Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 5 dicembre 2019

Il paradiso di Goebbels


Il XXI secolo sarebbe stato il paradiso di Goebbels.
Il nazista sarebbe estasiato dalle infinite possibilità di gabbare la gente offerta dalla tecnologia. Questo secolo ama la propaganda, vive di essa, si nutre di sensazioni, emozioni, mezze verità, piegate e piagate per plasmare la cosiddetta opinione pubblica verso destra, verso sinistra, sopra o sotto, secondo la convenienza del momento. Siamo al Black Friday delle opinioni, ognuno ordina on line la sua, se la fa su misura, in uno stordimento generale che aumenta l’immane confusione che c’è sotto il cielo. Masse addormentate e addomesticate da giochini, Internet, TV e aria e cibo inquinati assimilano tutto ciò che vola raso terra con una prontezza inquietante, senza farsi una domanda, senza andare oltre il proprio smartphone (che ha preso il posto del naso), senza il rischio che sorga uno straccio di visione d’insieme. E dove non è più possibile una visione critica d’insieme, la volontà del cittadino virtualmente cessa di esistere. Ci sono solo reazioni emotive, automatiche, acefale.
Ci mancavano le “sardine”, poveri esseri, magari pure convinti di essere in gamba, presi e stritolati dai media che non vedevano l’ora di un nuovo filone da esaurire.
E intanto la protesta contro il “clima d’odio”, nato dall’odio nei confronti di un uomo politico, ha tutto l’amaro sapore di un inconfessato desiderio di guerra civile. Lo hanno detto che lo vorrebbero appeso per i piedi in piazzale Loreto o preso a sprangate sulle gengive. Lo hanno detto, anche se hanno cercato di rimangiarselo. Lo hanno detto che lo odiano e, come conseguenza odiano i milioni di persone che lo votano o vorrebbero votarlo. E questa cosa, in democrazia, è assai preoccupante. C’è una gran voglia di menare le mani, in questo paese. Ci sono troppa rabbia e troppa frustrazione, accumulate in anni. Quanto più la società vira verso il più esasperato e frustrante individualismo consumistico, quanto più ci si inventa un finto collettivismo, una partecipazione a compartimenti stagni che crea divisioni, tifoserie, scuderie che si combattono senza esclusione di colpi.
La disoccupazione, la cronica carenza di infrastrutture, la burocrazia demente e demenziale, l’impoverimento atroce delle fasce medio basse, legato a politiche economiche e migratorie poco lungimiranti (per usare un eufemismo), insomma tutto ciò che è veramente alla base dell’odio sociale che si sta diffondendo, non conta. È sufficiente scegliere un bersaglio, il comune nemico. Chi meglio del cattivone Salvini?
Le “sardine” si muovono in banchi. Il nomignolo scelto è sintomatico dell’epoca. Esseri con un cervello piccolo che non possono fare nulla da soli si muovono a caso in acque profonde. È facile farli andare dove si vuole. È facile fare nascere incidenti, di cui naturalmente sarebbe responsabile Salvini. E intanto da altre parti i giochini continuerebbero.
Povera patria, cantava Battiato.
Naturalmente è ancora più facile che tutto si sgonfi come una pizza mal lievitata. Non scordiamoci mai che questo è il paese dei tarallucci e vino. Qualunque tipo di metafora culinaria va bene, in un paese votato più al cibo che al sol dell’avvenire. Bella ciao all’aglio, olio e peperoncino. E sardine sott’olio, che c’hanno pure gli omega 3.

venerdì 4 ottobre 2019

Il mondo salvato dalle ragazzine

Il fenomeno Greta Thumberg  è sintomatico di un'era che, nonostante l'enorme sviluppo tecnologico, riscontra un ridotto sviluppo razionale. L'umanità presa nel suo complesso, con tutti i suoi sette miliardi e mezzo di individui, può essere raffigurata come un un adolescente di 14 anni non particolarmente intelligente. Per cui Greta è la perfetta rappresentante dell'umanità perplessa di fronte ai guai che ha combinato.
Non poteva essere che una ragazzina, in più affetta da sindrome di asperger, a farsi portavoce del nuovo ecologismo che avanza. Un ragazzino, un maschietto, probabilmente sarebbe stato troppo occupato a masturbarsi con youporn o giocare a Call of Duty. Doveva per forza essere una ragazzina. Forse grazie a lei risolveremo alcuni problemi, dato che i potenti si sono commossi. Diverremo tutti gli attenti soldatini della monnezza. È come ci vogliono i potenti. Ebeti che fanno la raccolta differenziata  e utilizzano le tecnologie green, zombie ecologici. La colonizzazione della Galassia è un'eventualità remota, irrealizzabile per ora e forse per sempre, anche se secondo Elon Musk dovremmo già sfrecciare oltre gli anelli di Saturno e messi in grado di respirare acido cianidrico senza conseguenze, grazie alla tecnologia. Ma poi chi ci andrebbe sulle stelle? Tante piccole greta e compagni? Non credo. Loro, il nostro futuro, i futuri umani, hanno poche idee, ma molto chiare: più green, più divertimento bio, niente più cose brutte e cattive. Salviamo il pianeta. Finalmente lo spot della Coca Cola troverà la sua epica, perfetta, commovente realizzazione.
No, le stelle o la prospettiva di una estinzione gloriosa, possono aspettare.
Meglio mangiare cacchine bio e farsi le seghe sulle nuove tecniche di filtraggio che ci permettono di bere la nostra stessa urina in 8 gusti diversi. Meglio viaggiare come ragazzini di 12 anni su monopattini ad alta velocità, sfrecciando ecologicamente su e giù per le strade. I prossimi anni vedranno tante splendide folle di coglioni in monopattini multicolori e biciclette a pedalata assistita per i più anziani. Tutti in tuta, tutti belli, tutti sani, con o senza reddito di cittadinanza, tutti intenti a sfrecciare in mezzo a torme di immigrati irregolari che stazioneranno ovunque sulle strade cagando e pisciando dove capita, d'altra parte non è colpa loro se non c'è posto. Ci aspetta un paradiso green, è inevitabile, la parola inglese non viene nemmeno più segnata in rosso dal correttore word, ormai è fatta.
Naturalmente le cose sono un po' più complesse. Un cambiamento di mentalità generale è auspicabile. Estiguerci sarebbe più teatrale, pochi son disposti. Ma già lo sappiamo, usciremo di scena con una scorreggia e non con una fiammata.

sabato 7 settembre 2019

Enjoy the real thing



È assolutamente funzionale e in armonia con le regole della natura che il debole soccomba e il forte sopravviva. Il forte, come aveva giustamente intuito Nietzsche, non è il migliore, ma solo il meglio adattato. La natura non mantiene in vita eccezioni. Gli esseri eccezionali vengono spazzati via al pari degli esseri mal riusciti. Solo il medio sopravvive e prospera. È così che la natura si perpetua. È per questo che a capo delle élite non ci sono esseri eccezionali, ma esseri medi altamente funzionali. L’eccezione, il genio, influenza in qualche modo la società, presto o tardi, ma sempre come dall’esterno e sempre a scapito dell’individuo di genio stesso, che in qualche misura rappresenta un vicolo cieco esitenziale. Ecco perché una società non può in alcun modo essere governata da persone di genio. È semplicemente innaturale.
Il funzionamento della società prevede la divisione dei compiti e naturalmente (questo avverbio non può fare altro che ricorrere) le élite altamente funzionali utilizzano l’opera delle classi inferiori per prosperare. In natura ci sono innumerevoli esempi di questo tipo. Il parassitismo è comunissimo, come la simbiosi o la mimesi.
La dialettica servo padrone comincia al baluginare delle prime società di agricole, man mano che i nostri antenati smettevano di essere cacciatori – raccoglitori. Serviva che qualcuno guidasse e qualcun altro si sottomettesse. Sono tutte cose già risapute, ma saperle di nuovo è sempre utile per capire a che punto siamo.
È dunque altamente funzionale che le società umane (tutte) prevedano qualche forma di schiavitù reale o virtuale, volontaria o involontaria. Non affermo che ciò sia bello, o giusto, o peggio ancora che io sia d’accordo con questo, anzi tutto ciò mi ripugna. Ma dal punto di vista naturale questo è il metodo migliore per far funzionare le cose.
La società umana è parte della natura, al pari delle dighe costruite dai castori, dei termitai, dei formicai e dalle mandrie di caribù. La differenza può essere qualitativa, ma l’essenza è la stessa. La cultura è il nostro esoscheletro. Un essere umano non può semplicemente esistere al di fuori di una cultura, di qualsivoglia tipo. Chi, per qualche motivo (è il caso dei cosiddetti “ragazzi lupo” o di Kaspar Hauser) cresce fuori dal contesto umano, non acquisisce caratteristiche umane, ma rimane un essere che non è né umano, né bestia. L’anima umana non può fiorire che nella “cultura”, cioè nel sistema di linguaggio simbolico e mitico che informa gli umani in un dato territorio.
Ecco dunque che quel grande organismo naturale che è la società umana globale prospera attraverso la divisione in classi (cioè in sfere di influenza) e naturalmente sono le classi più potenti che si accaparrano le risorse che le classi più deboli possono godere solo in misura nettamente minore. Noi pensiamo che ciò sia orrendo perché veniamo da secoli di retaggio cristiano nel quale ci viene insegnato che i poveri sono benvoluti da Dio e i ricchi alla fine andranno all’inferno, ma naturalmente questa è una stronzata che i ricchi si sono inventati per fare stare tranquilli i poveri. In realtà se un Dio esiste, esso è evidentemente, inevitabilmente, inequivocabilmente dalla parte delle classi e degli individui più ricchi, dotati e agiati. "A chi ha verrà dato,  a chi non ha verrà tolto anche quello che ha." Così c’è scritto nel Vangelo e il senso è inequivocabile. La Natura (maiuscola) va avanti in questo modo, eliminando o usando i più deboli per aumentare la forza dei forti. È per questo che Dio, se esiste, non è buono. La consolazione serve per mantenere a un livello accettabile la sofferenza dei deboli che altrimenti potrebbe intaccare l’equilibrio naturale, che prevede che qualcuno prosperi e qualcun altro soccomba. La prosperità universale, semplicemente, non è contemplata dalla natura.
Le culture orientali prevedevano che l’uomo, per essere felice (leggi: saggio) dovesse cercare di vivere in equilibrio con queste forze naturali e dunque comprendere il livello in cui si trovava e uniformarsi ad esso, sapendo che il Tao” tratta le diecimila creature come cani di paglia” e il wu wei (agire senza agire, cioè in realtà agire con distacco) è la chiave di tutto.
L’occidente non può agire con distacco, anzi crede anzi che l’individuo sia protagonista della propria vita. È a causa di questo atteggiamento intraprendente e guerresco che l’occidente ha conquistato il pianeta, al punto che oggi tutto è Occidente. Dal punto di vista naturale, esso ha prevalso, risultando nettamente vincitore. Si è creato dunque uno squilibrio. In natura gli squilibri, presto o tardi, portano all’estinzione dei fenomeni squilibrati. Anzi, lo squilibrio potrebbe benissimo essere uno dei mezzi con cui la natura azzera il campo di gioco, cancella la lavagna, resetta l’hardware. Piano piano, senza fretta. Va tutto bene, qualunque cosa accada. O va tutto male, qualunque cosa accada. Possiamo scegliere il nostro filtro interpretativo, per la natura è lo stesso.
Il motivo per cui in Occidente ha prevalso la visione progressista dell’esistenza (abolizione del tempo ciclico dell’antichità e credenza nell’idea di progresso illimitato) è racchiusa nella personalizzazione del principio primo della natura. Dio è uno, è maschio (inutile fare finta che non sia così), è il capo tribù che dobbiamo seguire per vincere sui nostri nemici. Questa è la concezione ebraica che ha prevalso e che poi si è mitigata con influssi orientali facendo sorgere il Cristianesimo con la sua grande invenzione dell’amore universale, la compassione, che in realtà esisteva già nel buddhismo, in forma più ascetica.
La compassione è dunque la grande scoperta, l’abbraccio che riscaldava le anime dolenti degli umili, degli schiacciati dalla grande ruota della macchina naturale. Era la parte materna che riscaldava il freddo glaciale dello spirito paterno, rendendo la vita sopportabile. Nasce il culto della Madonna, la Madre. Dove si va senza una Madre? Da nessuna parte.
Nietzsche aborriva la compassione, poi è impazzito abbracciando un cavallo maltrattato ed è finito a farsi cambiare il pannolone dalla mamma.
L’universo è un posto freddo e senza pietà. La Madre è il rifugio. L’uomo, nato da padre e madre, segue il suo Padre cosmico e brama la sua Madre cosmica per poter ritrovare ciò che ha perduto, da qualche parte, milioni di anni fa.
Ma naturalmente indietro non si può tornare. La conciliazione degli opposti non avviene mai, pena l’annullamento dell’essere. Ci si può solo muovere verso di essa. Bisogna camminare.
Restano però i deboli, i meno adatti, gli sfruttati, le classi inferiori. Che farne di loro?
L’ordine della natura ne prevede l’eliminazione progressiva. È atroce ma è così. È inaccettabile per noi esseri “civilizzati”, ma è così. Non si può dire  e soprattutto non lo si può pensare dato che noi stessi (perlomeno io) ne facciamo parte, ma è così.
L’eliminazione non si attuerà certo con i metodi brutali dei secoli passati o quelli tecnologico – apocalittici del novecento, ma con un progressivo indebolimento, imbastardimento, addormentamento delle coscienze. Gli innumerevoli esseri in sovrappiù, quelli che, se ne lamentava la Lagarde, vivono troppo a lungo, vanno piano piano lasciati al loro destino: basta erodere il welfare, basta aumentare impercettibilmente il costo della vita, basta che giovani di altre terre, prevalentemente maschi, possano entrare e prendere possesso dei territori, piano piano. Basta ottundere le menti con idee basiche, con false speranze, basta intorbidare le acque e piano piano tutto si sistemerà. I poveri aumenteranno sempre di più di numero e si noteranno sempre di meno e quando saranno maggioranza, si faranno fuori da soli. Mai e poi mai i poveri erediteranno la terra.
È semplice come la natura, perché la natura è semplice e crudele.
La natura è dalla parte delle élite, sempre. L’utopia è contro la natura. Il mistero atroce è questo. È eroico lottare contro la natura: è un'impresa che merita onore e rispetto. Ma bisogna che la realtà venga alla luce. L’amore continua a palpitare nei cuori degli esseri umani, questo povero amore fino all’ultimo splenderà nel buio. L’amore, prodotto della natura, è lo specchio che riflette e svergogna la natura stessa, la sua indifferenza. L’amore vince tutto, proprio perché è destinato a perdere sempre. Nella sconfitta, vince.
Dio si commuove, forse, da qualche parte, ma il corso della natura resta sempre uguale. È bene saperlo, bisogna avere il coraggio di vederlo.
Se dovesse mai accadere (ed è accaduto) che una classe ne rovesci un'’altra ecco che tutto rimarrebbe uguale. Semplicemente si riformerebbero altre élite che riproporrebbero il giochino, magari sotto il segno della pace e della fratellanza universali. Ma in realtà vi sarebbero ancora degli sfruttati, degli ultimi, degli abbandonati. L’utopia della ridistribuzione equa delle risorse è attuabile a un prezzo talmente alto che sarebbe incompatibile con le risorse realmente disponibili sul pianeta. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire, sopratutto a se stesso. Sarebbe come cercare di creare il moto perpetuo. Senza contare che il tutto potrebbe funzionare solo se gli umani fossero in un numero molto più basso e ragionevole. Ma questo non è il caso del pianeta Terra: non succederà mai che la popolazione diminuisca volontariamente. La natura da una parte vuole la crescita continua, dall’altra vuole la distruzione altrettanto continua. Una cosa non può esistere senza l’altra.E in mezzo ci siamo noi.
Rimane fissa l’idea tenace del progresso, dell’andare avanti in eterno, sempre avanti, sempre meglio, sempre di più. Verso dove? Verso il paradiso, la felicità, la coincidenza degli opposti, il Nirvana, i saldi a fine mese, le ferie, il domani, il comunismo, la pensione. In mezzo a questa tensione universale chi comprende il wu wei sa che lo Yang prevarrà sullo Yin finché lo Yin tornerà a prevalere sullo Yang e così via, in eterno. Perché darsi pena?
L’occidente, nella sua spinta inarrestabile, cerca metodi inconsci per fermarsi. Credo che l’Occidente lo desideri ardentemente questo declino che sembra non arrivare mai. Il tramonto dell’Occidente è lungo, molto lungo.Man mano che tramonta, tutto il mondo è diventato Occidente.
Ma alla fine della notte si vedrà la luce. La compassione trionferà. L’abbiamo sempre saputo. Il discorso della montagna, la rivelazione del Sutra del Loto sul picco dell’Aquila, i rotoli del Mar Morto, la Mecca, la Cappella Sistina … tutto ci porta lì.
Per capire bene di cosa si sta parlando, non c’è niente di meglio che guardare il finale della serie televisiva Mad men: il protagonista, un incallito pubblicitario in cerca di redenzione, ha una specie di satori in cui, al colmo della beatitudine, crea quello che poi sarà il jingle più diffuso e caratteristico di tutti i tempi.
Questo lampo di genio illumina l’universo e getta luce sul vero obiettivo dell’uomo, sullo scopo finale della sua venuta sulla terra. Ecco la conciliazione degli opposti, la perfetta armonia, la fine delle classi, il trionfo dell’umanità, ecco finalmente svelato il mistero di tanto lottare e tanto soffrire. Ecco il nettare degli dei.
Acqua zuccherata e anidride carbonica e qualche altro piccolo mistero mai svelato.
Enjoy the REAL THING!!

venerdì 6 settembre 2019

Disilludersi è un lavoro

Chi è onesto e intelligente non è convinto
Chi è intelligente e convinto non è onesto
Chi è onesto e convinto non è intelligente
Non si fugge da queste tre regole. Sono eterne e inappellabili. C’è da dire che si cade in uno dei bracci della triade a momenti alterni, per cui non sempre si è intelligenti o onesti o convinti. Dipende dal momento che si vive. Per cui ci vuole un po’ di indulgenza con noi stessi per essere stati spesso dei coglioni, cioè persone oneste e convinte.
Il comunismo, il PD, la Soka Gakkai, I 5stelle … la destra, la sinistra … scartavo una stronzata solo per finire in braccio a un’altra … a causa del mio anelito alla verità. Povero ragazzo. La mia coglionesca e romantica ricerca dell’assoluto mi ha fatto imbattere in menzogne di volta in volta sempre più elaborate a tal punto che differivano dalla verità solo per una virgola e quella virgola ci mettevi anni per vederla. E così è passato il tempo, da un giogo all’altro, e io sono diventato sempre più scemo e sempre più solo.
E così ho imparato la dolcezza della disillusione. La disillusione è stata un balsamo per la mia anima. I momenti più belli della mia vita sono stati quelli in cui ho perso un’illusione. Ogni volta mi sono sentito puro, leggero e disposto a salire alle stelle. Sono proprio un inguaribile romantico, quindi per definizione un potenziale coglione. Un coglione si risveglia dal sogno solo per finire dentro un altro sogno. Questo è più o meno quello che dice il taoismo. Ci si risveglia al fatto che si sta sognando, ma si continua a sognare.
Disilludermi è diventato un lavoro, quasi. Negli anni mi sono disilluso da persone, situazioni, movimenti. Cercavo di rimanere puro ed ecco che un’altra illusione mi si attaccava. Dovrei esprimermi in termini poetici, tirare in ballo le onde del mare e il deserto che fiorisce nonostante tutto e le montagne che sfidano il tempo e l’uccello che ogni mille anni con un ala le sfiora e di come tutto, ma proprio tutto verrà inghiottito dalla morte, senza appello e senza scampo.
E invece penso ai 5 stelle e a Casaleggio, al business creato con la complicità di Grillo, guitto senza più un palcoscenico nazionale e in odore di ecologismo: un business nato solo per creare profitti dalla politica. Tutto come da copione: i primi anni belli, sinceri, puri e poi l’impossibilità di dire realmente quello che si pensa, le epurazioni, l’emergere di figure più o meno carismatiche, il contrapporsi agli altri simulando (ma non del tutto consapevolmente) una superiorità etica indiscutibile. Tale e quale la Gakkai, solo che la Gakkai non faceva (formalmente) politica. E la gente ci credeva, nei 5 stelle, e hanno pure vinto le elezioni e io li ho pure votati. Due volte. Nel 2013 e nel 2018. E mi sono incazzato quando le manovre di palazzo di Napolitano hanno impedito nel 2013 ai 5 stelle di formare un governo la prima volta.
A mio parziale riscatto posso solo dire che non ho mai voluto coinvolgermi più fino in fondo, come ho fatto nel passato. Una piccola riserva mentale me la sono conservata, ma questa riserva era più sul fatto che difficilmente i 5 stelle avrebbero potuto attuare i loro propositi e che erano quasi sicuramente destinati al fallimento.
Ma la verità è che il loro scopo (o meglio, lo scopo dei suoi fondatori) non era realizzare il progetto di una società migliore.
È solo quando Salvini improvvisamente (?) “stacca la spina” del governo e fa ripiombare tutto nell’incertezza, che la faccenda si chiarisce. Vogliono le poltrone ad ogni costo, ecco cosa, per semplici questioni di soldi, e di un po’ di potere, certo, ma soprattutto di soldi. Tutto si riduce a questo, non c’è bisogno di tirare in ballo i rettiliani o gli Illuminati e forse nemmeno la BCE, sebbene quest’ultima sia ben contenta della piega presa dagli eventi.
Non credo che il Capitone sia una persona completamente onesta e nemmeno completamente disonesta. È il classico italiano che si barcamena tra onestà, disonestà, pochezza e ammuina, grandi progetti e pochi fatti: niente di nuovo insomma.
Ma i 5 stelle che erano così innovativi, così antisistema … e poi ti votano la von der Leyen. E Conte, tipica figura dell’ambiguo italiano che sorride e te lo piazza in culo nello stesso tempo. Che gente. Senza onore, senza dignità. Per forza. L’obiettivo è il proprio profitto, il profitto della Casaleggio, il proprio potere, la propria durata in un sistema chiuso di privilegi e totalmente autoreferenziale. È un sistema autistico come la piccola Thumberg, la ragazzina che vuole la salvezza del pianeta attraverso l’aiuto dei mercati. Poverina.
I 5 stelle vogliono la loro propria salvezza e niente altro. Non verranno più votati? E chi lo sa. L’italiano dimentica in fretta e la politica in Italia è una questione di tifoseria. Uno zoccolo duro prevarrà. Ma faranno di tutto per durare, perché è lo stipendio che vogliono. Niente altro che questo. Come non capirli?
Non posso fare altro che accettare che ci sono cascato ancora. È facile imbrogliarmi, dunque. Sono lento e farraginoso, lo si evince anche dalla scrittura. Avrei dovuto liquidare il fenomeno in dieci righe massimo e invece sto facendo una spataffiata logora come sono logoro io, senza più trucchi a disposizione.
La cosa più triste è vedere lo zoccolo duro degli elettori 5 selle arrampicarsi sugli specchi per giustificare questa merda. La gente la verità non la vuole vedere, Wanna Marchi è sempre nei nostri cuori nonostante tutto. Questo, dopotutto, è il paese in cui un (ormai ex) ministro dell’interno tira fuori un rosario e a sua volta il presidente del consiglio l’immaginetta di Padre Pio. Ci mancava solo il Mago Otelma che gestiva la Camera e i giochi erano fatti.
Non si vantino troppo quelli che dicono di non esserci mai cascati: non ci sono cascati con i 5 stelle, ma ci sono cascati a braccia aperte con il PD per 20 anni e pur di non vedere che partito di merda è (merda e niente altro) si accontentano di godere del fatto che Salvini è fuori dai giochi. Sprovveduti o in malafede, come sempre.
Tutto è tifoseria da stadio e benaltrismo per reazione. E non serve elencare i provvedimenti positivi che 5 stelle e PD nell’arco temporale in cui sono stati al comando possono avere fatto. Anche Hitler ha fatto qualcosa per i lavoratori, così come Mussolini, così come la Mafia per i siciliani. In mezzo alle nefandezze qualcosa di positivo si fa sempre. Non serve a giustificare nulla e nessuno.
Nulla al ver detraendo sia il mio motto ora e sempre. Sono stato un coglione, è probabile che lo sarò ancora e quando meno me lo aspetto. La coglionaggine è un destino subdolo.
Ricordate sempre, o voi che passate di qui:
Chi è onesto e intelligente non è convinto
Chi è intelligente e convinto non è onesto
Chi è onesto e convinto non è intelligente

mercoledì 4 settembre 2019

Nell'anno 3500000

Greta Thumberg è una piccola Asperger che sembra più un incrocio tra uno hobbit e Antony and the Johnson. Nella sua piccola testa ha tanti pensieri buoni per il futuro dell’umanità e per i minchioni che ci credono, che non sono poi molti, perché a Greta non si crede, la si compra con tutto il suo pacchetto e la si usa, rendendo mamma e papà tanto contenti, ma più mamma che papà: infatti il tutto è più una questione femminile, in quanto si sa che sarà la profonda sensibilità femminile a salvare questo nostro pianeta. Non importa se poi il pianeta si ostinerà beffardamente a esistere anche quando gli ultimi discendenti delle piccole dolci Grete saranno dissolti in qualche pozza di bitume creata dallo spostarsi delle faglie in seguito alla deriva dei continenti, quando tanti piccoli Troll rincoglioniti saltelleranno beati in mezzo a mucchi di scisto e basalto e non potranno certo sapere che milioni di anni prima i loro antenati costruivano grattacieli e materiali termoresistenti, avevano inventato youporn e eleggevano i loro capi via Internet non riuscendo lo stesso a infilare un congiuntivo. Nel regno dei piccoli Troll evoluti dalle gretine e gretini del pianeta da salvare, non sapranno neppure cos’è un congiuntivo, si esprimeranno a puzzette. Il pianeta da salvare, nell’anno 3500000 sarà un posto molto più significativo di adesso.

sabato 31 agosto 2019

Nel grande universo tutto è lo stesso


Non ci sono errori. Non c’è mai stato un errore. Dio o il Gohonzon, o il karma, o le leggi, o Brahma, o Vishnu, non commettono errori. E perché dovrebbe esserci un errore in quello che accade? Errore nei confronti di chi e cosa? Quello che accade è quello che accade e deve accadere. Potrebbe andare altrimenti ma non ci va. Se va altrimenti è come doveva andare. Come deve andare non lo sappiamo MAI finché non accade. E dopo che è accaduto, è scolpito. Quello che noi desideriamo, lo desideriamo perché siamo fatti in un dato modo e siamo fatti in un dato modo perché infinite circostanze si sono unite per formarci in quel dato modo. Ogni nostro sforzo lo compiamo perché in noi c’è uno slancio che esiste perché cause ed effetti si sono formati per creare quello slancio. Non c’è un punto di origine e un punto di arrivo. La sofferenza coinvolge il piccolo individuo che si sente tagliato fuori da questo flusso. È l’io psicofisico che soffre o gioisce, ma questa sofferenza o gioia sono il prodotto di infinite cause e infiniti effetti che non hanno un’origine unica e un unico fine. Nel flusso continuo accade solo quello che deve accadere. Questo è solo apparentemente fatalismo, in realtà è un semplice movimento unico di tutte le cose, una danza, o meglio, una rete che oscilla al vento.
Gemere perché non si ottiene quello che si vuole o perché si è bastonati dalla vita va bene, in quanto l’energia che entra deve uscire in qualche modo. Il dolore avviene, come avviene tutto il resto, come avviene la gioia, come avviene qualunque cosa. Lamentarsi o non lamentarsi è ininfluente. Non lamentarsi può essere lodevole in una certa configurazione, ma ai fini dei risultati, è indifferente. Quello che accade non è mai un errore, nell’universo non esistono errori, casomai deviazioni da uno standard che poi è il frutto delle nostre percezioni e niente altro. Le infinite cause ed effetti fanno sì che noi siamo esseri che cercano di sfuggire alla sofferenza, peraltro non riuscendoci. In questa fuga solo apparente creiamo arabeschi nel tessuto del mondo. La percezione individuale vede nel dolore un errore della creazione, quando in realtà esso è un movimento come un altro. Nessuno commette errori o fa azioni giuste. Giusto e sbagliato riguardano solo le nostre percezioni limitate. Nel grande universo tutto è lo stesso. Il reale è razionale, il razionale è reale. Quando Hegel lo ha capito, al cospetto di Napoleone, intorno al 1807, è caduto in una depressione nervosa nella quale si è dibattuto per qualche anno. Poi ne è uscito, se ne è fatto una ragione, appunto. Perché il reale è razionale. Hegel era un essere abbastanza illuminato. Non completamente, ma abbastanza. Il reale è razionale: saperlo ti fa sentire come la nottola di Minerva che esce al crepuscolo, quando tutto è avvenuto e non si può fare più nulla.
È per questo che le persone risvegliate, i Buddha, praticano il distacco del frutto dall’atto, che non è la stessa cosa del fatalismo. Il fatalismo e la razionalità del reale sono due cose diverse. Qui subentra Schopenhauer e si ribella Nietzsche e il giochino riprende. Sarvakarmaphalatyaga.

giovedì 4 luglio 2019

Viene il sospetto

Viene il sospetto che se sulla Sea Watch, al posto di una vispa ragazzotta tedesca con dreds e canottierina, giovane e caruccia, ci fosse stato un capitano di 55 anni di origine slovena, con la barba, la pancia e i peli del naso in vista, i cinque deputati di sinistra mica sarebbero saliti a bordo: mica potevano arrischiare la loro immagine, già traballante, con  qualcuno non spendibile mediaticamente.
Viene altresi il sospetto che se questo immaginarlo capitano avesse forzato il blocco della guardia di finanza, non dico che gli avrebbero sparato addosso  (dopotutto siamo sempre in Italia, il paese dei tarallucci e vino), ma qualche giorno nelle patrie galere lo avrebbe passato. E la magistrata (si dice così? ) non sarebbe stata indulgente di fronte a tanta violenza maschile.
Viene dunque il sospetto che non sia un caso che la tal Carola Rackete non sia uno sloveno barbuto e corpulento di 55 anni.
Viene il sospetto che sia tutto qui, oggigiorno: immagine.
Dietro questo "tutto qui" si celano abissi di dolore e stupidità.
Viene il sospetto che abbiano eletto la nuova presidente BCE basandosi su immagine più che competenza. Chi segue un po' la cronaca sa che la Lagarde non ha brillato quando era ministra (si dice così? ) dell'economia francese e che ha subito un'inchiesta per abuso di ufficio. La Lagarde (ma si può ancora mettere l'articolo davanti al cognome  o è discriminazione di genere?) quando era presidente del FMI ha lamentato che si vive troppo a lungo (i peones, mica lei o i suoi amici ) e che la soluzione è pagare più tasse e andare in pensione più tardi, smantellando il cosiddetto welfare pezzo per pezzo. Una garanzia, insomma.
Per dare un contentino all'Italia (si fa per dire) hanno messo come presidente del parlamento europeo il giornalista televisivo David Sassoli, del PD ovviamente. Dunque, in principio è l'immagine. Ma cosa vuole trasmettere questa immagine?
Viene il sospetto che da un lato si vogliano rassicurare i "mercati", queste entità proteiformi che sono dovunque e in nessun luogo: tutto proseguirà come deve, cioè senza minimamente prestare attenzione a quello che i popoli europei scelgono quando votano.
Nello stesso tempo viene un altro sospetto : è strano che la UE non faccia nulla per darsi neanche un tentativo di restyling, non fosse altro che per tenere buono il peone e ingannarlo meglio. Che sia perché, sotto sotto, sanno benissimo che il baraccone non durerà ancora a lungo e già si tengono pronti per quello che verrà dopo?
Viene il sospetto che l'immagine sia sempre più sfocata.

venerdì 28 giugno 2019

Situazione disperata ma non seria

Il critico d'arte Tomaso Montanari ha osato affermare che Zeffirelli, passato a miglior vita qualche giorno fa a 96 anni, era un regista mediocre. Apriti cielo, gli sono piombati addosso tutti, compreso Sgarbi. Il malcapitato ha pure sommessamente aggiunto che anche l'altra fiorentina doc, la Fallaci, non era un granché e in più era dotata di idee orrende.
La destra in coro ha cominciato a ululare .
Nella stessa settimana l'impareggiabile Vittorio Feltri ha commentato la probabile vicina dipartita di Camilleri con un sanguigno/alcolico "spiace per lui  ma almeno Montalbano ha finito di rompere i coglioni".
La sinistra in coro ha cominciato a ululare.
Io sono d'accordo sia con Montanari che con Feltri. Che ne sarà di me?
Zeffirelli era un regista patinato e ampiamente sopravvalutato, la Fallaci una acida signora ex giornalista con vedute geopolitiche perlomeno discutibili, Camilleri uno scrittore di media levatura che ha avuto la fortuna di emergere in un panorama di nani letterari. La patria letteratura è talmente desolata che Camilleri può sventare come un Gadda redivivo, per difetto degli altri e non per merito suo.
Intanto destra e sinistra vanno avanti a ululare. Guai a toccare i loro ninnoli di chincaglieria.

Ha tutte le carte in regola per stare sui coglioni

La capitana Carola Rackete della nave Sea Watch, sfida il governo italiano forzando l'ingresso nelle acque territoriali e cercando di sbarcare a Lampedusa con il suo carico di migranti. Ululati della destra e ululati della sinistra. Lei, faccino duro, un po' mascolino, dread  e canottierina sexy, ha tutte le carte in regola per stare sui coglioni all'italiano medio: giovanissima, bella  ricca, determinata, idealista, esperienze in Antartide, giro del mondo varie volte, appartamento a Londra comprato dai genitori ma mantenuto con  il suo lavoro di capitana di navi  un'esperienza che manco Conrad si sarebbe sognato. Sicuramente scriverà un libro che sarà edito da Einaudi con la prefazione di Saviano.
Che poi il suo bel faccino androgino venga usato per quella che è una squallida operazione politica atta a destabilizzare un governo che, quello sì, sta sui coglioni a tutta Europa, è un altro discorso.
Lei, la Rackete, è la donna del futuro e quelli in disaccordo sono scimmie puzzolenti e ululanti, malcontente e sudaticce. Non si riesce a immaginare la Rackete sudare per il caldo, o se lo fa, saranno graziose macchie simmetriche e l'umidore sulla fronte avrà un tocco sexy, come il ciuffetto che sfugge spettinato dalla coda di cavallo di Lara Croft. È la donna del futuro, quella che sente come dovere cosmico salvare esseri che sente meno fortunati di sé. È l'eterno femminino che ci trae verso l'alto, come la piccola Greta dalle cui labbra pendono i grandi del mondo.
L'epoca ha bisogno di madonne superumane, o meglio, veramente umane, la cui presenza non può fare altro che scatenare la reazione delle scimmie grugnenti il loro dispetto e risentimento.
Salvini esemplifica bene anche dal punto di vista fisico questa primitivita '.
È un Neanderthal che cerca di impedire ai Cro Magnon di invadere il suo territorio, ma una parte di sé ha già capito che non c'è niente da fare: la selezione naturale ha già deciso.
Indipendentemente dall'esito della vicenda, la capitana ha già vinto. Lei è la donna del futuro, i Neanderthal possono solo agitarsi e sbavare. Umani e subumani, il nuovo ordine del mondo è in arrivo ed è inarrestabile. I migranti sono solo una faccenda di contorno: esseri indefiniti da aggredire con una continua, ineluttabile, instancabile pietà. Per tutti i secoli dei secoli di beata schiavitù.

lunedì 4 febbraio 2019

Dissipatio H.G. di Guido Morselli

Ebbi notizia di questo romanzo verso la fine degli anni settanta, ma lo lessi per la prima volta credo nel 1985. La storia dell’ultimo uomo sulla Terra non ha certo la pretesa di essere originale. Ci furono innumerevoli film (Occhi bianchi sul pianeta Terra, L’ultimo uomo sulla Terra, fino al recente Io sono leggenda) e innumerevoli romanzi a partire da L’ultimo uomo di Mary Shelley per passare dallo splendido Urania Vita con gli automi (Second Ending) di James White. Quest’ultimo fu una lettura adolescenziale per me rimasta indelebile.
Il tema, insomma, è stato ampiamente saccheggiato già dal XIX secolo (il romanzo della Shelley è del 1826) e in ogni testo veniva puntualmente messa in primo piano la figura prometeica, lacerata, di questo sopravvissuto, erede di una umanità di cui si assume sulle fragili spalle tutta la storia e la responsabilità. Ma l’antesignano per eccellenza dell’uomo solo (con tutte le debite differenze) è naturalmente Robinson Crusoe. Il selvaggio Venerdì non riesce a sconfiggere totalmente la solitudine di chi porta dentro di sé, nelle proprie strutture mentali, la società civile. L’individuo è un prodotto di questa società e la manifesta nei suoi più intimi pensieri. Solitudine è sempre solitudine sociale. Un uomo isolato, è pur sempre isolato da qualcosa che lo trascende e lo informa di sé allo stesso tempo.
Morselli riprende il tema del sopravvissuto e lo porta alle sue estreme conseguenze metafisiche, da quel grande e “alieno” scrittore che è. In questo romanzo Morselli esplora la solitudine definitiva, quella della separazione assoluta dell’Io dalla realtà. Il tema del realismo è molto presente nelle opere di Morselli. Nel suo Diario, in un appunto del 1968 intitolato “Falciola di Terra”, commenta la foto del pianeta Terra vista dalla capsula Apollo come una foto storica, che per qualche opera di rimozione mentale, non viene recepita per nella sua reale portata. Secondo Morselli, vedere il pianeta Terra dal “di fuori” significa che l’idealismo cade nel vuoto. Significa capire che la totalità non è un Concetto come quelli hegeliani, ma una Realtà e che è tutta distesa su questa piccola sfera. Significa capire che vedere il pianeta da fuori è come vedere se stessi, per la prima volta interi, noti e ignoti allo stesso tempo.
Significa capire che ciò che si supponeva reale, ha riscontro nella Realtà. I contorni dei continenti visibili dalla capsula Apollo sono esattamente quelli visualizzati dai cartografi secoli prima del volo spaziale. Abbiamo intuito la Terra ed essa è vera. È come è.
È illuminante. Ma l’uomo, dice Morselli, non sembra cogliere questo aspetto. Il nostro pianeta, così concreto, così reale, è ancora intrappolato in una rete di sogni globale.
Il realismo non è fatto per l’uomo, ma solo per pochi uomini. Così pensa Morselli.
Noi cerchiamo sempre la Realtà e non sappiamo distinguerla. Ma ce l’abbiamo sotto gli occhi.
Essa è esperienza della Terra vista tutta intera. Noi – siamo – quello.

Dissipatio H. G. è l’ultimo romanzo di Guido Morselli. Niente di ciò che ha scritto finora è stato pubblicato. Ha collezionato rifiuti da tutte le case editrici. In vita ha pubblicato, a pagamento, solo un breve saggio su Proust negli anni quaranta e qualche articolo su qualche rivista.
Sulla carta d’identità di Morselli, alla voce “professione” c’è scritto “Agricoltore”. È quello che fa per vivere: gestisce una tenuta di famiglia nei monti sopra Varese. Eppure è un uomo di profondissima e vastissima cultura. Ma sente che per lui non c’è posto da nessuna parte. È una esacerbazione dell’ego o è realtà? Non si sa, ma Morselli ha ormai sessant’anni di vita solitaria e rifiuti sentimentali e editoriali sulle spalle. All’ennesimo rifiuto editoriale, si toglie la vita con un colpo di pistola. È il 31 luglio del 1973. Dire che si è ucciso perché non riusciva a pubblicare, sarebbe ingiusto, sbagliato e riduttivo. Come per Pavese, probabilmente il destino stava nel carattere. Uomini come Morselli sono rari e destinati sempre alla marginalità di chi troppo vede e troppo capisce. Era nato troppo tardi e troppo presto. Dopo la morte comincia il suo successo come scrittore.

La storia del romanzo è semplice. Il protagonista di cui non sappiamo il nome (è solo un Io), raggiunto un livello inaccettabile di tedium vitae, decide di uccidersi alla vigilia del proprio quarantesimo compleanno, buttandosi nelle acque di un laghetto sotterraneo di montagna. Nessuno lo potrà salvare, nessuno lo potrà trovare. Sancisce così da subito la sua separazione dal resto del genere umano. Un banale incidente, una craniata imprevista contro la parete della caverna dove si trova, lo fa svenire per un attimo. Al risveglio perde ogni desiderio di uccidersi e riemerge dalla caverna pronto a ritornare alla sua insoddisfacente vita quotidiana. Poiché egli vive in un paesino isolato di alta montagna, non si rende conto subito che c’è qualcosa che non va. Passano infatti due o tre giorni prima che si renda conto che intorno a lui non è rimasto nessuno. I padroni della casa dove abita sembrano volatilizzati. Automobili e pullman sono abbandonati come se chi li guidava si fosse dissolto di colpo, lasciando il veicolo compiere il suo tragitto verso un muro o un fosso. L’elemento fantascientifico/realistico usato da Morselli è molto forte. È la realtà, quella che viene incontro al protagonista, e non un sogno strano.
Decide dunque di scendere in città, in quella Crisopoli in cui si adombra Zurigo, città dalla mille banche: infatti Crisopoli vuol dire “Città d’oro”. In città lo coglie uno spettacolo devastante. Tutto è abbandonato a se stesso. Le macchine sono vuote, gli alberghi vuoti, le case vuote, la Borsa è vuota, le telescriventi ancora si muovono, in automatico, ma nessuno trasmette e nessuno riceve. Il protagonista si aggira in questo mondo immobile, dove, con il passare dei giorni, gli animali prendono possesso delle cose che prima erano degli uomini.
Morselli trasmette il suo lacerante disincanto in queste pagine che sono uno dei più disperati e bellissimi addii che siano mai stati scritti. È un congedo lunghissimo dalle idee, dalle ideologie, dai sentimenti, dalla società umana. Il protagonista è in fondo Morselli stesso, “fobantropo per danno e fastidio”, colui che aveva paura degli uomini e dei rumori. Il romanzo è un congedo, si diceva. Morselli mentre lo scriveva, aveva già in animo che fosse l’ultimo. Ormai lui stesso era giunto alla “fine del mondo” e scrive appunto della fine del mondo conosciuto. Mai romanzo scritto all’ombra della morte, è così pieno di vita. Mai la solitudine umana è stata descritta con così tanta umana pietà, lucidità e la benché minima traccia di autocommiserazione. Ogni gioco è già fatto, il mondo è già alle nostre spalle, tutte è deciso. Quello che resta è purezza e bellezza dei mattini abbandonati a se stessi. Dissipatio H. G. è un capolavoro della estrema solitudine. E come tutti i capolavori, va letto e riletto. E dopo anni di frequentazione, una ulteriore rilettura porta con sé nuove cose: nuove prospettive sulla società, sugli uomini, sull’amore. È insomma, inesauribile, come tutte le vere opere d’arte.

Il protagonista vaga per la città e per le montagne in cerca di qualcuno, senza trovare anima umana viva. Comincia a cercare ipotesi per spiegarsi l’accaduto. Tra le varie ipotesi i “trascorsi eruditi” del protagonista lo portano a ripensare a un testo di Giamblico (III – IV secolo d. C) intitolato appunto Dissipatio Humani Generis dove “Dissipatio” stava per “evaporazione” o “nebulizzazione”. La fine della specie umana, secondo Giamblico sarebbe avvenuta per “un fatale fenomeno di questo tipo. Rispetto a altri profeti era meno catastrofico: niente diluvio, niente olocausto “solvens saeclum in favilla”, assimilabile oggi a un’ecatombe atomica. Gli esseri umani cambiati per prodigio improvviso in uno spray o gas impercettibile (e inoffensivo, probabilmente inodoro), senza combustione intermedia. Il che, se non glorioso, perlomeno è decoroso.”

Il protagonista, nella sua intoccabile solitudine, passa momenti di libertà totale e addirittura sollievo. È libero da questi molesti esseri che hanno costruito reami che descrive così: “Tre angeli neri, gli stessi a cui, in vita, si prostravano idolatri, e ognuno dei tre porta uno scudo, e su uno degli scudi si legge: Sociologismo, sull’altro, Storicismo, sul terzo Psicologismo. A piè del monte, due serpi loricate strisciano sibilando e buttando fuoco. E ognuna sulle scaglie ha una scritta, e su una si legge: Advertising, e sull’altra: Marketing.”
“La cultura porta in sé il solvente per  ciò che la fa vivere e per ciò che la nega. Non ha consistenza, se non ne trova una produttivistica, ma in grazia della sua inconsistenza, checché avvenga di catastrofico, resiste.”

Ma poi subentra il panico atroce da cui non può fuggire. Gli viene il dubbio che il suo tentativo di suicidio sia andato a segno e che in realtà è lui a essere svanito e quello in cui si trova è un aldilà che è il risultato della sua colpa di volersi “eccettuare” dal resto del genere umano. Ma lo salva dal panico orrendo questo senso della realtà, il “realismo ingenuo” che lo contraddistingue. Osserva i mutamenti della città in assenza degli uomini, l’erba che comincia a farsi largo tra le spaccature del terreno e invade le strade. Cervi, caprioli, cani, gatti, mucche, attraversano le strade una volta trafficate. È allora che il protagonista decide di costruire quel suo strano monumento nella piazza della Borsa, fatto di auto e televisori, come ricordo di coloro che se ne sono andati e anche nella folle speranza che dall’alto, qualcuno veda e atterri e lo richiami alla vita umana, cioè sociale.
Comincia a scoprire anche i mutamenti nel suo corpo. Si lascia crescere la barba, indossa una gonna perché è più pratica dei pantaloni: ormai la distinzione di genere sessuale, essendo rimasto solo lui, non ha alcun senso. Comincia anche a nutrire un altro folle scopo: rivedere il suo vecchio medico, il dottor Karpinsky, l’unico essere umano con il quale, nella vita precedente ha creato un legame vero, di amicizia, durante la sua degenza in una clinica per esaurimento nervoso. Rivedere Karpinsky, per qualche motivo, è un idea che dà forza al protagonista di sopportare la sua ormai impossibile solitudine. Sa che da qualche parte c’è e arriverà a trovarlo e lo aspetta. Il punto è che Karpinsky è morto pugnalato, mentre cercava di sedare una lite tra infermieri e il protagonista lo sa benissimo. Ma il pensiero di rivederlo si fa strada lo stesso.
Un universo senza esseri umani, ha perduto ogni scopo che non sia perpetrare se stesso.
“Se c’è stata l’umanità e ora ci sono io, solo io, decido di assumermi i compiti che ‘loro’ hanno dovuto abbandonare. Che cosa facevano ‘loro’ in sostanza? Che cosa facevano? Beh, è abbastanza semplice: agivano in vista di utilità. Inoltre, ragionavano sulle cose che si vedevano intorno, o che credevano di vedersi dentro. Poi le rappresentavano, parole, segni, suoni. Altro non facevano, sarò un riduttivo (un semplificatore), ma ho idea di non avere tralasciato nulla.”
La figura di Karpinsky assume sempre più rilievo. Assurge al livello di fede, l’unica possibile, in questa desolazione. Fede in un gesto umano, che si è ricevuto nel passato e che si è perpetuato rendendo qualcosa del suo splendore anche nell’estrema solitudine della morte. Il protagonista ne sente la voce, il richiamo. Senta che il dottore gli sta dicendo che lo incontrerà quaggiù, su questa terra piena di vita e vuota di uomini, vuota di amicizia. E il protagonista decide di attendere.
L’ex – uomo, come si definisce, non più uomo né donna ( non avrebbe senso), attende il suo amico, fuori dal tempo, perché il tempo non può essere che umano. “Sto scoprendo che l’eterno, per me che lo guardo da un’orbita di parcheggio, è la permanenza del provvisorio. La dilatazione estrema dell’attimo, e in termini empirici questo vuol dire: stato di differibilità assoluta. Agisco ma non posso preventivare la durata dell’azione, so solo che è incalcolabile; sto caricando la pipa, ma quando sarò pronto per prendere un fiammifero e accenderla? E lo sarò mai?”
Ormai l’attesa di Karpinsky, ultimo Godot per un “ultimo uomo” è l’atto finale.
“Non parlerà. Inutile chiedergli, come gli chiedevo in clinica ‘Mi terrete qui ancora? Non sono guarito?’. Perché lui non viene per rispondere a dubbi, per fare annunci. È il piccolo, semplice uomo di allora. Viene, semplicemente, a cercarmi, e è già in cammino. La mia è una certezza, non propriamente un’attesa, e mi libera da ogni impazienza.
Me ne sto a guardare, dalla panchina di un viale, la vita che in questa strana eternità si prepara sotto i miei occhi. L’aria è lucida, di un’umidità compatta. Rivoli d’acqua piovana (saranno guasti gli scoli nella parte alta della città) confluiscono nel viale, e hanno steso sull’asfalto, giorno dopo giorno, uno strato leggero di terriccio. Poco più di un velo, eppure qualche cosa verdeggia e cresce, e non la solita erbetta municipale; sono piantine selvatiche. Il Mercato dei Mercati si cambierà in campagna. Con i ranuncoli, la cicoria in fiore.
In tasca tengo, per lui, un pacchetto di gauloises.”

Finisce così, con la “certezza” questo testamento sui generis. Certezza della vita o della morte? Non c’è più possibilità di distinguerle. Forse non c’è mai stata.

Ripensamenti sul realismo. La realtà non è semplicemente sperimentabile se non con la mediazione dell’Io e questo lo sapeva già Kant. Da allora non è cambiato molto. Noi non sappiamo altro che i contenuti della nostra coscienza, i quali si formano al contatto con il reale. Non si tratta dunque di non desumere che una realtà esistente fuori dalla coscienza non si dia: si tratta di comprendere che solo la coscienza può mediare la percezione di questa realtà e siccome nel mediarla la modifica, ecco che ciò che è reale è ciò che è contenuto nella coscienza. La cosa in sé rimane lo scandalo oltre il quale non si può andare.
La pretesa dei "nuovi realisti", con il corollario delle scoperte scientifiche, non approda da nessuna parte. Gli orrori cosmici alla Lovecraft si rivelano incubi della coscienza, come al solito.
Anche la pretesa del povero Morselli rimane tale. Certo che la “falciola di terra”, la visione del pianeta sul quale viviamo tutti, significa che qualcosa fuori di noi è, e rimane, fuori dal nostro controllo: ma nello stesso tempo, da noi stessi che contempliamo questo nostro pianeta da cui proveniamo, proviene la coscienza di contemplarlo. Tra esterno e interno c’è uno scambio continuo. Soggettivo e oggettivo si compenetrano a tal punto che non si possono “realmente” distinguere. Un sasso che mi colpisce sulla testa proviene da fuori di me, ma diviene un tutto con la mia coscienza. Dopotutto il sasso ha colpito me. Il sasso è in relazione con me. Senza di me, questo sasso non avrebbe avuto il significato che invece ha colpendomi. Nello stesso tempo, senza questo sasso la mia soggettività non sarebbe stata ulteriormente evidenziata.
Se l’uomo sparisse in una dissipatio morselliana, la “realtà” rimarrebbe un assunto indimostrabile. Ci sarebbe la realtà dei caprioli o degli insetti, o delle mucche o delle lucertole, esseri che la “falciola di terra” non potrebbero nemmeno vederla e se la vedessero, non ne comprenderebbero il significato. Dove c’è infatti un significato c’è determinazione e dove c’è determinazione c’è Io. Quindi pare proprio che dall’Io non se ne esca. L’idealismo continua a trionfare finché l’IO non si spezza. Allora ciò che rimane è l’Inconcepibile: il Reale senza soggetto. Cioè, presumo, Dio.
Non è un caso che ciò che Morselli voleva dimostrare nel suo ultimo disperato romanzo, e cioè il trionfo della cosa in sé in assenza dell’uomo, gli si tramuta tra le mani in un confronto glaciale tra un Io disperatamente solo e un mondo imperscrutabile: confronto, reso ancora più imperscrutabile proprio dall’assenza di un IO collettivo. Rimane solo l’Io individuale, destinato a dissolversi nel tutto, cioè a essere solipsisticamente Tutto. Ciò che voleva essere il trionfo del realismo è stato il trionfo della non dualità. Noi siamo il mondo che contempliamo e nello stesso tempo ciò attraverso il quale il mondo si contempla. Io, bisogna ricordare, non è (solo) individuale, ma è collettivo. Un uomo che guarda è tutti gli uomini. Un uomo che muore è tutti gli uomini. Un uomo che agisce è tutti gli uomini. Io sono tutti gli uomini e non solo il mio me stesso empirico, contingente. È sempre stato così. Da qui nasce la compassione, l’azione e il risveglio. Il sospetto è che Morselli, con tutta la sua aspirazione al realismo, lo avesse capito benissimo.

venerdì 25 gennaio 2019

Reincarnazione o incarnazione


Non credo che esista qualcosa come la reincarnazione, non esattamente. Nello stesso tempo essa non è una metafora. Si potrebbe dire che essa esiste e non esiste allo stesso tempo. Non esiste come ce la immaginiamo, in ogni caso. Non ha senso dire che io ad esempio nel 1880 ero un monaco francescano o che ho vissuto come contadino al tempo della rivoluzione francese. Chi ha vissuto in quel periodo? Non certo io. Questi ricordi, apparsi in modo fugace, non sono la mia vita, non sono nulla. Se l’anima individuale non esiste, non ci sono le vite passate e nemmeno quelle future. Ci sono solo le vite. Vite innumerevoli che rimangono incastrate da qualche parte del tempo e si ha accesso, a barlumi, ad alcune, e non ad altre. È per questo che il Buddha non ha mai posto l’enfasi sulle vite passate, ritenendolo inutile ai fini della Liberazione e del Risveglio.

Best sellers 2018


Scorrere la lista dei best seller editoriali 2018 è come infilarsi un dito nel culo spalmato di peperoncino. Un bruciore infernale. Ci si appella a ogni forma di distacco per poter sopravvivere a tanta pochezza. La parola “felicità” c’è in almeno venti titoli su cinquanta. Le protagoniste editoriali femminili sono la maggior parte. Questo fatto, contrariamente a tutte le apparenze, non è indice di una società più paritaria, ma di un mondo altamente femminilizzato nel quale le donne sono in ogni caso insoddisfatte e sofferenti, al pari degli uomini. Ecco perché urgono i libretti su “come fare”. Codesti libretti di istruzione per ottenere questa imprescindibile felicità, primo premio del villaggio turistico globale, abbondano. Facce sorridenti ovunque. Il risultato è una tristezza mortale. Non c’è consolazione. Il punto più basso non è ancora stato toccato. Forse non si toccherà mai. La depressione è una via d’uscita onorevole, dopotutto. Essere soddisfatti è da minchioni. Tutti lo sanno, ma fanno finta che sia brutto pensarlo.
L’universo sa quello che fa. Adesso c’è bisogno di mediocrità. Ce n’è un bisogno enorme. La grandezza non è più gestibile se non come finzione cinematografica. La gente ha bisogno delle proprie pietruzze colorate, abbellite tecnologicamente. Poi ci sono ancora le minoranze che portano avanti la grande corrente della cultura mondiale, ma in modo brillante, in fondo è un business patinato pure quello. Se ne traggono bei documentari da mandare in onda su Rai 5.
Uccidersi non vale tanto la pena, siamo già tutti abbastanza morti così.
Lasciamo fare alla natura.