“Credetemi, voi che indossate vestiti vivaci: in culture nelle
quali ogni imbecille possiede un’individualità, l’individualità rimbecillisce.”
Karl Kraus
Scott Ross, il grande clavicembalista americano, diceva di Glenn
Gould: “Non ha capito nulla di Bach. L’ho ascoltato attentamente: non ha capito
nulla. Per me, un artista che non appare in pubblico, pone un problema. Almeno
era un tipo che aveva il coraggio di non fare le cose che facevano gli altri.
Nel complesso, era fuori misura, talmente fuori misura che ci sarebbe voluto un
747 per riportarlo indietro. Sono duro con Glenn Gould. Va beh, lui è morto
adesso, non voglio attaccare un collega morto.”
Stupendo. È bello sapere che qualcuno ha detto con cognizione di
causa che Glenn Gould non aveva capito nulla di Bach. È confortante. Smitizzare
è la cosa più importante di tutte. Significa avvicinarsi all’illuminazione. [Ma
che esagerazione. Sono solo opinioni su opinioni. È bello però che niente sia
scontato.]
Importantissimo: non
fissarsi su nessun pregiudizio tipo: natura ostile, nessun significato,
cattiveria cosmica ecc. ecc. ecc. Vivi senza pregiudizi. Il mondo non è ostile
o favorevole, è quello che è. Può apparire ora in modo, ora in un altro.
Banale, ma vero. Non dimenticarlo.
Sei tu che devi addomesticare i tuoi demoni. La natura non
c’entra.
Bukowski
sfotteva gli scrittori che facevano fatica a scrivere. Diceva che se scrivere
era una tortura per loro tanto valeva smettere. Chi si arrovella così tanto poi
scrive roba di merda, diceva. Certo, se uno scrive come Bukowski non ha certo
bisogno di fare tutta questa fatica. Ti metti lì e sproloqui con un certo stile
a destra e a manca su quanto sia dura la vita e in che mondo di merda viviamo.
Lui ci è diventato famoso negli anni 70. Adesso è solo roba muffa.
Nagarjuna: evitare l’idea di essere e non essere. Entrambe errate.
Non c’è eternità e non c’è annientamento. È il linguaggio che è inadeguato,
come dire che è l’uomo a essere inadeguato.
“Ciò che mi sembra bello, quello che vorrei fare, è un libro su
nulla, un libro senza appigli esteriori, che si tenesse su da solo per la forza
intrinseca dello stile, come la terra che si regge in aria senza bisogno di
sostegno; un libro quasi senza soggetto o almeno il cui soggetto fosse, se
possibile, quasi invisibile. Le opere più belle sono quelle che hanno meno
materia; più l’espressione si approssima al pensiero, più la parola vi aderisce
e sparisce, più è bello. Credo che l’avvenire dell’arte sia su questa strada. “
Gustave Flaubert
Mi infastidisce che quell’arrogante ubriacone di Bukowski possa
permettersi di sbeffeggiare Hemingway cui deve praticamente tutto. Dietro
l’ammirazione per John Fante si nasconde la negazione del debito con il vecchio
Hem. Da qui nasce inevitabilmente un giudizio sull’uomo.
Questi che sembrano tutti pensieri slegati, sono invece uniti da
un sottilissimo filo conduttore: Nagarjuna, Flaubert e Hemingway (come pure
Kafka o Tolstoj o Dostoevskij) non sono affatto distanti tra loro. Oriente e
Occidente si tendono la mano attraverso il romanzo moderno. Invisibili l’uno
all’altro.
Sentito giorni fa, diffuso dagli altoparlanti di una Feltrinelli milanese,
Jovanotti urlare “ogni cosa è illuminata” e far seguire davanti al brusio di
una folla acclamante, monologhi interi fatti di sproloqui naturalistici e bei sentimenti
debùt de siécle. Minuti di puro orrore nel comprendere una volta di più fino a
che punto la razza umana è ormai irrimediabilmente perduta.
Non c’è praticamente nulla che io condivida
con il consumatore medio, il cosiddetto uomo della strada. Faccio sempre più fatica a sentirmi membro della specie umana, così come si configura oggi: pur condividendone totalmente la biologia e una delle tante lingue del pianeta, mi chiedo spesso dove sono finiti gli esseri umani, quelli veri, intendo.
Non metterti a sperare. È da idioti.
Una vita senza ossessioni non può esistere. Questa è la sciocca
pretesa di quest’epoca. Normalizzare lo sfacelo. Estendere il pensiero liberale su ogni
scoreggia, fino alla prossima sparatoria. Ipocrisia come istinto di
sopravvivenza. Tanto non tocca mai a noi, è il motto del consumatore moderno.