Sono fortunato a vivere nell’era di Internet. Negli ultimi quindici
anni, ho potuto raccogliere informazioni e conoscenze, che mi sarebbe stato
impossibile, o molto difficile, raggiungere, senza la rete. La mia gratitudine
per questo mezzo è indiscutibile.
Il rovescio della medaglia è la perniciosa influenza, la subdola
(almeno all’inizio: poi diventa evidentemente deleteria) dipendenza che dà la
ricerca di continue informazioni, collegamenti, notizie, fonti, ecc.
Grazie a Internet puoi collegare tra loro cose distanti e trovarne
i nessi sottili, puoi ampliare le tue percezioni della cosiddetta realtà, fino
a pensare di esserti avvicinato ai bordi dello scibile umano. Si può
raggiungere una enorme enciclopedizzazione dell’ecumene e sentirsi spinti ad
andare ancora avanti.
Internet non è solo un ricettacolo di cazzate cosmiche, ma anche
un eccezionale strumento di conoscenza.
Tutto questo è fantastico. Sai di essere tra quelli che usano
Internet nel modo “giusto”. Tu cerchi cose, cerchi di sapere. Non ti accontenti di youporn. Tu utilizzi a buon fine il
mezzo. Solo che a un certo punto ti trovi inghiottito dal sistema, senza
neanche sapere come ci sei finito. Ti ritrovi a passare ore e ore e ore e ore
della tua vita mortale a scivolare da una cosa all’altra, affidandoti
unicamente a sottili associazioni d’idee. Il tempo passa, inesorabile, interi
pomeriggi inghiottiti davanti allo schermo a cercare di afferrare qualcosa che,
a poco a poco, ti accorgi di non potere mai cogliere interamente.
La tecnologia straordinaria, l’approccio alla conoscenza globale,
si rivela un labirinto di Borges dal quale non riesci più a districarti.
Cominci a pensare che potresti passare il resto della vita a cercare questo e
questo e quest’altro e non arrivare mai da nessuna parte. Cominci a non capire
più dove stai andando e perché cerchi quello che cerchi e che utilità può mai
avere cercare stupidamente di sapere tutto. Cominci ad accorgerti che quelle
poche o tante persone con cui interagisci (quasi tutte rigorosamente anonime,
cioè con nickname) sono solo fantasmi che non incontrerai mai di persona e
nemmeno vorresti farlo. Cominci a pensare a quanti contatti giornalieri ha il
tuo blog, avvilirti se ne ha pochi, esaltarti se ne ha tanti, cominci a pensare
che tutti parlano insieme, tutti parlano troppo, sussurrano, gridano, proclamano
cose giuste, sbagliate, idiote, intelligenti, fondamentali o superficiali ma
che hai smesso da un pezzo di riuscire a digerire, ad assimilare. Tutto sta
trasformandosi in un brusio indistinto: a livello digestivo, un pastone
immangiabile.
La tua ricerca si trasforma poco a poco in un persistente rumorio
mentale che fa da sottofondo alle tue giornate, sovrapponendosi gradualmente
alla realtà (qualunque cosa significhi questa parola) fuori dallo schermo.
Ti accorgi di essere così
abituato a rivolgerti a Internet per chiedere conferme di qualunque natura, che
il volgerti all’esterno di te (Internet è un immenso cervello globale: come
tale, anche se è grande come il pianeta, è chiuso in sé stesso. È un grande
solipsismo planetario) ti pare persino strano.
Apparentemente fai la vita di prima, lavori, interagisci con amici
e familiari, ma quel sottofondo continuo persiste. Ti accorgi di pensare, devo
cercare quella cosa o postare
quell’altra, verificare questo o confutare quest’altro. Vivi
contemporaneamente nel virtuale e nel reale. Niente di nuovo , in queste
affermazioni, mi rendo conto. Ecco, questo è un altro problema. Il diluvio
(letteralmente) di opinioni che ti bombardano quotidianamente, ti impediscono
di pensare, di abbeverarti, per così dire, alla fonte originaria di te stesso,
quella che sola ti può dare sollievo. Ti accorgi che la ricerca continua di
qualcosa di originale da dire o da scoprire, è un vero e proprio attentato alla tua esistenza.
Cominci a renderti conto che per arrivare alla sapienza (qualunque
cosa sia, e se esiste), ti devi
sbarazzare del desiderio di informarti, studiare, verificare. Lo scibile è
talmente vasto che, anche se fosse possibile accoglierlo tutto nel proprio
cervello, farebbe poca o nessuna differenza, di fronte alla vita per quello che
è.
Non parlo dei social network, che io non frequento. Immagino però
che il concetto sia identico, anche se l’obiettivo non è la conoscenza, ma la
più vasta possibile interazione sociale, che è già in sé una contraddizione in
termini. Quanta più gente conosci, tanto meno puoi interagirci veramente. Il
risultato è solitudine e stupidità, esattamente come chi ricerca la conoscenza.
Parrebbe proprio che, siano i fini perseguiti nobili o idioti, il
risultato di un eccessivo uso di Internet sia solitudine e/o stupidità.
L’obiezione che si può porre è semplice ed evidente: è un fatto
puramente individuale arrivare a questi punti. Come in tutte le cose anche
Internet è una questione di moderazione, di sale in zucca, per così dire. Se
sei una persona tendente alle ossessioni, sarai ossessionato da qualunque cosa,
Internet, l’Inter, la figa, qualche sostanza stupefacente, ecc. ecc.
Ma certo, nessun dubbio che sia così.
Ritengo difficile però, che una persona, anche la più avveduta e
magari non più giovanissima, che posta quasi quotidianamente sul proprio blog o
su altri, non sia vittima di questa illusione/delusione. I più ossessionati
possono essere da ricovero, non c’è dubbio: gli altri, credono di vivere
normalmente con quel brusio nel cervello.
È per questo che credo di dover ridurre la dose di Internet nella
mia vita: non più di una volta alla settimana e al massimo un’ora, un’ora e
mezza.
È altresì importante lasciare cadere il desiderio di sapere
immediatamente una cosa o un’altra. In questo momento della mia vita, è molto
più importante non sapere, piuttosto che sapere. Non è un elogio dell’ignoranza,
che ho sempre trovato un modo ipocrita di ribadire la propria superiorità: no,
è una strategia di pulizia mentale.
La nota parabola zen che spiega come se una tazza venga troppo
colmata di tè, questo fuoriesca dal bordo e si disperde senza poter essere
bevuto, è illuminante.
La coppa della saggezza deve essere prima svuotata, perché ne si
possa attingere. Più la riempi, più perdi per strada l’essenziale. Con Internet
riempiamo le nostre vite, le nostre menti , fino a farle scoppiare. Dopo non ci
entra più niente.
Inoltre è evidente che le ossessioni perseguitano il cervello
umano dall’alba dei tempi. In un certo senso la vita stessa è un’ossessione. È
per questo che negli insegnamenti sapienziali è predicato il distacco.
Succedeva la stessa cosa a Faust: la sua dannazione era che la
continua ricerca della sapienza lo aveva portato alla disperazione di un
circolo vizioso. Solo il patto demoniaco dell’eterna giovinezza e
dell’illusione di essere utile a qualcuno poteva riscattarlo. Ma alla fine viene
salvato dall’Eterno Femminino. Finale mediocre, grande opera. Un pelo di figa
tira più di una quadriglia di buoi.
Ci salva la pietas, ci salva la grande mamma cosmica, con il suo
amore incondizionato. Ci salva niente, non c’è nulla da cui salvarsi. I miti
sono meccanismi di sopravvivenza. Le ossessioni sono i loro binari morti. La
vita è quello che è.
Ho nostalgia dei tempi prima di Internet. A ripensarci, non
ricordo nemmeno come facevo a sapere le cose che sapevo. Libri che rimandavano
a libri, probabilmente. Frequentazioni di biblioteche, meno roba
quantitativamente da assimilare, che più facilmente ti entrava dentro a formare
la tua carne, le tue ossa e i tuoi pensieri. Provo pena per chi era troppo
piccolo o addirittura non era nato, prima di Internet. Quanti cieli aperti si
sono persi.