Il giovane favoloso è un bel film. Non è un film perfetto, ma la bellezza non sempre coincide con la perfezione. Di Martone mi era piaciuto
molto anche Morte di un matematico napoletano. Non ho visto Noi credevamo, per
il semplice motivo che non sono attratto dalle vicende risorgimentali, ma il
minimo che si possa dire di Martone è che è un regista onesto, preciso e
robusto.
Fare un film niente meno che sulla vita di Leopardi è un’impresa
rischiosissima, vuoi per la fama del recanatese, vuoi per gli infiniti pregiudizi
ormai inestricabili da tanta figura storica, vuoi perché l’agiografia, il
sentimentalismo o il patetismo sono sempre in agguato.
Invece Martone è riuscito a fare un film sanguigno, materico,
splendidamente moderno, sulla figura più splendidamente moderna della nostra a
tratti risibile storia culturale.
Elio Germano ha incarnato in modo struggente la corporeità
sognante di Giacomo: questo giovane sofferente, lucidissimo, disperato e così
bruciante di desiderio. Si potevano quasi sentire gli odori del bosco, lo stallatico
delle vecchie piazze: passeggiavamo anche noi assieme a Leopardi per il natio
borgo selvaggio al crepuscolo, in attesa di un buio totale, colmo di stelle,
non ancora offeso dalla luce elettrica. Respiravano a fatica con lui. Bravissimo Elio Germano.
La natura possente, la meschina società degli uomini, i favolosi
spasimi dell’amore, subito ricacciati nel dolore di non essere corrisposti, la
schifosa deformità, la malattia: tutto riprende la camera di Martone, senza
inutili preziosismi, senza esagerazioni, senza omissioni. Onestà e pulizia,
sobrietà e nobiltà, totale oblio di sé nella materia della natura e dei corpi: l’impresa,
a mio parere è riuscita. Regia e cast sono impeccabili.
Martone è riuscito a rendere, quasi magicamente, lo spirito anti
romantico di Leopardi, saldamente ancorato alla ragione, al materialismo
illuminista. Per questo non guastano, anche se sono un po’spiazzanti (il rischio di arruffianarsi i "contemporanei" è sempre dietro l'angolo), gli
inserti di musica elettronica e la voce che canta in inglese,alternati
un meraviglioso Rossini.
Leopardi era un uomo che trascendeva il suo tempo. Tutto aveva
visto, tutto aveva sentito, questo ragazzo, tutto aveva compreso di sé e dei suoi simili, della
natura e dell’arte, della posizione ridicola dell'uomo nell'universo.
I dialoghi del film sono tutti basati su scritti di Leopardi e dei
contemporanei. Nella realtà non sono avvenuti se non per lettera, ma l’invenzione
cinematografica, d’altronde necessaria, rende scorrevole il tutto. Ogni frase pronunciata proviene da leopardi, dal suo pensiero, dalle sue emozioni.
Non trovo utile soffermarmi sugli eterni vizi degli italiani: la
pigrizia, il conformismo, il bigottismo, sono gli stessi dei tempi di Giacomo,
tuttalpiù coadiuvati da qualche tecnologia. Oggi i “pulcinelli” e i “baroni
fottuti”, viaggiano in auto e diteggiano sugli smartphone, ma sono gli stessi,
che, cialtroni e puzzolenti, molestavano il giovane per le strade di Napoli. Oggi gli addetti alla cultura fanno i
promoter, come allora, di chi possa raccontare ancora belle favole non troppo
crudeli e possibilmente con un bel finale.
Oggi, come allora, rane granchi e topi schiamazzano e
farneticano di “progresso”, “ripresa dei consumi”, “diritto al lavoro”, “modelli
sostenibili”: il tutto, in mezzo allo sfascio che avanza. Il giovane Giacomo ne
sarebbe atterrito e divertito fino alle lacrime.
Qualcosa di simile (pur nella differenza totale del contesto e dei temperamenti)
è quello che è accaduto a Pasolini. La sua diversità, non solo sessuale, la sua
basica disperazione lucida, lo rendeva una figura magari stimatissima ma priva
di seguito, un caso isolato: nessuno come lui prima, nessuno come lui dopo. In
questo Leopardi e Pasolini sono simili.
Non si poteva chiedere a Martone più di quello che ha dato: uno scorcio realistico su una grande anima alla ricerca della impossibile felicità nella bella e indifferente Italia.
Martone getta luce anche sul desiderio immenso di amore e di vita del
giovane favoloso. L’amicizia con Ranieri, i possibili risvolti omosessuali (ma
non dimentichiamoci che il concetto di amicizia nell’ottocento era un po’
diverso da quello di “compagni di bisboccia” che c’è adesso), tutto viene
esplorato con realismo e senza dargli un’enfasi non necessaria.
Leopardi, nella sua sofferente vita, ha avuto nell’amicizia quello
che gli era stato negato nell’amore. E proprio a Napoli, sotto il duplice segno
della natura matrigna e dell’amicizia fraterna, egli concepisce la Ginestra, il
suo Manifesto programmatico, tanto citato a destra e manca, quanto poco
ascoltato.
La sala dove ho visto il film era gremita di gente di ogni età.
I commenti, all’uscita erano i soliti: “è un po’ lento”, poveretto”,
però l’attore è bravo”, sì, però lui era troppo disperato”, “bello, ma la
filosofia è un po’ troppo negativa”.
Insomma il destino di Leopardi continua anche adesso: la gente ne
è attratta e respinta allo stesso tempo, oggi come nel 1830. È come se si avesse oscuramente bisogno di Giacomo, il
fratello saggio e sofferente, perché ci dica qualcosa che non vogliamo ascoltare,
che non ascolteremo, ma che sappiamo ci farà bene: l’amara medicina del vero, la
possibilità spaventosa, finalmente, di essere liberi sotto il cielo.