Ho voluto (ammetto, forse un po' troppo poco modestamente) cimentarmi nella traduzione di questa poesia della Sexton. Da non amante della poesia (anche per i miei trascorsi di frequentatore di poeti), amo tuttavia da sempre la Sexton, come pure molta produzione anglosassone. Il problema come sempre è nelle traduzioni. Ho optato per il fai da te, e l'inghippo è sicuramente in agguato. Questo testo è straordinariamente difficile da rendere. Specialmente la frase finale mi ha fatto dannare.
Spero abbiate comprensione e che nonostante il dilettantismo, qualcosa di questa lirica, densa e desolata, sia passato.
Nel mio sogno
reale fino al midollo
cammino su e giù per Beacon Hill
cercando un cartello stradale,
Mercy Street.
Non c’è.
Provo per Back Bay.
Non c’è.
Non c’è.
Eppure conosco il numero,
Mercy Street, 45.
Conosco il vetro colorato
della finestra nell’atrio,
le tre ali della casa
con il parquet sui pavimenti
Conosco i mobili e
Mamma, nonna e bisnonna e servi.
Conosco la credenza con gli Spode*,
la vaschetta del ghiaccio, argento solido,
dove il burro posa in bei quadrati,
come strani denti di gigante,
sul grande tavolo di mogano.
Lo conosco bene.
Non c’è.
Dove siete andati?
Mercy Street, 45,
con la nonna inginocchiata
nel suo corsetto di stecche di balena
che prega, a bassa voce, ferocemente,
davanti alla bacinella,
alle cinque del mattino
a mezzogiorno,
sonnecchiando sulla sedia a dondolo
il nonno schiaccia un pisolino nella
dispensa,
la nonna suona il campanello per la
cameriera, di sotto,
e Nana culla Mamma, con un fiore gigante
sulla fronte, per coprire un ricciolo
di quando era buona ed era …
E là, dove fu concepita,
e, dopo una generazione,
me,
la terza che avrebbe concepito,
la terza che avrebbe concepito,
un fiore di nome Orrido, sbocciante
da un seme straniero.
Cammino con un vestito giallo
e una borsetta bianca piena di sigarette,
pillole, portafogli, chiavi
e ho ventotto anni, o quarantacinque?
Cammino. Cammino.
Accendo i fiammiferi ai cartelli stradali,
perché è buio,
scuro come pelle morta
e ho perso la mia Ford verde,
e la mia casa nei sobborghi,
e due bambini piccoli
succhiati via come polline dall’ape che sono,
e un marito,
che si è seccato gli occhi
per non guardarmi più dentro,
e cammino e guardo
e non è un sogno,
ma solo la mia vita,
dove le persone sono alibi
e la strada è perduta
per sempre.
Indosso gli occhiali scuri.
Non mi importa.
Imbullona pure la porta, pietà,
cancella il numero,
strappa via i cartelli stradali.
Cosa può contare,
cosa può contare questa spilorcia che sono,
chi lo vuole un passato,
che uscì da un morto battello
lasciandomi solo della carta?
lasciandomi solo della carta?
Non c’è.
Apro la borsetta,
come fanno le donne,
e pesci nuotano avanti e indietro
tra le banconote e il rossetto.
Li afferro uno per uno
e li getto ai cartelli stradali,
e lancio la borsetta
nel fiume Charles.
Poi tiro fuori il sogno
e lo getto sul muro di cemento
dello stupido calendario
in cui vivo
la mia vita,
e i suoi faticosi
taccuini
Anne Sexton
* Una tipica porcellana inglese, credo.
Ho letto anche l'originale e mi sembra proprio che hai fatto un ottimo lavoro, sei riuscito a restituire l'atmosfera ed il senso di gelo interiore, di spreco, di devastazione e fatica.
RispondiEliminaE' una poesia anche molto plastica, materiale, di oggetti che però rimandano ad altro.
Bravo. Fa bene ogni tanto cimentarsi con le traduzioni, è un lavoro molto più creativo di quello che sembri.
Troppo buona, Biancaneve. Grazie.
RispondiEliminaMolto bella questa poesia. Non conosco l'originale (si può trovare su internet?) però gli hai dato un bel ritmo. Ha un bel ritmo.
RispondiEliminaSì, Dinamo, l'originale si trova in Internet e da lì si capisce che questa traduzione poteva essere migliore ... è veramente pazzesco renderla in italiano. Grazie, comunque.
RispondiEliminaNon so se esiste un'altra traduzione in rete,ma credo che hai tradotto bene questi significativi versi di Anne..ritornerò al capitolo mercy Street di "una vita" per capire meglio ogni sua sfumatura..grazie
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