Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 20 novembre 2014

Pensieri nani 12



Oggi uscivo dalla metropolitana in preda ai miei soliti malesseri quando mi ha affiancato un barbone o comunque uno dei tanti reduci da qualche reparto psichiatrico post Basaglia che guardandomi mi ha sussurrato due o tre volte “Siamo quasi arrivati”.  L’ho ringraziato per la solidarietà e ho sentito un brivido lungo la schiena.

 La teodicea è una forma di autismo.

 L’idea dell’aldilà mi sembra addirittura un eccesso di zelo nei confronti delle nostre abitudini. Non possiamo fare a meno di considerarci indispensabili.

 Oggi pensavo al concetto di pompino. Ho visto con gli occhi della mente una donna che si adoperava a succhiarmi quell’appendice così importante per la struttura psichica del maschio e ho pensato che era veramente una cosa ridicola, come pure ridicolo è tutto l’atto sessuale, con le nostre appendici e i nostri buchi e tutto questo fremere che sembra così decisivo ma non è nulla di più di qualche scarica elettrica. Siamo l’ottativo dei girini che si agitano in uno stagno.

 Vorrei solo …

 Sono stupefatto da questa esistenza. Da come si è svolta. Di cosa consiste. Bisogna agire alla luce del sole. La luce del sole è tutto: ma senza esagerazioni.

 Il romanzo nasce dall’impossibilità di smettere di (non) rispondere alla domanda: che cosa significa vivere la vita di un essere umano?

Le piogge continue hanno sputtanato la centrale del teleriscaldamento A2A della mia zona. Risultato: tre giorni senza riscaldamento, né tele, né altro. In più, la doccia non manda acqua calda. Idraulico che va e viene. Diagnosi e prognosi incerte.
Benvenuti negli anni Dieci.

 Polemiche. B. sta sulle palle a  C. perché non è abbastanza simile ad A. che però nelle sue motivazioni tende sempre a dimenticare le ragioni di D. che è così vicino alle ragioni di E., cui gli interessi in comune con A. non posso certo essere dimenticati. Il passato di F. getta cattiva luce sulle sue connivenze con C. che si difende puntando il dito su D. e le marchette fatte quando lavorava per conto di E. In tutto questo B. cerca di districarsi lasciando scontenti tutti, in primo luogo E. che non dimentica i favori ricevuti quando A. era al potere. F. a questo punto passa all’attacco provocando perfino le ire di H. fino a quel momento tenutosi fuori da ogni disputa. A. si infuria rivangando le antiche connivenze di H. con B., C., D. e perfino E.  F. si incazza perché si sente escluso. Giunti al culmine della contesa interviene Z. cui tutti si inchinano, anche B., pur con qualche pacato distinguo.
C. invita B. a prendere un caffè. Ci sarà anche F. Parleranno male, sottovoce, di Z.

 Umberto Veronesi ha affermato che il cancro e Auschwitz sono, secondo lui, la prova che Dio non esiste. Il pensiero in sé non è eccessivamente originale (qualcosa del genere l’aveva detta Primo Levi negli anni 70) ma ha scatenato polemiche a non finire sui giornali on line. Male incolse il Veronesi che si è dovuto buscare una contro risposta da quell’ineffabile genio di Zichichi. E va bene, ci sta pure che il testimonial della Teiera Volante e dello Spaghetto del supermondo difenda il suo sponsor.
Quello che fa tristezza è la valanga di commenti insultanti indirizzati a Veronesi da parte del popolo del web, sui vari giornali on line. Su centinaia di commenti un buon 70 % erano di insulti al vecchio professore che si era permesso di negare l’esistenza del Buon Dio che manda il cancro ai bambini.
Il livello dei commenti era da licenza media scarsa. Gli argomenti addotti per confutare il povero Veronesi andavano dal “sentito dire” a citazioni a cazzo di cane della Bibbia.
Insomma, una vera e propria giungla di idiozie nelle quali si rischiava di impantanarsi per non riprendersi più.
Se il prof Veronesi avesse fatto queste dichiarazioni in Gran Bretagna, se ne sarebbero fregati. Se le avesse fatte in Francia, ancora di più. Negli Usa avrebbe rischiato il linciaggio mediatico. In Iran l’avrebbero forse imprigionato. In Arabia Saudita impiccato. In qualunque paese del Sudamerica avrebbero fatto come in Italia, dove è stato ricoperto di merda.
Questo la dice lunga sul nostro livello. A livello culturale siamo poco sopra l’Iran e alla pari con il Sudamerica. Consoliamoci: nonostante il Vaticano in casa, tutto sommato siamo più tolleranti che negli Stati Uniti.
Prospetto una simpatica guerra di religione combattuta da imbecilli con lo smartphone, la mannaia o il crocifisso, che mentre uccidono gli sporchi atei mandano preghiere per i loro bambini malati, al Dio che da sempre continua a non ascoltarli, forse perché, come suggerisce Veronesi, è improbabile che ci sia. Ma non ditelo a Zichichi.

venerdì 14 novembre 2014

Un buco con la realtà intorno



Perché mi sto interessando al cosiddetto Realismo Speculativo?

Per farla un po’ finita con gli esistenzialismi, le fenomenologie, gli idealismi e le pippe mentali francesi. Perché, devo ammetterlo, mi affascina la tenebrosa atmosfera nordica, i cieli plumbei e le belle ragazze dalla pelle bianca. In altre parole, mi accosto al RS perché mi sarebbe piaciuto essere inglese o norvegese e comunque mi piacciono le nordiche.

Dal punto di vista filosofico (al di là degli scherzi), mi affascina poter pensare qualcosa che è aldilà del pensiero stesso, la realtà. Il vero aldilà esiste e non c’è bisogno di cercarlo dopo la morte. Esso è prima e dopo di essa. Esso è ciò che continua mentre i fenomeni appaiono e svaniscono e anzi, esso è l’infinito oltre che ci guarda da fuori.

Le filosofie monolitiche, dialettiche, sono noiose, antropocentriche. Dentro il nostro cosmo protetto, non facciamo che passare da uno specchio all’altro. Può darsi che non sia possibile sfuggire al perimetro della nostra mente ma sappiamo che qualcosa là fuori, esiste. Per sempre. E non è Dio. È la Realtà. Forse è la sessa cosa.

Kant era attratto da Swedenborg e ne temeva la deriva visionaria. Il filosofo di Kőnisberg subiva la malia della cosmogonia del profeta pazzo. Ha cercato si sottrarvisi con un libretto intitolato Sogni di un visionario. Era affascinato dalla netta divisione tra terra e cielo, con il cielo visto come ottativo più bello della vita reale, una divina duplicazione, vera e propria fantascienza. Kant ha relegato in seguito tutto ciò nel regno del noumeno, inavvicinabile dominio degli angeli che sono uomini e non lo sono allo stesso tempo.

Kant ha cambiato la sua vita attraverso Swedenborg. Per paura di perdere la ragione egli ha creato la sua cosmogonia ordinata, priva di pazzia quanto più possibile. La storia del pensiero occidentale è, dal tempo di Kant, una storia di rimozioni.

A partire da Kant la prima cosa che è stata rimossa è stata la realtà, da allora semplicemente definita cosa in sé.  La cosa in sé è la chiave della comprensione. È la cosa in sé il problema e il fatto che non si possa toccarla, sentirla, pensarla, se non attraverso noi stessi. Abbiamo unito soggetto e oggetto in una cosa sola, sempre e comunque convinti della superiorità del soggetto. Ma è l’oggetto la chiave di tutto. Noi emergiamo dalla realtà degli oggetti, oggetti a nostra volta, con una particolare forma di cecità. Siamo un buco nel tessuto del mondo, fatto di percezioni. Siamo il buco. Un buco con la Realtà intorno.

Rendersene conto è il primo passo.