Negli anni Novanta
imperava la techno, l’uso spasmodico delle drum machine, la musica house da un
lato, e il grunge, i Nirvana, gli scarponi slacciati e la sciatteria come
filosofia di vita, dall'altro.
Al crollo totale delle
ideologie rivolte alla salvezza dell’uomo massa, quello che restava tra le dita
dei superstiti del Moderno era la possibilità di illudersi di godere dei
vantaggi di un Mercato finalmente Illimitato, oppure la libertà di scivolare
nella depressione. Unica certezza: tutto si può comprare, o almeno desiderare.
Tutto sarebbe cambiato, nei Novanta, crisi occupazionale a parte, che già allora
si faceva sentire. Ecco il post – moderno, senza più blocchi ideologici
contrapposti.
Battisti continuava
a rimanere nascosto ai comuni mortali e a sfornare dischi biennali, prodotti e
arrangiati a Londra. Ogni volta le aspettative dei fan rimanevo frustate a
livelli tali che ormai si riteneva Battisti un caso clinico irrimediabile.
Però la sua voce,
indescrivibile, onnipresente e indimenticabile una volta che la si è ascoltata,
non riusciva a sparire dalla memoria collettiva. A questo fatto fu dovuto il
successo effimero ma notevole degli Audio 2 con canzoni e voce talmente simil –
battisti periodo Mogol che per molti fu come se Lucio si fosse miracolosamente
rimesso in carreggiata.
Da parte di
Battisti non vi fu, naturalmente, mai nessun commento sugli Audio 2.
Lui era da qualche
parte nella sua villa del varesino a godersi il giardino e lo studio di registrazione
ultramoderno. La sua voce vera arrivava soltanto attraverso i dischi bianchi,
sempre più folli, solipsisti, incomprensibili.
Ormai il confine
tra voglia di superamento dei limiti, mimetismo estremo, ricerca raffinata, desiderio
di distruggere la propria immagine del cantautore di Acqua azzurra, acqua chiara, che nonostante tutto i vecchi fan
continuavano ad appiccicargli addosso, e patologia, cominciava realmente a
diventare labile. Il disco uscito nel 1992 sembra confermare questa diagnosi
clinica, almeno in parte.
Il binomio Battisti
– Panella sfornò con la Columbia Records (il primo distacco dalla Numero Uno) otto
brani che, mentre si rivelavano ancora più ostici dal punto di vista testuale
sembravano tornare a una maggiore semplicità armonica e una adesione quasi
letterale da parte di Battisti agli stili musicali dei Novanta. I brani,
insomma erano canzoni tipiche della decade, ma talmente tipiche da cadere in una specie di iperrealismo: i pezzi
dell’album sono pezzi techno e house al cubo, con incursioni nel rap che paiono
tutto meno che necessarie, e che tuttavia, come sempre, quando si tratta di
Battisti, funzionano.
È come se il disco
CSAR fosse uno specchio che riflette in modo assolutamente distaccato il mondo
che lo circonda, così come è. Questa è forse la chiave di lettura degli ultimi due
album dei dischi bianchi e della vita stessa di Battisti. Distacco e
riflessione, nel senso di riprodurre l’immagine che si ha davanti di momento in
momento, ma che tuttavia non ci appartiene. Per potere operare in questo modo occorre
essere insieme dentro e fuori dal tempo, come i pazzi, i solipsisti o i grandi
artisti. Ciascuno giudichi secondo il suo gusto in che posizione collocare
Battisti.
Nonostante la
freddezza, la mancanza di emozioni nella voce, o forse proprio per questo, CSAR
ha molti momenti di pura bellezza e sentimenti rivelatori. Atomi che danzano al
suono delle drum machine, freddi ma consapevoli.
Proseguono le
vicende della Ragazza, pronta a ricominciare a danzare al suono glaciale degli
anni Novanta. La copertina evidenzia questo distacco sempre più profondo dal
mondo della Merce, questa noncuranza di attirare qualsiasi fruitore, con una
tremolante sigla in stampatello.
Sotto i colpi
inarrestabili di una drum machine e una martellante e ripetitiva linea di basso
si apre il primo brano del disco, la title
track Cosa Succederà Alla Ragazza.
Armonicamente molto più semplice delle scalate tonali attraversate nei brani
dei dischi bianchi precedenti, questo pezzo è una dance sui generis con
incursioni percettibili nel Battisti antico. La linea del canto in quello che
sembra il ritornello (difficile da
distinguere nella voluta uniformità strutturale e tonale) è una tipica melodia
battistiana con impennate in falsetto. Con il cuore in gola assistiamo alla
fuga da ogni tipo di compulsive avance della povera Ragazza (È un simbolo? Di
cosa? Della Metafisica? Della Gioia? È semplicemente una vicina di casa di
Panella?).
I primi versi confondono le acque: L'alba, la barba, la curva della gola,
rasoiate che sono orli di gonna. La luce ha ancora sonno ma si dà un tono da
ostetrica che è urgente. Apre gli occhi sul mondo partoriente ed è a
disposizione l'alba, la barba, presa con le buone. Offrire la gola al tocco
leggero, l'alba la lanolina candida gli uccelli appostatissimi nell'aria,
come
i chiodi senza quadri, alle pareti; ed è ancora mattina.
Dov’è qui la
Ragazza? Chi è che si fa la barba? Immagini folli si susseguono. Forse la
ragazza è un travestito che nessuno sospetta essere un uomo? Ipotesi come
un’altra.
Qui come per quasi tutto
il disco (come pure per il seguente e ultimo Hegel) assistiamo a uno scollamento impressionante tra la folle
dinamicità dei testi di Panella e una voluta, eccentrica staticità della
musica. Il contrasto tra queste danze immobili e questi voli pindarici crea uno
spiazzamento ancora maggiore dei dischi precedenti, nell’ascoltatore.
Viene legittimo
pensare che qualcosa stia accadendo, che il trucco cominci a scoprirsi, la
stanchezza a insinuarsi. Tutto il disco, tutti gli otto pezzi, sono in bilico
tra il capolavoro e il fiasco. Basta un niente e l’impalcatura può crollare
sotto il peso del ridicolo, del pretenzioso, del che vuole ancora Battisti?
Invece,
miracolosamente, tutto regge. Per un pelo. Con schegge di bellezza ancora più
luminose.
Allora
ricordarsi di fare delle pose
delle
fotografie: che possono sempre servire,
e non
se ne parli più.
Gesù,
Gesù, che non se ne parli più
Gesù,
Gesù, ed è ancora mattina,
tutti
sono pronti a bere qualcosa;
e poi
si riprende fiato per fare le bolle acustiche.
Che
la vogliono olio e limone;
che
la vogliono aggiustare: entriamo in un portone...
Che
la vogliono un po’ scoperta per accertare;
che
la vogliono nell'ascensore,
per
implorarla da che piano a che piano,
acquetta,
fuochino; la gloria all'ottavo.
Che
la vogliono ricoprire di cioccolata,
che
la vogliono servire in bocca,
ad
una bocca sterminata di forno:
che
cosa le tocca, sentire che cosa.
Testo e musica esplodono. Il senso è
irrilevante, ormai, oppure tutto diventa senso, anzi, sensi moltiplicati per se stessi. CSAR è dedicato all’esplodere
delirante del Desiderio. Un desiderio congelato da una musica che trattiene il
proprio centro di calore sotto strati di ghiaccio.
Tutte
le pompe
ripete lo stesso meccanismo di dissociazione. La base drum, il ritmo house, il
basso corposo, i suoni elettronici rarefatti fanno da sfondo per la descrizione
di un’orgia pittorica. Non ci sono remore, né limiti. L’espandersi del
Desiderio tocca ogni cosa, gli oggetti, le apparenze delle persone, fino ad
arrivare all’orgasmo cosmico.
Arriva
lo schiumogeno e la gente sussulta di piacere è pronta a tutto,
a
consumare lì sopra l'asfalto la scivolata delle relazioni;
lo
sguazzo dell'ardire e dell'osare, ed è da tanto tempo che volevo;
e
dirmelo potevi dirlo prima: o farmelo capire, o farmelo capire.
Le
macchine rampando sulle ruote, le gomme posteriori fanno un giro,
di
piazza col pennacchio, soffiato dai roventi radiatori;
lo
struzzo, lo spauracchio, il gongolo di gioia,
lo
spruzzo e lo sbatacchio, l'immensa scorciatoia, per arrivare al sodo.
Una
lady s'incendia un po' per sfizio, e un po' per gaudio immenso anticipato.
E il
suo marito in cravatta con la lingua, diventa un calamaro così che non sfigura.
Marameo,
marameo fanno i cupidi, i frecciatori dal culetto nudo;
più
fitti fitti più dei pipistrelli nella notte stellata, che volano d'estate.
Però
più belli, belli più bellini, bianchi color del lilla gridellino;
ma
non è notte è giorno: magari è estate forse;
forse
magari è estate,
cominciano
le corse tutti arrivando i primi:
i
primi in una cosa, una cosina dolce, una cosina dolce.
Pare di vedere un quadro di Magritte, Ernst,
o Dalì. La vecchia Avanguardia avanza mentre tutte le pompe, con l'acqua nelle vene, si mettono a ballare, e
pioggiano di gioia.
La musica irride, sfrontata, questo
sguazzare nell’ardire e nell’osare. E finisce in minore, inquietante.
Ecco
i negozi,
ovvero la celebrazione del Desiderio per eccellenza, quello di acquistare in
modo compulsivo cose che non ci servono. Desiderio che è desiderio di Oblio.
Come può la Ragazza esimersi? Non si esime,
infatti.
Ecco
i negozi e non le sembra più di stare a casa,
ecco
cammina nell'uno e l'altro senso,
non
avendo al fianco chi l'accompagnerebbe
nelle
minime e le massime escursioni.
Ecco
i negozi che ingoiano tutti i fracassi,
non
affliggono né stomaco né cuore, eccola
qui
dov'è la padrona del proprio giro vita,
del
proprio girocollo, del proprio giro periplo del corpo.
E lo
spazio non è quella questione,
ecco
i negozi, si può tacere senza dare il silenzio come spiegazione:
ecco
qui, tra le creature scisse, tra chi entra e chi esce,
c'è
uno scambio di temperature.
Il pezzo ha un inserto rap all’inizio e
alla fine. Un omaggio ai tempi o una presa in giro?
Mimetismo, come sempre. Qua e là nella tessitura
della melodia si percepisce una certa malinconia, una dolcezza inaspettata in
un “disco bianco” ma che si ripeterà in altri brani di questo album poco
assimilabile, ma che lascia scoperto il fianco a improvvisi sentimenti. In
mezzo al ghiaccio spuntano timidi fiori.
si
passa tra le cose sfuse e vaghe,
come
tra lacci d'alghe di tante in tante maghe Circi annegatrici,
dimenticando
e poi dimenticando;
così
sei fortunata: hai trovato esattamente quello che cercavi:
tre
bravi di cayenna, ovvero, un forchettino per i ravanelli.
Così
sei fortunata: hai trovato il posto più esclusivo della storia,
le
pagine in cui Antonio con Cleopatra, si strapazzano
ancora,
come otarie dalle braccia ormai implicite nell'altro,
sopravvissuti
ad ogni nave che s'inabissò.
Immersi
in un tripudio misto seta,
in
una negligenza e oblio di sciarpe,
ed è
come non mai non stare a casa.
La
metro eccetera
è la punta “commerciale” dell’album e, con La
Sposa Occidentale, uno dei due o tre brani (il terzo è Don Giovanni) più passati alle radio del duo Battisti – Panella:
come dire che persino le teste più quadre possono tentare di fruirne.
E in effetti il pezzo è una messa in musica
di un momento quotidiano banale, e il testo pannelliano non incede nei soliti
giochi linguistici, ma seziona con precisione chirurgico – poetica il viaggio
da una stazione all’altra di un treno metropolitano. Tutto un mondo viene
contenuto in queste immagini. Nulla accade e tutto si muove. Anche nel vagone
il Desiderio serpeggia.
La musica è quasi una cantilena infantile
sostenuta da un basso inesorabile. È un giro armonico che potrebbe durare
all’infinito come il viaggio che va dove “vanno tutti i presentimenti,
eccetera”.
La
metro dei riflessi, gli sguardi verso il vetro,
gli
appositi sostegni verticali,
le
mani che fatali li discendono,
e
quelli orizzontali, in alto i polsi e gli orologi
viaggiano
da soli.
La
metro, i seduti di fronte sono semplicemente gli avanzati
dal
viaggio precedente che andava dove vanno
tutti
i presentimenti, eccetera.
In un
soffio di porta, fa l'ingresso la bella incatenata a testa alta;
invece
i viaggiatori sono entrati
col
capo chino, e l'umiltà dei frati.
Bella
incatenata dai sui stessi ormeggi:
la
cinghia della borsa,
e
stringhe mosce, e fasce di camoscio e stratagemmi
dei
morbidi tormenti d'organzino.
Si fa
la trigonometria,
nei
finestrini corrispondenti agli occhi alessandrini,
di
lei che guarda fissa un suo sussulto fuso nel vetro,
che
le ricorda tanto un suo sussulto.
La
metro piomba nella galleria come un eccetera eccetera,
che
continua tremante veranda di lettura,
da un
attico mittente, tutta giù a fendente.
E più
di tutti i giornali e i giornaletti
ha
successo una scritta:
“In
caso di necessità rompere il vetro,
e
tutti i trasgressori saranno … eccetera”.
La
metro si avvicina alla stazione prossima e rallenta.
I
posti a sedere, ad occhio e croce: diciamo trentasei;
le
scale sono mobili, ma le pareti no,
e
fermi i corridoi; la folla passa e sale.
La
metro accelera, eccetera, eccetera,
e
puntini di sospensione.
Con un ritmo
incalzante, quasi anni Settanta, e una schitarrata alla Patrick Hernandez
arrivano I sacchi della posta.
Musica spagnoleggiante (non poteva mancare in un album di Battisti), un testo
intrigante come non mai. Persone, cose e paesaggi vorticano insieme, si
prendono si lasciano con movimenti tra Boccioni e i cartoni animati. Tutto i
tempo è condensato con il “non si sa che sia, col non si sa”.
Pare di vedere i
sacchi della posta danzare sugli sbarcatoi, mentre “i quarti di buesse
sanguinose soggiogano ragazzi incappucciati” in un groviglio alla Bacon.
In questo pezzo lo
scollamento glaciale tra musica e parole serve a evocare in un tutt’uno visioni
danzanti, furori avveniristici, quadri e riquadri, oggetti e corpi. Pura
avanguardia letteraria e aggiungerei pittorica al ritmo di disco dance.
Perché
non scende e uno, perché non sale e due,
i
sacchi della posta, questa è l'ora, quasi da soli saltano, sugli sbarcatoi.
I
quarti di buesse sanguinose soggiogano ragazzi incappucciati,
gli
appuntamenti sono plateali: vedi venirsi incontro due vocali.
I
cagnolini vanno avanti al trotto, i cani grossi hanno scontri di botto,
col non
si sa che sia, col non si sa.
I
minutini, gli attimi, gli instanti tengono a bada tutti, tutti quanti,
ma le
mezz'ore perse sono già funeste,
son
teste emerse e rifugiate leste,
nelle
finestre, nelle finestre.
A
prima vista tutto è secondario,
poi
le scarpe sono la precisa volontà del viso,
cominciano
i miraggi: atti notori, col nastrino in gola,
fanno
i graziosi mentre fan la spola.
Patenti
a fisarmonica, a soffietto hanno da dire e da ridire su tutto,
licenze
ancheggiatrici fanno adescamento;
quindi
i certificati sono pellirossa tutti illustrati.
Arrivederci
e uno a risentirci e due,
le
parti per il corpo articolato, si piegano, si snodano polpose,
e
succulente ossee nervose.
Il
ginocchio, il polso, l'anca, il pennone, intorno al quale il muscolo fa vela;
lo
zigomo, la tempia, il metatarso; poi le scarpe, con i lacci o senza;
la
faccia, arrivederci arrivederci.
Non posso essere
obiettivo su Però il rinoceronte. Lo
considero uno dei più bei pezzi di tutta la produzione Battisti – Panella,
insieme a I ritorni. È come una
canzone d’amore dovrebbe essere, nella
quale l’amore è “un gesto pazzo come rompere una noce on il mento sopra il
cuore”. Il ritmo house cadenzato non riesce a raffreddare (nonostante
l’impianto complessivo dell’album viri da tutt’altra parte) la dolcezza del
canto. Qui la Ragazza splende in tutta la sua bellezza, le scene quotidiane di
corteggiamento e Desiderio sono temperate da una dolcezza struggente inusuale
per un “cinico” come Panella. Tutto è fidanzamento, possesso felice, attimo in
cui la Ragazza te la vedi davanti, in una immagine radiosa che non scorderai
mai finché campi. Bellezza e vita. Inevitabili in Panella gli accostamenti al
cibo. Panella parla di “disinganno mai allevato e grosso come un bue mangiando
poco”: il tormento del Desiderio che viene acceso dall’avanzare e retrocedere
dei riti.
Un testo
straordinario, una canzone commovente.
Dopo una
introduzione mimeticamente postmoderna, Battisti è come se cedesse alla
dolcezza. Se si facesse l’esperimento di suonare la melodia privandola
dell’accompagnamento house si udirebbe qualcosa di molto simile a un antico
stornello, gonfio di emozioni, che echeggia sotto i ponti di Roma stile Il barcarolo.
Se
non si cuoce a fuoco lento rimane cruda dentro.
Al
dunque quando può le piace sentirsi al centro dei carciofi tenerelli.
Cosa
sa, cosa sa che gli animali sono esseri scorrevoli;
però
il rinoceronte ha il freno a mano,
l'amore
è un gesto pazzo
come
rompere una noce con il mento sopra il cuore,
e si
dovrebbe vivere lontani per essere creduti se si dice:
Qui è
nato un disinganno mai allevato
e
grosso come un bue, mangiando poco,
e si
dovrebbe vivere lontani e dire: ho visto qual è il colmo di me stessa,
sfilandomi
un maglione sulla testa, per ora si interessa all'infusione,
che
dona brillantezza ai suoi capelli e la parola chiave è “rosmarino”.
Il
gusto si fa estivo a mezze maniche, esaminando la Venere di Milo,
i
riti i riti, ma che riti d'Egitto, tutto è fidanzamento, la colazione in tazza,
il
pranzo, poi la cena e gli intermezzi,
basta
non le si dica "Indovina chi sono", e “non te l'aspettavi”
ecco
cose così tra gentili e tristi cose di burro in forma di conchiglia.
“Sono
io quella ragazza” dice puntando il dito come viene viene,
in
uno sprazzo acrilico a colori mimetici soltanto di sé stessi,
e di
un papero, a sbuffo accidentale, contro un mazzo una messe di cielo,
o
rosso mormorio di un acquitrino.
“Sono
io quella ragazza”, infatti è lei.
Per
lei un sovrano avrebbe rinunciato a nascere, e un cammello si è lanciato
in
una cruna d'ago, smascherando l'acrobata di sabbia in sé sopito.
“Sono
io quella ragazza” dice, “il giorno prima come il giorno dopo,
e il
giorno in mezzo me lo metto al dito, così sarà un anello e non un peso”.
E per
lei, qualche atleta contenzioso si è battuto, smantellato da solo,
crollando
coi talenti e i gusti intatti.
“Sono
io quella ragazza”, infatti è lei.
Con Così gli déi sarebbero si ritorna alla
“normalità” Battisti – Panella: cioè uno straordinario mescolamento pop
avanguardista di musica e parole. Le acrobazie di Panella non finiscono di
stupire, come non finisce di stupire la capacità di Battisti di aderire
perfettamente al testo creando una musica che riflette totalmente l’atmosfera iperrealista
delle frasi, sembrando una canzone
“normale” pur essendo anni luce distante da quanto mai sentito in precedenza.
Ogni volta il miracolo si ripete, sempre in bilico tra il ridicolo, la caduta
nel vuoto informe e il capolavoro: un equilibrismo che da Duchamp a Cage l’avanguardia
di ogni forma artistica ripete con alterne fortune …
Panella evoca il
paradiso della Merce, l’unico posto ormai dove esistono gli déi,
nell’immaginario di ogni consumatore (direi meglio, consumatrice) accanito,
talmente accanito/a da ridursi a un delirio di vitalismo inarrestabile. C’è da
fare una cosa, si fa, che problema c’è? La follia della Ragazza trasforma la
merce scelta in una frenesia da cartone animato.
Dal punto di vista
armonico e ritmico il pezzo è molto interessante con le sue discese dal
falsetto a toni normali e una incursione veloce nel passato battistiano con un
accenno al giro di Nessun dolore attaccato
quasi casualmente al resto e che sembra
non c’entrare nulla: invece, come al solito, funziona.
Le
condizioni sono atmosferiche comunque,
comunque
meteorologiche, e lei si è invaghita del bitume:
carbonio
con idrogeno composto, bollente ed odoroso, grasso in fusti,
colato
e rimpastato, misto a scisti.
Così
le salta in mente, all'improvviso, che esistono gli dei, e dagli dei
proviene,
per esempio, la numerosa serie dei profumi;
e lei
se esistono gli dei sarebbe prediletta dal maestoso
ordigno
in argentato, sovrumano
tubo
di scappamento con solenni alucce o pinne da raffreddamento.
E,
cosa c'è da fare, vorrebbe lei portare questa sera, come stola,
un
raccordo anulare, un'intera fila alle poste oppure la crostiera amalfitana.
Si
prende il nastro della merce scelta, si ammorbidisce e si fa svolazzare,
si
smussa e lei così lo può indossare, vorrebbe lei per caso liquefare
un
palazzo in cui l'innamorato sguazza nel delirio, ridotto ad un cetaceo.
Si
attiva un lanciafiamme, un forno ad onde, oceanico,
un
sesquipedale, prospero per la pipa universale.
C'è
da fare la spesa si fa, da andare dal dentista ci si va,
e il trapanatore
sarà un titillatore piumato.
Così
come bambina, mancandole la esse, lei diceva "Nettuno, Nettuno"
così
gli dei sarebbero un intimo difetto di pronuncia.
C'è
da fare una piazza, si fa: si prende una balena con fontana inclusa e
traballanti
cocomeri per occhi a tutti quanti, ed alberi spioventi dalle orecchie.
E
voci emerse sulla testa a delta e i mignoli,
gli
eterni mignoletti, suonati da pestanti martelletti.
Così
lei, può passare di là.
Perché
se c'è da fare, una cosa si fa.
Cosa farà di nuovo chiude l’album in tono dimesso,
come di congedo. È un brano notturno, nel vero senso della parola in quanto
descrive la notte insonne della povera Ragazza che pensa e ripensa e fa bilanci
e soppesa in un inventario “morale” la sua giornata. Il pezzo sembra il
contraltare di Cosa succederà alla
Ragazza. Dopo essere scampata a mille equivoci, dopo tutte le scivolate
delle relazioni adesso è sola con sé stessa e si fa tenerezza, o meglio fa
tenerezza a noi che la osserviamo. Il testo è bellissimo.
È un pezzo
musicalmente strano, sembra non decollare mai, arriva a un certo punto poi
crolla, preferisce rimanere accoccolato a fianco della donna che ripiega mesta
il maglioncino. Emerge improvvisa, verso la fine, una strofa rap che sembra del
tutto gratuita, ma che spezza l’uniformità del canto. Il risultato è una
tristezza dolce e ritmata che illumina di consapevolezza tutto un mondo, forse
tutto il mondo.
Le
quattro meno un quarto della notte,
il
sonno se n'è andato all'improvviso,
si
ferma il borbottio delle guanciotte,
l'ombra
è severa ma addolcisce il viso.
Cosa
non farà più, cosa farà di nuovo, cosa farà di meno,
seduta
in mezzo al letto lei promette cosa non farà più.
Cosa
farà di nuovo, cosa farà di meno,
con
un leggero margine d'incerto,
con
la sincerità di tutto il cuore leggero, pesante, volubile.
Crede
le dolcezze sono come le amarezze, pesi falsi senza pietà.
È una
misericordia, un'operetta pia
considerare
adesso con che garbo
ha
piegato, ripiegato e messo via il maglioncino
su un
bracciolo, un gambo.
Cosa
che rifarà, che rifarà di nuovo, non sa se più, se meno,
seduta
in mezzo al letto nel rispetto timido che ha di sé.
E le
dolcezze sono, son come le amarezze
con
un cordiale ed umile sospiro
si
sente sangue del suo stesso sangue
e
corpo del suo corpo in un bel giro d'edera intorno a sé,
con
strette blande, non si resiste più
e non
è più questione tra il giulivo e il triste.
Seduta
in mezzo al letto lei promette cosa non farà più,
cosa
farà di nuovo, cosa farà di meno,
con
un prudente margine d'incerto.
Le
tre e quarantacinque della notte,
il
sonno se n'è andato all'improvviso,
le
dolcezze sono come le amarezze: strette blande senza pietà.
Nella
notte, sonno sperso, ombra austera, caro il viso,
con
che garbo,con che umile sospiro:
cosa
non farà più, cosa farà di nuovo, cosa farà di meno.
La canzone rimane
sospesa, come se non terminasse veramente, in attesa dell’alba, pronta a
ricominciare tutto daccapo. Forse ci
sarà qualcosa di nuovo o forse solo la ripetizione dell’Identico, il tempo
ciclico del consumo della merce o una nuova strana libertà.
Non ho mai seguito Battisti, ma per merito dei tuoi post sto cominciando ad ascoltare qualcosa per la prima volta. Ciao Massimo!
RispondiEliminaIl tuo ricordare gli Audio 2 mi fa venire in mente questo (anche se forse lo hai già detto in precedenti post e se così chiedo scusa): è come se Battisti (insieme a Panella) avessero voluto rendersi inimitabili, avessero compiuto un "lavoro" (opera d'arte) definitiva, impercorribile da altri; infatti, mi sembra che (nel limite della musica leggera italiana) nessuno abbia tentato di imitarlo o emularlo - cosa che, invece, riusciva e riesce copiosamente anche oggi (vuoi con apprezzabili o pessimi risultati, per carità) riguardo al cosiddetto "primo" Battisti.
RispondiEliminaAscoltate endkadenz dei Verdena. Riprendono alcune sonorità e stili dei dischi bianchi di Battisti-Panella. Molto interessante e curioso.
RispondiEliminaGrazie per questi approfondimenti. Penso che Csar sia, invece, il disco più attuale, almeno musicalmente, del Battisti "bianco". Le melodie spaccano di brutto.
in realtà i Verdena (gruppo che adoro, tra l'altro) credo riprendano Anima Latina, più che i dischi bianchi (per dire, Funeralus sembra una canzone di Anima Latina in versione rock)
Eliminamacche' travestito. E' l'Italia, quella che trovi in piazza dalla mattina alla sera. Non e' neppure verismo, ma una vera polaroid, o un documentario su tutto il peggio che puo' accadere alla ragazza in un mondo di m...
RispondiEliminaL'accenno alle foto, che poi non se ne parli piu' (gesu gesu!): era in anticipo di trent'anni.
Battisti, come Picasso col cubismo,, é andato oltre ha volato sopra i boschi di braccia tese della musica leggera ed è approdato nella musica del futuro. La ricerca di un artista vero che coi dischi bianchi conferma la sua grandezza a livello mondiale
RispondiEliminaTravestito e altre decine di cose non capite ... è il racconto passo passo di una violenza carnale.
RispondiElimina
RispondiEliminai couldn't believe that i would ever be re-unite with my ex-lover, i was so traumatize staying all alone with no body to stay by me and to be with me, but i was so lucky one certain day to meet this powerful spell caster Dr Akhere,after telling him about my situation he did everything humanly possible to see that my lover come back to me,indeed after casting the spell my ex-lover came back to me less than 48 hours,my ex-lover came back begging me that he will never leave me again,3 months later we got engaged and married,if you are having this same situation just contact Dr Akhere on his email: AKHERETEMPLE@gmail.com thanks very much sir for restoring my ex-lover back to me,his email: AKHERETEMPLE@gmail.com or call/whatsapp:+2349057261346
i couldn't believe that i would ever be re-unite with my ex-lover, i was so traumatize staying all alone with no body to stay by me and to be with me, but i was so lucky one certain day to meet this powerful spell caster Dr Akhere,after telling him about my situation he did everything humanly possible to see that my lover come back to me,indeed after casting the spell my ex-lover came back to me less than 48 hours,my ex-lover came back begging me that he will never leave me again,3 months later we got engaged and married,if you are having this same situation just contact Dr Akhere on his email: AKHERETEMPLE@gmail.com thanks very much sir for restoring my ex-lover back to me,his email: AKHERETEMPLE@gmail.com or call/whatsapp:+2349057261346