa, non so cosa, ma sarà qualcosa di enorme, diceva Re Lear. 
Shakespeare la sapeva lunga sugli uomini. 
Piccoli deliri di onnipotenza. Ogni tanto mi capita. Subentra il pudore, che rimette a posto tutto.
Alla fine solo i pazzi vivono. Per questo dobbiamo custodire la nostra pazzia come un tesoro prezioso. Al giorno d'oggi la pazzia è sprecata. Tutti fanno i pazzi. Pazzo è bello, dicono. Gli spot pubblicitari sono pieni di gente pazza, che crede di essere divertente. 
La gente mediocre finge di essere pazza e invece è solo fastidiosa. Si ubriacano alle feste e si comportano come teste di cazzo. Fanno i goderecci ma dietro le loro facce traspare solo l'idiozia. Tutti osannano i pazzi, ma la pazzia vera è un’altra cosa. La pazzia è osare andare fino in fondo ai propri deliri di onnipotenza e farsi sputare addosso. Farsi crocifiggere e fondare una religione. Abbracciare i passanti. Aspettare l'alba in cima al Krakatoa.
Restare vivi è la vera pazzia. 
Pazzia vuol dire essere posseduti dal dio Pan. 
Pan, da cui deriva panico.
Io soffro di attacchi di panico, so cosa vuol dire essere posseduti da quel dio. 
L'altra faccia della pazzia è il terrore. L'altra faccia dell'ebbrezza è l'incubo. 
Pazzia è pagare il prezzo della propria esistenza. Fottere la merce. Essere un servo che tratta con noncuranza un re. Fare l'equilibrista sopra le frasi fatte. Amare un volto di donna e seguirlo nella folla. Sparare addosso alla televisione accesa.
Andare dovunque, quando non c'è nessun posto dove andare. Nel mezzo del dolore, notare la forma di una grondaia in mezzo alla luce del giorno e sentirsi tranquilli.
Seguitare giorno dopo giorno e dirsi, va bene così, lo rifarei. Anche se non ne posso più. Fino all'ultimo respiro.