Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

lunedì 21 ottobre 2013

Reality

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  -        Beh, ma voi siete impazziti.
Sandra: li ho guardati e ho pensato: ma voi siete impazziti.
Federico: Questa ci ha guardato e ci ha detto: ma voi siete impazziti.
Giuseppe: c’era questa donna, capisci, continuava a urlare, siete pazzi, siete pazzi!
-          Taci scema, stanno arrivando, mettiti giù.
Giuseppe: a un certo punto ho dovuto dire a questa isterica: stia giù signora, stanno arrivando.
Federico: qui, capite, eravamo in pieno marasma e questa … come posso dire, questa mentecatta, se ne esce con, ma voi siete impazziti!
Sandra: Questi due … come posso dire, questi due bastardi, mi hanno sopraffatta, ecco. Ho avuto una paura folle.


sabato 19 ottobre 2013

Pensieri nani 9



Essere liberi da ubriacarsi di questa libertà, da averne paura e tremare sperduti di fronte a immense pianure. Eppure berla tutta, fino in fondo.


Essere un uomo del mio tempo e, pur sapendo esattamente e senza dubbio di esserlo, non avere la benché minima idea di che cazzo significhi questo.

Glenn Gould. Tutta un'arte costruita sul difendersi dalla vita. Essere bambino di sé stesso per non dover morire. Perché la morte rivela il corpo nella sua essenza. Di qui la ripugnanza per il qui e ora. Questa ripugnanza si trasforma in un feroce istinto di purezza. Allora ti metti a suonare Bach contro Bach. Riesci a fare di Bach quasi un romantico in nome del più feroce antiromanticismo. Non vuoi mai essere dove sei, eppure in brevi meravigliosi momenti, ci sei, effettivamente e senti la gioia nel corpo, dopotutto. Una intera vita geniale a non voler suonare alcuni tasti e inciamparci sopra, ineluttabilmente, alla fine. 

Sei postmoderno quando non puoi porti certe domande “ontologiche” senza sentirti ridicolo o proiettato in una serie TV americana.

Mi capita, a volte, di sfogliare i blog complottisti.
Sono la naturale metafisica del XXI secolo. Mi rilassano. È confortante sapere che non siamo mai stati sulla Luna, che l’11 settembre è una bufala, che gli Stati Uniti, la massoneria e gli Illuminati sono colpevoli di tutto.
Il complottismo è un’altra religione, l’ennesima di questa epoca tormentata e i suoi adepti hanno un loro codice di linguaggio preciso attraverso i quali si riconoscono.
Intendiamoci, potrebbero avere ragione su qualcosa, magari addirittura su tutto. In fin dei conti anche le “versioni ufficiali” sono una religione. Ma cosa cambierebbe? Al mondo ci vuole più filosofia, più bellezza. 

Al 95% della popolazione mondiale non dovrebbe essere concesso esprimere opinioni. Anzi, no. Dato che il 95% della popolazione mondiale non ha potere di decidere un cazzo, tanto vale lasciarli nell’illusione di avere delle opinioni.

Non c’è niente di più facile e allo stesso tempo difficile che avere una fottutissima opinione.
La gente sembra ragionare bene. Sembra saperla lunga. A citazioni si seguono contro - citazioni. Si sanno delle cose. Apparentemente si sanno delle cose. I complottisti sono degli idioti. Ma lo sono anche gli anticomplottisti.

Ci sono schemi ripetitivi. Succede una cosa e nasce la versione ufficiale della vicenda. Successivamente proliferano versioni che confutano la versione ufficiale. Si crea una bibliografia pressoché sterminata su un fatto e il suo contrario. Esistono versioni ufficiali e confutazioni, glosse e commentari, praticamente su ogni cosa, dalla Bibbia, al Tao, alla politica internazionale, al campionato, ai denti finti di zio Peppino.
Non c’è che dire, in principio era il Logos. Ma anche alla fine e nel mezzo.

Il problema sta nei nessi causali, o meglio, nella nostra incapacità di percepirli e comprenderli.
Questo crea angoscia. L’angoscia si placa erigendo sistemi, di qualunque tipo.

Vivo di surrogati. Intorno a me palpita la felicità e, a volte, la vedo. Ne percepisco l’essenza meravigliosa. Mi rotea intorno ma non la posso essere. Posso solo assorbire qualche goccia della pioggia d’oro. Mi tocca la pelle ed esulto.

Comprendi che il meccanismo è semplice e inesorabile.
Nessuno ha nessuno. Da qui nasce la civiltà.

venerdì 18 ottobre 2013

Tra Destra e Sinistra: gocce di acqua umana



Odio i fascisti di oggi. Quelli di ieri non li ho conosciuti. Odio i comunisti che ho conosciuto. Ipocriti e borghesi più di tutti gli altri messi insieme. Sono quelli che hanno contribuito, anno dopo anno, a quello che c'è oggi, senza battere ciglio. Sono quelli che hanno tradito i lavoratori tante di quelle volte da lasciare senza fiato. 
Sono quelli che nel 1980 volevano picchiare il mio amico M. Aveva detto (candidamente, da quel pazzo che era), durante un’assemblea studentesca, di avere avuto contatti con il Fronte delle Gioventù. Era successo il finimondo. Volevano linciarlo. E pensare che questi compagni così pronti a massacrare il nemico incarnato in un ragazzetto di 18 anni, sono poi diventati tutti dei rotti in culo borghesi, con la lingua attaccata ai soldi.
Solo F., mio professore di storia, ha impedito che picchiassero M., che dopotutto, ripeto, era solo un ragazzo di 18 anni.
F., attuale leader di un microscopico partito che vanta ancora il nome "comunista", è l’unico vero comunista di cui ho rispetto.

giovedì 17 ottobre 2013

Pensieri nani 8


Uomo e verità: un ossimoro.

Donne che si muovono svelte vestite quasi come paggetti medievali.

La gentilezza è così importante.

Una qualche forma di intelligenza pervade tutti, in fondo. Noi siamo Dio, collettivamente. Un dio stronzo, per lo più. Frammenti di questa divinità sbucano da dentro di noi, a volte, nei momenti impensati.

Wittgenstein: il mondo è tutto ciò che accade.
Ma non solo. Il mondo è tutto ciò che accadrà. Che è sempre accaduto. Il mondo è inevitabile.  È la totalità dell’inevitabile.

Vivere è tutta questione di estetica.

Due giorni a casa con febbre, vomito e diarrea per un bel virus influenzale. Non ho provato neanche per un minuto la voglia di leggere o informarmi di qualcosa. Fluttuando nella nebbia della febbre e della debolezza, la mia mente si accontentava di vividi dormiveglia e sogni improbabili a ripetizione. Tutta l’arte, tutta la letteratura, la scienza, erano diventate completamente prive di importanza.
La realtà per quello che è.

Chi cerca Dio, chi la pazzia, chi una ruota di scorta, chi l’anarchia, chi si lascia andare, chi si perfeziona, chi staziona e il circo continua.

Si pretende che ci sia una comprensione finale che non esiste in natura. La mente non ha blocchi finali. Non ci si arriva mai a quel punto e in questo senso, veramente, l’anima è immortale: perché non ha pareti.

Ogni autunno mi sembra di ricominciare a vivere. In fondo io odio l’estate e amo le cose intime e raccolte, la bellezza dei colori autunnali; il grigio tanto odiato da tutti, mi è sempre sembrato un gran bel colore, anche nel cielo.

Se togliessimo veramente tutte le sciocchezze, cosa resterebbe? Penso praticamente nulla.

Sonnambuli. Abbiamo edificato una civiltà senza mai aprire gli occhi.

Non ci sarà mai conciliazione tra “realismo” e “relativismo”, perché entrambe le posizioni sono vere. Non ha senso dire “Dio esiste”, più di quanto abbia senso dire “Dio non esiste”. Questo ormai è un assunto sui cui si può stabilire un punto comune.
“Non esistono fatti ma interpretazioni”, e tuttavia, al di là delle interpretazioni, brillano i fatti. La complessità della vita si dà in primo luogo perché la mente umana è strutturata per strati complessi successivi. La pretesa complessità della vita è, essenzialmente, la pretesa complessità della mente umana.

Siamo alla post filosofia, che dopo il post moderno continua a fare sfracelli nelle menti di chi vorrebbe capirci qualcosa.
Logica fuzzy, matematica dell’infinito. Cantor che smentisce Nietzsche, come dice Borges.
Tutto molto interessante, ma a cosa porta?
Derrida è un mezzo cialtrone (cosa che ho sempre sospettato) e la filosofia analitica ha i suoi limiti.
Eppure niente viene smentito mai completamente. Si deposita, sedimenta e diventa il guano sul quale si scivola mentre si ha una corda al collo.

C’è qualcosa di più umano dell’umano e che è ancora umano. Si rimane animali pronti a mordere anche quando si tratta di analisi filosofiche. Ma questo va bene, nel senso che non è un problema.

lunedì 14 ottobre 2013

Lo straccio



Passa lo straccio. Passa lo straccio.
Passa lo straccio sopra gli interstizi neri delle piastrelle bianche di questo posto bianco e tutto questo bianco si sporca così facilmente, non riesco proprio a capire perché si ostinino a fare queste piastrelle bianche nei bagni dei luoghi pubblici.
Dovrebbero fare le piastrelle nere, così lo sporco non si vedrebbe, ma poi forse non ci sarebbe neanche bisogno di qualcuno che pulisca e allora addio posto di lavoro. Quindi forse è meglio se lasciano le piastrelle bianche anche se le fessure tra una piastrella e l’altra sono sempre nere, è così difficile pulire bene.
Passa lo straccio. Strofina bene. Strofina più che puoi. Questo è il motivo perché sei qui.
Quanto tempo, ormai? Da sempre, si direbbe.
Che poi, una dice, il destino. Io ci credo al destino. Ho bisogno di crederci. Ho bisogno di credere di non avere mai avuto scelta. Perché se mi venisse il sospetto che faccio questa vita perché l’ho scelta io, meglio sarebbe spararsi. Il fatto di non avere avuto scelta mi conforta, in un certo senso. Il destino. Un soffio di vento e voilà, sei qui, un altro soffio di vento e voilà, sei di là. Che meraviglia! Nessuna responsabilità, mai. Mai assumersi una responsabilità.
La responsabilità di una vita, poi… ma che esagerazione!
Che cosa perdi tempo a pensare, pensi sempre a un sacco di cose inutili.
Passa lo straccio, invece. Passa lo straccio.

Queste righe nere tra le piastrelle non vengono mai pulite, per la miseria!
Per me è importante fare tutto per benino, non voglio che nessuno possa dire, ma quella sta qui tutti i giorni e non pulisce nulla! Perché lo dicono, lo so. Non sono mai contenti. Nessuno si accontenta mai del lavoro di un altro, è così. Il lavoro di un altro è per definizione sempre un lavoro fatto male.
Per me no, invece, io rispetto sempre il lavoro di tutti …
Certo ci sono questi stranieri che, si vede, non hanno voglia, ce l’hanno scritto in faccia. Voglia di lavorare, saltami addosso, questi stranieri! Vengono qui a fare chissà cosa, a pretendere chissà cosa, ma sotto sotto, se potessero mollerebbero il lavoro e si metterebbero a ballare o a drogarsi o a bere birra, questa gente beve troppa birra, ecco la verità.
Passa lo straccio e non pensarci. Passa lo straccio, passa lo straccio, passa lo straccio ma queste righe nere non se ne vanno!

Che poi si sentono superiori, lo vedo. Quando sono sull’autobus, si comportano come se non fossero su uno dei nostri autobus, cioè un autobus della nostra città, ma sul loro autobus! Sono tutti lì, stravaccati, in piedi o seduti e non ti fanno mai passare e se provi a infilarti in mezzo a loro per uscire dall’autobus prima che ti si chiudano le porte in faccia ti guardano pure male. Se poi cerchi un posto a sedere, niente, l’hanno già occupato loro. E poi parlano parlano parlano così tanto che mi sembra di essere a bordo della torre di Babele. Per loro tutto dovuto, tutto! Dovrebbero girare con gli occhi bassi e invece tra un po’ comanderanno loro! Comandano già loro, ecco la verità! Io non sono mai salita su un autobus pensando, questo è il mio autobus! Sempre buongiorno, buonasera, prego signora si sieda, sempre rispetto per tutti, perché io lo so che i mezzi pubblici non sono roba mia.
Niente è roba mia, qui.

mercoledì 2 ottobre 2013

Battisti Panella Hegel: E al posto di cose ci sono le cose 2/2


Arrivati quasi alla fine del viaggio nei cinque bianchi, la fatica si sente. Tali e tanti i paesaggi sonori e linguistici visitati, tanti e tali le sfaccettature degli album precedenti, tali e tante le acrobazie del duo, che la possibilità di una caduta all’ultimo gradino è probabile e anzi certa. È come trovarsi in un sogno che non vuole finire, di cui ormai il fondale di cartapesta è sfondato e tuttavia si va avanti ad assistere a scenari vuoti senza potersi svegliare. 
Con Hegel ci si trova davanti un’opera che è difficile definire del tutto riuscita. Non che manchino momenti belli all’interno dell’album, non che manchi la poesia e sprazzi di genialità, ma si avverte una mancanza di urgenza nel comporre che invece era presente negli altri album.
Panella in più di una intervista aveva fatto intendere che il giochino lo stava stancando. Battisti invece avrebbe potuto continuare all’infinito a musicare versi improbabili, pareva averci preso gusto all’appuntamento biennale. Panella racconta di aver voluto, quasi, sabotare l’ultimo album fornendo testi sempre più metricamente complicati, fregandosene del senso e della musicalità. Inserisce a piene mani concetti filosofici e voli pindarici e Battisti riesce lo stesso, magistralmente, a musicarli, come se nulla fosse: ma il risultato, secondo me, è inferiore alle aspettative.
Gli otto pezzi di Hegel sono, ancora più che nel precedente CSAR, in bilico tra l'essere malriuscite ripetizioni di un gioco che ormai mostra la corda e gli ultimi veri esperimenti di avanguardia novecentesca. In certi momenti è veramente difficile capire se sia vera una cosa o l’altra.