Il
blog è morto, dicono. I blog sono obsoleti e molti rimangono inattivi per mesi,
per noia, mancanza di tempo, disinteresse, troppa lentezza nel gestirli.
C’è
sicuramente qualcosa di vero in queste affermazioni, che peraltro non sono
nuove.
Forse,
semplicemente il blog rappresenta il lato stanco del web.
E
la stanchezza, come sottolinea il filosofo tedesco – coreano Byung Chul – Han in
un gustoso libriccino intitolato La
società della stanchezza, è una reazione alla “società della prestazione”
nella quale viviamo.
Superata
la società del controllo, superato Foucault insieme a tutti gli altri
ammennicoli francesi, ci ritroviamo precipitati dentro una “società della
prestazione” che ci costringe a essere imprenditori di noi stessi, anche solo
per lavorare in un call center o capire, in mezzo a valanghe di offerte, dove
andare a posare il culo nella prossima vacanzina low cost. I disturbi e i
disagi di cui soffriamo non sono più legati, secondo BCH, alla reazione contro
la negatività causata dall’alterità, ma per eccesso di positività.
In
altre parole, fino al secolo scorso l’alterità caratterizzava il nostro modo di
porci nel mondo: noi, loro, competizione, identità, ecc. ecc. Oggi l’alterità è
stata sostituita dalla differenza, dall’accoglienza, dall’ibridazione totale,
dalla dittatura dell’Eguale.
Questo
porta a un eccesso della positività. Da qui deriva il senso di rigetto, di
rifiuto, che coglie molti individui sulla strada della vita.
Le
nostre vite sono immerse nell’etica della sovrapproduzione. Tutto diventa
possibile e tutto quindi deve poter essere fatto. Nella giungla delle possibilità
sterminate (illusorie, aggiungo io) l’individuo si smarrisce, si deprime. Non
sa cosa fare, e istintivamente, come autodifesa, non ha più voglia di fare
niente.
Questo
è il paradosso e il dramma delle nostre società opulente, informatiche,
mediatiche, spettacolari: l’individuo soccombe di fronte all’imperativo morale
di appartenere a se stesso. La società della positività non ha nulla da
invidiare a livello di violenza sistemica, nei confronti dell’obsoleta società
del controllo. L’apparente libertà (ma in realtà l’abbandono terribile)
schianta l’individuo, lo lascia irrisolto, depresso, demotivato, di fronte a
banconi sterminati di offerte allettanti.
In
questo modo, sempre secondo BCH, libertà e costrizione coincidono all’interno
dell’individuo stesso. Si arriva al paradosso che nell’attuale società della
prestazione è l’individuo stesso a divenire nello stesso tempo sfruttatore e
sfruttato.
Questo
accade, aggiungo io, anche nei casi in cui si vive ai margini di questa società
della prestazione. Siamo tutti (in un certo senso) uguali, desideriamo le
stesse cose, subiamo le stesse mancanze, da qualunque parte proveniamo, Italia,
Siria, Giappone, Togo, Marocco, Messico … le differenze sono ormai solo quantitative
(leggi: guadagno) più che qualitative. C’è poi la questione della diversa percezione
della felicità da parte di popolazioni diverse, ma questo discorso porterebbe
troppo lontano.
Anche
le reazioni di avversione nei confronti dei massicci flussi migratori non sono,
se si bada bene, dovute all’intrusione dell’Altro cattivo e Straniero (queste
maiuscole levinasiane ormai sono stucchevoli) nelle nostre vite beate, ma al
terrore di dovere ulteriormente “competere” per le stesse cose. Le migrazioni
sono ondate “positive” alle quali non possiamo ormai opporre questioni reali di
“identità”, “nazionalità”, ecc. ecc.
La
soluzione a questa “stanchezza”? Una vita più contemplativa, dice BCH. Bisogna
lasciare spazio alla stanchezza, non vederla come un impedimento alla Vita
Activa di cui parlava Hanna Arendt. La vita attiva è spesso una trappola. E il
web, aggiungo io, è disseminato di queste trappole. Da qui ne consegue che la
stanchezza epocale che stanno attraversando i blog, lungi dall’essere un
problema, è forse una reazione “sana” al ciclo demente di sovrapproduzione di
stronzate che ci circonda.
L’eccesso
di individualizzazione ha portato a tutti i problemi che ci sono adesso.
L’individuo
– massa (tutti diversi, ma tutti uguali) DEVE realizzare i propri desideri, a
scapito della specie e della collettività.
Le
ideologie novecentesche partivano invece dall’assunto contrario: l’individuo
deve sacrificarsi in nome dell’idea, dell’utopia, della razza, della
collettività, della specie.
I
risultati li conosciamo. Era la “società del controllo”.
L’ideologia
del XXI secolo (tutto è possibile per
tutti e chi non riesce è perché non vuole veramente) ha portato alla
sovrappopolazione, al riscaldamento globale, a una forma inedita di alienazione
al contrario.
Senza
contare che la quantità di morti ammazzati, pur se non in maniera così
eclatante come nel XX secolo, non cessa di diminuire.
La
stanchezza, in quest’epoca di pazzi e idioti, potrebbe dare luogo a una nuova
etica.
Non
è detto che succeda, beninteso.
BCH,
usa un’espressione molto significativa delle conseguenze della società della
prestazione: “L’eccessivo aumento delle prestazioni porta all’infarto dell’anima.”
La
stanchezza dei blogger, unita a una consapevolezza sempre maggiore, costituisce
uno sguardo commovente, a volte “epico” su questa nostra epoca delirante.