Prima
di cominciare, bisogna dire che porsi l’obiettivo di analizzare i 40 brani è da
un lato un compito ingrato e, da un altro lato, completamente inutile.
Indagare
sull’astrattismo ha sempre in sé una sfumatura di ridicolo che aumenta man mano
che l’indagine prosegue. Non si troverà l’assassino, alla fine del giallo, ma
solo il cadavere consunto di noia dell’investigatore.
Non
ci sono interpretazioni dei significati dei testi, o meglio, ce ne sono
migliaia e tutte potenzialmente valide. Molti ci hanno provato e anche con
risultati interessanti (in Rete c’è una pletora di interpretazioni: psicanalitiche,
filosofiche, matematiche, logiche). C’è chi trova nei bianchi citazioni del
Petrarca, chi i numeri di Fibonacci, chi informazioni criptate sulla vita
quotidiana del cantante … la sensazione che se ne trae è quella inquietante che
tutte queste interpretazioni potrebbero essere vere e false a un tempo.
Panella
disse a suo tempo che le parole hanno significati molteplici e che il suo
“gioco è proprio trascorrere e percorrere la parole e i sensi. Invito al ritrovamento
di un tesoro che nessuno vuole trovare. E soprattutto sfuggo il senso unico, o
meglio l’unico senso.”
L’impronta
che si ricava dalle parole di Panella è quella dell’avanguardista stanco di se
stesso: un avanguardista che non ha più bisogno di essere tale. Tutte le retroguardie
sono rientrate, ormai, e la guerra, mai vinta e mai combattuta, è finita laggiù,
da qualche parte degli ultimi anni del novecento, prima di cominciare. Panella
pare sempre parlare da dietro un sbadiglio di noia, vezzo che si concedono
molti pseudo artisti: a lui glielo si può anche perdonare. Battisti invece era
un entusiasta del lavoro, un perfezionista. La produzione BP riflette questo
strano connubio di noia partecipata: lo sforzo di tenere insieme due mondi
distanti che per otto anni ha funzionato.
I
cinque album parlano direttamente dal fondo opaco in cui le cose e le parole si
confondono. Parlano di cose oltre le cose, apparentemente riconoscibili
(L’Apparenza è un'altra parola chiave) in realtà inconoscibili e sconosciute.
Tutto
quello che si può fare è giocare con la percezione che questi brani producono e
perdersi completamente.
Il
primo dei cinque bianchi non è bianco, in realtà, ma di un marroncino beige
chiarissimo.
In
copertina un attaccapanni alquanto stilizzato da cui pende una sciarpa
d’artista, di quelle lunghissime alla Fellini, per intenderci, lascia ben poche
indicazioni sul contenuto del disco.
Nel
1986, in pieno decennio pop elettronico, testi intellettualoidi, densi di
richiami alle tradizioni del novecento, alla letteratura, alla psicanalisi,
mescolate a melodie accattivanti, dopo l’enorme successo di Battiato, non sono
più una novità per gli ascoltatori.
A
Drive In, trasmissione esemplare del decennio, si prendono in giro le
pretese intellettuali di Sting, che fa canzoni basandosi sulla psicanalisi di
Jung.
Perfino
i Matia Bazar cominciano a fare testi ermetici e minimalisti, con canzoni tipo Aristocratica
o Vacanze romane.
Insomma,
il pubblico è diventato onnivoro: difficile disorientarlo. La cultura ufficiale
stessa viene presa e frullata nel calderone di superficialità commerciale di
quegli anni di cosiddetto riflusso.
Tuttavia
anche nei rifluenti anni Ottanta il nuovo album di Battisti, lascia
sbalorditi pubblico e addetti ai lavori.
Dopo
quattro anni dallo sperimentale e non del tutto riuscito Eh già, con
testi della moglie (o forse di Battisti stesso? Mistero mai svelato), per di
più un nuovo album senza Mogol, è un evento che non può lasciare indifferenti.
Battisti
aveva già abituato i suoi fan a sorprese inaspettate.
Da
Anima Latina in poi (del 1974: album tra i più ricercati, raffinati e
profondi della discografia non solo di Battisti, ma della musica leggera
italiana) la coppia Battisti – Mogol esplora tutti i ritmi e i riti della
cultura popolare.
Ecologisti,
terzomondisti, ribelli, anti consumisti in un’epoca in cui era di moda esserlo,
i testi di Mogol sembrano compendiare a tratti Eros e Civiltà di
Marcuse: portavoce di un’epoca in cui l’immagine dell’intellettuale anti
borghese aveva ancora un suo senso.
Nonostante
i belli ma “furbi” testi di Mogol la curiosa e inarrivabile capacità di
Battisti di creare canzoni che echeggiano l’epoca nella quale sono state composte
e nello stesso tempo la trascendono, sembra crescere sempre più.
Marciare
insieme al tempo e esserne al di fuori: questo è il segreto di Battisti.
Gli
anni Ottanta iniziano con la fine del sodalizio con Mogol.
Sui
motivi di questo distacco tutto è stato detto ed è inutile aggiungersi ai cori
di deprecazione o felicitazione.
Gli
ultimi due album fatti con Mogol hanno un gran successo, ma qualcosa già si
nota che stona. Una donna per amico (1979) e Una giornata uggiosa
(1980) sono due perfetti successi commerciali.
Chiunque
si potrebbe accontentare. I tempi sono quelli che sono. Finita la deriva
ecologista i testi di Mogol accennano a un proto femminismo, a una incipiente
stanchezza delle ideologie. Anche la musica di Battisti sembra in qualche modo
appiattirsi nella facile melodia, nella giustificazione delle cose come
stanno, sia in senso letterale che in quello musicale.
Su
questa china a breve si può solo arrivare alla ripetizione e alla stanchezza,
la macchietta di sé stessi, la stessa irrinunciabile canzonetta di successo
ripetuta ogni anno.
Ma
Battisti non si accontenta del successo. Battisti non può e non vuole tutto
questo.
Non
vuole più, forse non lo ha mai voluto.
Lui
è diverso e lo sa. Lui è veramente diverso. È disposto a tutto.
Quello
che Battisti vuole è andare avanti, ricercare, trasformarsi, perdersi e
ritrovarsi.
Ricordiamo
sempre i due aspetti fondamentali della psicologia artistica di Battisti:
volontà mimetica e desiderio di trascendersi, non essere mai dove si
è, un modo per riconfermarsi sempre numero uno.
Patologia
e immenso valore artistico, sempre in bilico.
Volontà
di autodistruzione e desiderio feroce di perdersi dentro la propria opera,
unito a un altrettanto feroce sentimento del proprio valore.
Come
un Proust che si seppellisce in casa per completare la Recherche e
rinnega sé stesso a favore dell’opera, così Battisti rinnega la propria
immagine pubblica, azzera sé stesso definitivamente per diventare autore totale.
Ha
già smesso da qualche anno di apparire in pubblico. Ora cesserà totalmente di
cercare di favorirlo. Non concederà più interviste. L’ultima è del 1980,
per la TV svizzera.
Chi
potrà mai prendere il posto di Mogol?
Pasquale
Panella, classe 1950, incontra sulla sua strada Battisti grazie ad Adriano
Pappalardo. Tra Pappalardo e Battisti c’è una amicizia di lunga data.
I
due condividono la passione per le immersioni e Pappalardo è stato una promessa
nella scuderia della Numero Uno, la casa discografica fondata da Mogol e
Battisti. Insomma, si gioca in famiglia, si può dire.
Panella
sta scrivendo i testi per l’album di Pappalardo Oh, Era ora. Battisti ne
sta curando gli arrangiamenti. È un disco stranissimo, inconsueto, e non
stupisce che non avrà riscontro. In quell’inizio anni Ottanta pare proprio che
Battisti e suoi collaboratori si mettano di impegno per remare contro qualunque
probabilità di successo.
Battisti
rimane colpito dai testi di Panella, che usa lo pseudonimo Vanera.
Panella
ha scritto per il teatro, è un giocoliere della parola, conosce le sfumature,
dosa sentimenti e ridicolo con maestria incredibile. È, in una parola, un
poeta, un vero poeta, uno che sa. Questo basta per Battisti.
È
il 1983. Battisti vuole che Panella faccia i testi del suo prossimo disco. Lui
farà le musiche e per i testi lascia assoluta carta bianca al poeta.
È
fatta. Inizia il viaggio.