Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

venerdì 19 ottobre 2012

Piccoli deliri di onnipotenza


Albert Caraco (1919 - 1971). O della lucidità estrema

Io mi barcameno da sempre tra la paura di morire e il desiderio che ci sia qualcosa oltre questa pena. Non credo in nulla e tuttavia non credo di non credere.
Non posso essere coerente, perché non posso decidermi per una visione o l’altra. Ho il vizio e la tentazione di lasciare sempre tutte le porte aperte. Il risultato è che vengo risucchiato da una corrente all'altra.
Mi spiego: da un lato credo (sempre questo fastidioso verbo in mezzo ai coglioni) che Caraco, con la sua esasperata lucidità, faccia una pippa a Cioran e arrivi al punto. Niente illusioni. Da un altro lato io, nella mia vita, ho pur tuttavia sperimentato la cosiddetta felicità. Proprio così, nella mia meschina vita ho potuto assaporare grandi gioie, pur se insieme a dolori atroci. Quindi, so che la felicità esiste.
E questa cosa pende sul piatto della bilancia.
Al di là dell’esattezza filosofica delle sue conclusioni, Caraco, era un uomo assolutamente coerente. Si definiva duro, incapace di piangere. Aveva deciso (a torto o a ragione è inutile discuterne) cosa fosse vero per lui e aveva agito di conseguenza. Questa è virtù, una caratteristica che lo rende membro di una piccola ma potente schiera di uomini tra cui ci mettiamo Montaigne: uomini coerenti con se stessi. Montaigne amava la vita, Caraco no. Entrambi hanno saputo vivere secondo le proprie scelte e hanno saputo morire.
Entrambi avevano coraggio, sia pure applicato in modo diverso.
Il coraggio è sempre la chiave di tutto.
Albert Caraco, uomo di elegante nonchalance, solitario, nomade, aveva deciso di continuare a vivere per “gentilezza verso i suoi genitori”. Dopo la morte della madre, accudì il padre per vari anni, facendogli compagnia e sostenendolo nel dolore per la perdita della moglie.
Il giorno dopo la morte del padre, prese dei sonniferi e per essere proprio sicuro di morire, si tagliò la gola con un rasoio.
Cioran, al confronto, dopo una vita di geremiadi contro l'esistenza e perorazioni a favore del suicidio, è rimasto a farsi cambiare il pannolone, demente per l'Alzheimer.
Coerenza e coraggio di Caraco, mestizia di Cioran.
Non bisogna arrivare agli estremi, o meglio, non è necessario arrivarci, a meno che non si abbia la stessa concezione esistenziale di Caraco.
Io credo, dal canto mio, che la vita sia un mistero pieno di dolore e gioia. Può darsi che sia una che l’altra siano illusioni.
Credo anche che bisogna volere bene, come dice alla fine del libro il protagonista di La vita davanti a sé, di Romain Gary.
Credo anche di cadere troppo facilmente nelle stronzate letterarie. Credo proprio che dovrei finirla qui con le idiozie: comportarmi da adulto, cioè da morto. 
Ma non credo di poterlo fare. 
Sono sempre stato un po' troppo pazzo, senza volerlo. E questa pazzia mi serve, per non morire.
Alla fine bisogna trovare anche la propria dimensione di follia. Vengo attratto da forme vitali che mi affascinano. 
Le vite portate all'estremo della coerenza trovo che siano eleganti, come equazioni matematiche. Folli e dolorose. Uomini pazzi e forti. Non ce ne sono più. 
Oggi nessuno è forte. Nessuno è niente. Forse nessuno lo è mai stato. Almeno, io non lo sono. Inganni e auto inganni. Solo la coerenza fino al fanatismo, nella sua follia, può dare un senso alla vita. Ma il prezzo da pagare è troppo alto. 
Finché si è attaccati alla vita è meglio rimettersi le maschere della finzione sociale. Sotto le maschere la vita palpita, che è  tutto quello che conta. Vivere, vivere, è tutto. 
Mistero, buio, luce. Miseria. Grandezza. 
Ogni cosa è contenuta, in sordina, in queste sterili giornate che viviamo, giorno dopo giorno, lontani da ogni idea di rivoluzione, nel mondo sempre uguale del Capitale.
L'istinto della pazzia, però, rimane.
Dovrei uscire e schiantarmi con la macchina, per vedere se c’è la luce di là.
Dovrei ricominciare a drogarmi. Ricominciare adesso, a 50 anni. Dovrei fare delle orge. Tutte cose già fatte, ma che solo adesso potrei apprezzare pienamente. Allora c'era la smania di accumulare esperienze, anche stupide e improduttive, ora c'è il desiderio di vivere la realtà in un delirio sensuale definitivo. Alla scemenza giovanile è subentrata la decadenza. In fondo è tutto così banale. 
Dovrei fare qualcosa, non so cosa, ma sarà qualcosa di enorme, diceva Re Lear. 
Shakespeare la sapeva lunga sugli uomini. 
Piccoli deliri di onnipotenza. Ogni tanto mi capita. Subentra il pudore, che rimette a posto tutto.
Alla fine solo i pazzi vivono. Per questo dobbiamo custodire la nostra pazzia come un tesoro prezioso. Al giorno d'oggi la pazzia è sprecata. Tutti fanno i pazzi. Pazzo è bello, dicono. Gli spot pubblicitari sono pieni di gente pazza, che crede di essere divertente. 
La gente mediocre finge di essere pazza e invece è solo fastidiosa. Si ubriacano alle feste e si comportano come teste di cazzo. Fanno i goderecci ma dietro le loro facce traspare solo l'idiozia. Tutti osannano i pazzi, ma la pazzia vera è un’altra cosa. La pazzia è osare andare fino in fondo ai propri deliri di onnipotenza e farsi sputare addosso. Farsi crocifiggere e fondare una religione. Abbracciare i passanti. Aspettare l'alba in cima al Krakatoa.
Restare vivi è la vera pazzia. 
Pazzia vuol dire essere posseduti dal dio Pan. 
Pan, da cui deriva panico.
Io soffro di attacchi di panico, so cosa vuol dire essere posseduti da quel dio. 
L'altra faccia della pazzia è il terrore. L'altra faccia dell'ebbrezza è l'incubo. 
Pazzia è pagare il prezzo della propria esistenza. Fottere la merce. Essere un servo che tratta con noncuranza un re. Fare l'equilibrista sopra le frasi fatte. Amare un volto di donna e seguirlo nella folla. Sparare addosso alla televisione accesa.
Andare dovunque, quando non c'è nessun posto dove andare. Nel mezzo del dolore, notare la forma di una grondaia in mezzo alla luce del giorno e sentirsi tranquilli.
Seguitare giorno dopo giorno e dirsi, va bene così, lo rifarei. Anche se non ne posso più. Fino all'ultimo respiro.