Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 12 aprile 2012

Lo sguardo


Voglio essere guardato.
Mamma guardami.
Papà, guardami.
Dio, guardami.
Guardatemi, perdio.
No?
Perché ci tengo tanto, dite?
È ridicolo, dite?
Ma io da solo non mi sento esistere.
Io da solo non so darmi importanza.
Io da solo, sono così solo.
Se non mi dite niente dovrò inventarmi tutto io.
E se invento tutto io, non saprò mai la realtà della mia vita.
Dite che è meglio così? Dite che forse non mi piacerebbe sapere?
Mettetemi alla prova!
Come? Non c’è niente?
Non c’è niente che potete dirmi?
Dite che non sapete nulla di me?
Non  sapete nulla neanche di voi stessi?
Ma che cazzo ci state a fare allora?
Mi avete messo voi in questa stupida situazione!
Come? Solo con l’azione ci si conosce?
Ma che bella frasetta!
Risolvete tutto con stronze frasette da cioccolatino.
Va bene, allora ammettiamo pure che solo con l’azione mi conosco. Se dunque ammazzo qualcuno mi conosco come un assassino?
Sì, certo, ma non sarei solo questo: ci sono in me altre cose che un assassinio non possono cancellare.
Se amassi qualcuno? Sarei un amante, ma in me non c’è solo questo. In me c’è anche tanto odio, che è tutto l’amore mio che non viene voluto.
Come dite? Azione grande cancella azione piccola?
Se fai una sola azione grande, questa cancella tutte le altre?
Allora farò solo azioni piccole.
Dunque sarò piccolo. Un piccolo uomo! E che mi importa?
Essere adulti, perdio. Bisogna essere adulti. Essere adulti è ridimensionarsi. E va bene, mi ridimensiono!
Come?
Le mie potenzialità, dite?
Trascurerei le mie potenzialità?
Ma se non le conosco! Posso solo agire! Agire! Agire! Come un idiota!
Un idiota! Ecco! Questo sono… un idiota ridimensionato!
Se ottenessi un intero impero, che cosa otterrei?
Otterrei di sentirmi forte, ecco che otterrei. Starei bene.
Dunque lo scopo è sentirsi forti?
Ma io non mi ci sento. Io mi sento stupido.
Dunque lo scopo è sentirsi bene?
Ma io mi sento male. Una sottile angoscia mi pervade.
Io ho solo bisogno di essere guardato.

Mamma, guardami.
Papà, guardami.
Dio, guardami.
Ecco, ho ottenuto un impero. Milioni di persone mi adorano, mi ubbidiscono!
Siete contenti? Eh?
Non ve ne importa?
Allora andate affanculo!
Devo essere più educato, dite?
Allora… se fossi più educato, mi guardereste?
Ecco, sono educato! Gradite qualcosa da bere?
Cazzo, ma guardatemi!
Perché è così difficile guardarmi?
Non avete tempo da perdere, dite?
Come me ce ne sono milioni?
Ma io… ma io… io sto morendo, ecco! Guardatemi, sto morendo!
Come? Milioni di persone stanno morendo veramente in questo stesso momento?
E io come oso chiedere uno sguardo che non ha neppure chi meriterebbe di riceverlo? Sono solo uno tra i milioni e non conto un cazzo?
Beh, beh, beh, … ma io, io, ho un impero, perdio!
Come? Il fatto di avere un impero provoca in voi solo disprezzo?
Come dite? A che serve possedere il mondo se si perde la propria anima?
Ma così non vale! Io mi sono fatto un culo così per avere quel fottuto impero, sapete? E tutto quello che sapete dirmi, voi gufi della malora, è A che serve possedere il mondo se si perde la propria anima? Gneh gneh gneh gneh! Sempre queste furbizie dialettiche! Invece di guardarmi! Con amore! Con piacere! Guarda che bel bambino! Guarda com’è bravo!
Pensa, tutto solo è riuscito a costruirsi un impero! Da voi si ottiene sempre e solo indifferenza! Le potenzialità! Trascuri le potenzialità, trallallero trallallà!
Azione grande azione piccola! Vi prendete gioco di me! La mia vita, la mia nobile vita piena di potenzialità, completamente ignorata!
Sapete che vi dico? Non mi guardate? E chi se ne frega! Io me ne frego di voi!
Anzi, io vi distruggerò!
Non posso, dite? E che ne sapete, voi, di quello che posso fare io? Non mi avete mai degnato di uno sguardo! Ho un’arma segreta, io! Mentre voi cazzeggiavate  là in quel posto noioso dove state di solito, i miei scienziati hanno approntato un’arma assoluta!
Vi distruggo, pidocchi! Maledetti! Mi chiedete di agire? Dopo che fatto tutte le azioni del mondo mi conosco meno di prima. Mi chiedete di essere educato, di essere buono, di tirare fuori le potenzialità, ma voi non mi avete mai degnato lo stesso di uno sguardo. Avrebbe fatto la differenza, per me, sapete? Ma ormai è troppo tardi. Sapete come la perde l’anima, un uomo? La perde se nessuno lo guarda. Ma questi sono discorsi tediosi e penosi, proprio come siete penosi e tediosi voi. Ora vi distruggo!
Non posso farlo? E perché? Perché?
Perché non esistete? Perché qui dentro ci sono solo io? Perché la bomba distrugge solo persone come me, in carne e ossa? Persone che non contano un cazzo per nessuno?
E l’amore? Dov’è la favoletta dell’amore? Perché adesso non vi mettete a raccontarmi la bella tavoletta dell’amore, prima che la bomba vi trasformi in ridicoli e ronzanti elettroni? Forza! Raccontatemi la bella favoletta! Sono tutt’orecchi! Amor ch’a nullo amato amar perdona… com’è? Come la stronzata? … Che come vedi ancor non m’abbandona.
Non m’abbandona! … Soli eravamo e senza alcun sospetto…
E nessuno, nessuno, nessuno intorno… cosa vi sarebbe costato?
Cosa vi sarebbe costato guardarmi?
Mamma! Papà! Dio!
Per l’ultima volta! Guardatemi!
Guardatemi!
Guardate come sono solo. Senza alcun sospetto.
Solo e vigliacco.
Solo e pieno di paura.
Solo e pieno solo di me stesso che non so cosa sia perché nessuno me lo ha mai detto…
Amor ch’a nullo amato amar perdona…
Guardami mamma…
Guardami papà…
Dio! Dio… almeno tu… guarda quest’uomo… come si dice… ecce homo!
Amor che move il sole e l’altre stelle…
Inchiodatemi, piuttosto!
Fatemi morire e risorgere dopo tre giorni!
Voglio vedere poi se qualcuno fa ancora finta di niente!
Che stupido… che importanza ha… essere guardato, essere guardato… è  una malattia… sono io, io che devo… guardare… non essere guardato, ma guardare… no, no, no!
Non ci riesco! Non posso fare tutto da solo. Come può, chi non è mai stato guardato, guardare? E chi dovrei guardare? Altri esseri soli e disperati come me? Che si abbracciano come ciechi, come me? Che si scopano, che si uccidono, che si amano, senza guardarsi mai?
Amore è un raggio segreto dello sguardo…
È perduto, è perduto, è perduto il raggio…
Il mio impero… il mio impero per uno sguardo!
Niente? Niente.
Ma se fossi io, io… a guardare? Forza, forza! Sforzati! Ecco, dunque, guardo…
Non vedo nulla, cristo! Nulla! No, aspetta! Qualcosa laggiù nel buio… si muove…
Segretaria, per favore, prenda nota…
Se sono io a guardare, allora io farò le veci di mamma, di papà, di Dio! Dio è uno sguardo, dopotutto, no? Il triangolo con l’occhio. Che fa, Dio? Vede! Allora io guarderò!
E il mio sguardo sarà pieno di compassione e benevolenza per chi lo merita e disprezzo per chi non lo merita… sì! Sì!
Segretaria, prenda nota. Manderemo il diluvio su queste pianure. Pidocchi!

Solo. Al buio.
Tira la cordicella. Tira la cordicella della bomba.
Clic.
Finito.

(2010)

mercoledì 11 aprile 2012

Pensieri nani 3


La verità è una bugia con la faccia nera.
*
Mi basta un mattino di sole dalle vetrate di un bar e tutti gli straordinari pagati, per credere per un attimo all'armonia universale. Sono un uomo del mio tempo.
*
Il contrario di un male non è necessariamente un bene, anzi lo è molto raramente. E viceversa.
*
Cosa cerchi? Informazioni. Su cosa? Gratificazioni. Cosa hai trovato? Sapore di fiele in bocca.
*
Praticamente tutto quello che facciamo è privo di qualsivoglia senso, che non sia quello di giustificare la nostra chiassosa presenza.
*
Triste? Ma tutt'altro, mon ami.Non c'è niente che conosca meglio della felicità. Arriva, ti colpisce e scappa via, ma rimani innamorato, per sempre. La felicità è un imprinting.
Gli uomini non si suicidano in massa per questo motivo: hanno conosciuto tutti, almeno una volta, la felicità.
La felicità è il migliore espediente messo in commercio dalla vita per propagandare sé stessa. Come fanno le belle donne, la felicità si offre solo a chi non la cerca. Bisogna guardarsi dal desiderarla. Allora, e solo allora, lei si incuriosisce di te. E comincia a girarti intorno, furtiva. Non cedere e cadrà tra le tue braccia. Per un po'.
*
La gente è la gente, non siamo mai noi: come dire che la gente non esiste.
*
Delocalizzateci, teste di cazzo. Non vi resta che questo. Forza, state delocalizzando tutto in nome delle eterne leggi del capitale, andate avanti. Forza, galantuomini, vi resta solo  quest'ultimo passo da compiere. Delocalizzate tutti gli italiani. Ne avrete in cambio tutto un territorio da far fruttare. A quando le deportazioni in massa? Non vi preoccupate, nessuno farà chiasso. Fazio, Scalfari, Saviano e tutti gli altri ci rassicureranno sulla necessità di questo passo decisivo per risolvere il problema del PIL. Ci adageremo come molli lombrichi in fondo alle barchette e ce ne andremo, lasciandovi soli. L'alba di un nuovo Capitale sorgerà sui vostri lividi volti di vampiri, ma non vi farà male. Sarete felici, finalmente, senza tutti quegli straccioni intorno.
*
Questa pioggia, questo sole, questa alternanza di chiaro e scuro. Sedili di plastica in una sala d'attesa. Chiacchieriamo, innocenti, buffi, intenti a trovare sollievo dal mondo per mezzo di esso.
Vero viaggio è l'attesa.

mercoledì 4 aprile 2012

Tarkovskij e il cinema minerale


Il 4 aprile di 80 anni fa nasceva da qualche parte della Russia, Andreij Tarkovskij.
Cinema di elementi il suo, la terra, l'acqua (onnipresente in tutti i film), il fuoco, il vento che soffia tra le foglie.
Gli umani che si muovono lenti dentro questo mondo, sono figure scarne che  aspirano sempre a trovare qualcosa, inquieti e paradossali: tutto meno che personaggi da commedia.
Tarkovskij si muove incurante tra la fantascienza e il romanzo storico, tra la visionarietà più ardita e la semplicità contadina.
Attraverso i suoi occhi ci viene mostrato ciò che l'uomo ha perso: la spiritualità, intesa come profondo senso di comunanza di tutti gli esseri, come ricerca delle radici assolute.
Tarkovskij è una delle tante scoperte prodigiose che la TV di quando ero ragazzino permetteva.
Ricordo ancora l'emozione nata dalla visione dell'Andreij Rubliev in bianco e nero, la grande scena della fusione della campana, il folle volo del monaco sopra il villaggio; oppure Stalker, vera e propria odissea spirituale nel deserto atomico, alla ricerca di una felicità che nessuno vuole.
Poi c'è la poesia assoluta di Lo specchio, il più bergmaniano dei suoi film.
Infine, lo struggente dono di sé di un padre al figlio in Sacrificio, l'ultima pellicola del Maestro, già conscio della fine.
Che dire poi dell'Oceano di Solaris?
Il romanzo di Lem è poco più di una traccia da seguire per impostare un viaggio completamente nuovo dentro la vita umana. L'Oceano, misteriosa entità extraterrestre, riporta in vita quello da cui vogliamo fuggire. Bisogna distruggere tutto ciò che ci impedisce l'oblio: bisogna impedire ai miracoli di accadere.
La fantascienza di Tarkovskij è poco tecnologica.
Gli ordigni sono semplici strumenti per la creazione a getto continuo di poesia.
Attenzione però a non sottovalutare il profondo realismo che pervade tutta il cinema dell'autore russo.
Tarkovskij non si abbandona a esplorazioni di mondi immaginifici, astratti: nella sua potentissima visionarietà, appare sempre e solo il nostro piccolo mondo, fatto di terra, acqua, vento, fuoco.
Si potrebbe muovere una critica sul poco o nessuno spazio in Tarkovskij, per l'umorismo.
Va detto però che qui siamo oltre ogni risata umana, siamo ormai andati oltre lo specchio del cinema, siamo precipitati dentro la realtà naturale basica.
In Tarkovskij tutto è paesaggio, compreso l'anima dell'uomo.
Siamo nella contemplazione pura, della cosa in sé.
Il suo è cinema che vince la morte, talmente aderente agli elementi, da fondersi con essi.
E' cinema minerale. Non c'è nulla più di cui ridere.
Solo silenzio da ascoltare. Poesia da vedere.

lunedì 2 aprile 2012

Il viatico delle persone solari


Essere socievoli è una conquista del tempo presente. Nei secoli passati, si poteva decidere di abbandonare il consorzio civile e vivere in eremitaggio o pellegrinaggio perpetuo.
Le persone che compivano un tale tipo di scelta erano, in qualche modo, rispettate dal resto dei suoi simili. Erano i folli di Dio, o gli asceti, i pellegrini o i poeti.
Essere ai margini non era una cosa spaventosa. Faceva parte della gamma delle possibilità umane.
In tempi moderni, qualcosa del genere aveva provato ad attuarla Thoreau (1817-1862). Venne preso per un pazzo originale ossessionato da un eccessivo afflato romantico. Pagò la sua scelta con una breve vita di totale astinenza sessuale. Uno sfigato, in pratica.
Attualmente essere ai margini equivale ad essere morti. O poveri. O pazzi.
È essenziale essere socievoli.
L’uomo è un animale socievole. Essere socievoli vuol dire in genere non litigare mai apertamente con qualcuno, ma limitarsi a parlarne male alle spalle con chi sembra capirvi. Salvo poi che chi sembra capirvi parla male di voi, quando non ci siete. D’altra parte voi fate altrettanto.
Essere socievoli vuol dire tifare per una squadra di calcio. Essere socievoli vuol dire non essere mai troppo malinconici o tristi. Non si è tristi, si è depressi. È quasi di moda essere un po’ depressi, prendere gocce di En o di Ansiolin per dormire, essere funestati dal male di vivere e farselo passare cercando di essere una persona solare.
Si va in palestra, si guarda Fazio o la Bignardi che dicono tante cose interessanti e poi c’è anche lo psicologo di turno a Porta a porta, che riesce a scandagliare nelle infinite pulsioni che muovono l’animo umano. Com’è interessante.
Si va in vacanza al mare d’estate, in montagna d’inverno, qualche bel viaggio ogni tanto, anche se c'è la crisi, ma trionfa il low cost. La vacanza low cost vale quello che la paghi. In ogni caso, la nostra bella dose di vita interessante fino alla morte ce l’abbiamo.
Nell’Ottocento nei salotti della borghesia europea era molto di tendenza avere lo spleen e posare da disperati, adesso invece c’è la depressione a riempirci le coscienze.
I nostri pensieri neri, la voglia di ammazzarci o il pensiero dell’inutilità greve della nostra vita, di quello che siamo e che facciamo, ci coglie nefasta all’improvviso, ma lungi dall’essere vista per quello che è, cioè una visione spesso molto vicina alla verità delle cose, viene subito trasformata in un sintomo clinico. Non siamo delle merde, siamo solo depressi. Allora tutto va bene.
Il nostro dolore, il buio delle nostre anime, il tunnel che, se imboccato con coraggio, potrebbe portarci dall’altra parte, alla luce e alla vera vita, diventa un disturbo. È solo un cazzo di sale minerale che manca, non è altro. Se avessimo queso sale nella proporzione giusta saremmo gioiosi e in grado di goderci la vita, come è giusto che sia. Litio di merda.
D’altra parte, anche chi non è afflitto da depressione sa che la vita è dura.
Noi lo abbiamo sperimentato.
Noi lo abbiamo imparato che è dura.
La vita è come la scala di un pollaio: corta e piena di merda.
Questa frase ricordo di averla vista scritta con la biro blu, sull’astuccio di una mia compagna di prima liceo. Poteva essere il 1976. Ero rimasto colpito dalla tragicità dell’affermazione. Tanto nichilismo suonava terrificante specie se scritto sull’astuccio di scuola di una quattordicenne. Ma niente paura. Era solo scena. Abbiamo tutti bisogno della nostra dose di sconforto per sentirci vivi.
Questa piccola filosofa pessimista, se appena appena il bello di turno le mostrava interesse, sentiva la vita diventare improvvisamente un giardino in fiore. Potenza della soddisfazione ormonale.
In ogni caso affermare che la vita è dura significherebbe vedere solo un lato delle cose, avere un punto di vista limitato. Esiste quindi tutto un’insieme di luoghi comuni improntati al benessere e alla positività.
Ad esempio: 1) La vita vale sempre la pena di essere vissuta 2) Chiusa una porta si spalanca un portone 3) Sorridere allunga la vita 4) Lo sforzo costante e la determinazione permettono di realizzare l’impossibile 5 ) Chi pensa positivo ha maggior fortuna 6) Mangiare fibre vegetali fa cagare meglio e vivere più a lungo 7) La mente ha il potere di farci guarire 8) Le donne sono più sensibili degli uomini e possono aiutarli a tirare fuori il lato tenero del loro sé 9) Non è la lunghezza del pene a determinare un rapporto sessuale soddisfacente 10) Ognuno di noi ha un’anima gemella che prima o poi incontrerà  11) Alla lunga la giustizia trionfa, ecc., ecc.
I vecchi e nuovi innocenti luoghi comuni, a cui siamo i primi a non dar troppo peso, sono il nostro lasciapassare nel vasto campo delle relazioni umane.
Praticare i luoghi comuni provoca la stessa sensazione di contentezza che hanno i cani quando si annusano tra loro il buco del culo. Un riconoscersi festante.
Il contesto sociale è questo, dopotutto. Nel bene e nel male, assolve da sempre egregiamente la sua funzione. Funzionerà finché avremo tutti da mangiare. Poi cominceranno i massacri.