La
mia vita è monotona, mediocre, ripetitiva, stancante. Ne ho passate talmente tante che che mi va bene così, ormai. Una vita diversa, come la vorrei, non è probabile, almeno a livello lavorativo. Però chi sa. Uno spiraglio lo tengo sempre aperto.
Ho due lavori, il che, in un momento di crisi è buona cosa, ma insieme mi fanno poco più di uno stipendio medio, qui al nord: 1500 euro mensili per capirci. Il mio lavoro principale, mi consente di avere il tempo di leggere e scrivere. Senza questa possibilità,
sarei perduto.
Ho dunque, nella mediocrità, un certa fortuna. Ben meritata, se penso che sono stato precario e ridotto a lavori di merda, dai 40 ai 45 anni. Proprio nell'età in cui avrei dovuto, come si dice, cominciare a godere dei frutti, ho perso tutto quel poco che avevo. Quello che sta succedendo a molti adesso, a me è successo 10 anni fa. Sempre fuori sincrono.
All'epoca non potevo neanche godere del mal comune, che come si dice ...
Se penso che ho vissuto momenti in cui non avevo neanche i soldi per mangiare, quello che ho adesso, con tutta la sua mediocrità, ripetitività e stanchezza, mi va bene.
Da un paio di anni, però il mio corpo si ribella. Soffro di attacchi di panico. Mi è precluso prendere un aereo. Non
riesco a guidare in autostrada o nelle tangenziali. Sto bene in pratica, solo se non sono costretto a uscire di città. Siccome non mi è possibile (grazie alle amorose e direi incalzanti insistenze della mia compagna) seguire questa inclinazione, ogni vacanza per me è un dramma.
La mia compagna, già. Vivo da
quasi otto anni con questa donna a cui voglio molto bene e che amo, ma con la
quale ho un rapporto conflittuale e spesso frustrante. Su questo di più non
voglio dire, per rispetto e pudore
La
realtà della mia vita è questa. Questa.
Non
ci sono cieli nuovi e mondi nuovi, per me.
Sono
un grigio ometto del XXI secolo, un topo di città, pieno di problemi. Non voglio finzioni. Nulla al ver detraendo, diceva il Leopardi. Non voglio edulcorare nulla.
Non
ho mai voluto aderire ai “valori” della società in cui vivo.
Ho sempre provato
repulsione per le cose che sembravano, chissà perché, interessare ai più. E quindi
ho coltivato la mia diversità, senza ritegno, né intelligenza: il mio mondo interiore, le mie mitologie.
Ho fatto il bohémien senza averne la vocazione. Sono sempre contro tendenza, anche contro me stesso.
Non per questo
mi sento libero, perché il mondo intorno mi schiaccia. Avrei voluto essere accettato, un tempo, ma era una pretesa puerile, essere accettati senza accettare le regole del gioco. Adesso "accetto" il mio isolamento. Non sono un
outsider, ma un insider scontento.
Certi giorni mi sento ancora sul punto di decollare, finalmente, ma
la realtà è che sono sicuramente più vicino all'atterraggio che al decollo.
Quanto tempo ho perso, che non mi verrà mai restituito, correndo dietro a sogni e incertezze. Io solo ne sono
responsabile, anche se non c’è nulla di quello che ho fatto e vissuto nella mia
vita, che avrei potuto o saputo fare diversamente, nel momento in cui l’ho
fatto.
È
sempre stato tutto così strambo, per me, tutto sempre fuori tempo massimo.
Non
ho mai fatto parte di niente, veramente.
In questo mondo, sono come uno che è
salito sull’autobus sbagliato e ha mancato un appuntamento importante, perdendosi per giorni interi dall'altra parte della città.
Sono
come uno che non ha mai accettato le regole del gioco, pur facendo finta di
capirle e accettarle.
Sono come uno che tutti pensano in un modo, invece è in un altro e viceversa.
Sono
come uno che non vuole starci, non ha mai voluto starci, in mezzo a quegli ipocriti, ma che soffre di
solitudine e, a volte, quegli ipocriti mancano.
Sono
come uno che ha preso solo cavalli sbagliati.
Sono
come uno che arriva a una festa dove non conosce nessuno e nessuno bada a lui ma non ha la forza di inserirsi sfacciatamente, anche a costo di farsi insultare e se ne torna a casa, solo come sempre.
Sono
come quello che ai colloqui viene sempre scartato, perché non appare sufficientemente motivato.
Sono
come una comparsa di un film muto.
Sono l'orfanello arrabbiato, il bullo pentito, la debole vittima del cattivo di turno.
Sono
come quell’indiano che viene ammazzato nei film western e cade da cavallo ai
margini dello schermo, mentre l’azione e gli eroi sono al centro. Nessuno quasi
lo nota cadere. Io invece, fin da piccolo, guardavo proprio quelli che morivano al margine dello schermo, invisibili a tutti e
li sentivo fratelli.
Sono
come uno che arriva sempre ultimo e che quando arriva penultimo, si dispiace per
l’ultimo.
Sono
la pietra scartata dal costruttore, la partita di merce da cambiare, il
prodotto che non si vende, la seconda o terza scelta.
Sono
il bambino che gioca solo.
Sono
quell’uomo laggiù, seduto solo in un bar.
Sono
l’ambulante sotto la pioggia cui nessuno compra nulla.
Sono
come il Vagabondo di Charlot, senza le capacità acrobatiche.
Sono l'uomo nudo alla festa, ma con la faccia coperta.
Sono il patetico orfanello.
Sono
la persona sbagliata al momento giusto.
Sono
quello che fa fatica, ogni giorno, ogni settimana, senza scopo, senza calcolo,
solo perché non sa che altro fare.
Sono
quello che cammina senza meta.
Sono
quello che piange per una parola d’amore, ma se ne vergogna.
Sono
quello che non capisce mai bene quello che gli viene detto.
Sono
quello che va avanti, come un mulo, perché ha paura di fermarsi.
Sono
quello maldestro, a cui sfuggono tazzine e piatti e fili e pinze e non vede
nulla intorno a sé.
Sono
quello che sorride imbarazzato.
Sono
quello che quando si arrabbia, balbetta.
Sono
quello che alle feste cui viene trascinato, fa finta di divertirsi.
Sono
come quell’uomo strano, che la gente evita.
Sono
quello che da una montagna fa partorire un topolino. E viceversa.
Sono
quello che vedi ogni sera quando entro dalla porta, con il mio sacchetto di
libri in mano.
Sono
quello con l’occhio miope proiettato verso il futuro.
Sono
quello che sente il furore delle cose intorno a sé e che nessuno ascolta.
Sono
quello che cerca di sollevare quella ruota staccata dal carro e piove e nessuno
lo aspetta. Arriverà a casa fradicio e gli chiederanno “dove cazzo eri finito?”
Sono
un uomo così.