Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

venerdì 22 luglio 2011

L’eternità è una stanzetta spoglia



È orribile non avere voce. Ancora più orribile è l’illusione di averne una. Si raggiungono livelli di contorcimenti quadridimensionali in un vuoto perfetto. Bisogna, per sopravvivere, non accorgersi mai che la nostra voce è solo un’illusione: follia e solitudine attendono chi lo scopre. Il mondo vince sempre. Ma va sempre combattuto.

Siamo in bilico sull’orlo del nuovo, fatto con le macerie del vecchio, ma questo nuovo, finora, si sta rivelando  solo un buco. E stiamo per cascarci dentro tutti, apocalittici o integrati.
La Storia del XXI secolo è un buco che inghiotte tutto il passato restituendo solo documentari TV. I milioni di morti uccisi dalle utopie urlano il loro folklore dalle loro fosse ai quattro angoli del mondo. Carovane di fantasmi vittime di feroci illusioni, ci guardano dallo schermo con una feroce demenza. Stiamo per essere espulsi dal grande ano puzzolente del Mercato Globale, mentre beviamo le nostre birre, dopo essere stati regolarmente comprati e mangiati. Il nostro peccato, che non ci sarà mai rimesso, è che nessuno di noi ha mai patito veramente la fame durante la propria esistenza: è molto più di quanto la maggior parte dell’umanità in tutti i suoi secoli di storia ha potuto aspettarsi dalla vita.
Il passato ci odia per questo. Tutta questa morte patita per arrivare a questo spocchioso XXI secolo.

È altresì seccante fare il panegirico della Resistenza al Consumismo. Fanculo alla resistenza al Consumismo. Chi ha voglia di resistere? In nome di cosa? Nietzsche parlava di trasmutazione di valori. Questi valori oggi, sono stati ampiamente trasmutati e trasvalutati. Hanno fatto un giro di 360° e sono tornati al punto di partenza. Dal nichilismo, siamo tornati all’identità nazionale e religiosa, per ripiombare nel nichilismo e da lì,  ancora al nazionalismo fondamentalista e alla coscienza cattolica. Dal superamento delle ideologie, siamo arrivati alla epurazione delle ideologie e poi alla loro depurazione per finire a pubblicizzare la bontà di queste ideologie depurate, cioè spoglie, secondo le anime belle di ogni latitudine, di qualsivoglia violenza. Volemo cambia’ er monno, mica te volemo ammazza’! Ma si nun te stai bbono, te sfonnamo!
E dunque perché resistere al richiamo della cuccagna? Ogni pubblicità televisiva non è forse un rimando al paradiso perduto? E adesso, perdio, questo paradiso lo vogliamo: ci hanno troppo rotto le scatole con queste favole. Ormai si devono scoprire le carte: per tutto il resto c’è Mastercard.
L’umanità (qualunque cosa voglia dire questo concetto) si comporta come un criceto dentro la ruota, in una gabbia. Crede di seguire un’idea di progresso qualunque ma, in fondo, vuole solo sgranchirsi le zampette.
Perché preoccuparsi del futuro di questi idioti?
Evoluzione o distruzione, che cambia? Toh, ecco rispuntare il nichilismo. È una strada che porta dritto agli inginocchiatoi. Ai forni crematori. Alle pizzerie. A Montecitorio.
Non se ne esce.
Va bene, riproviamo da capo.
Dove vogliamo andare?
Ma è chiaro! Verso una società più giusta. È il desiderio di tutti.
Quali sono i presupposti di una società giusta?
Qui cominciano i problemi.
“Che nessuno debba patire la fame” è la delicata risposta di Adorno. È difficile aggiungere altro. “Che nessuno debba essere sfruttato”. Ma ogni sistema sociale è basato su forme esplicite o implicite di gerarchie e schiavitù. Chi ha capacità e possibilità, governa: gli altri, ciccia.

Comunismo: follia utopica che crea deliri, burocrazia e morti. Marx avrebbe provato un dolore immedicabile se avesse potuto visitare il XX secolo. E tuttavia necessario: era necessario provarci. Sarà per il futuro, chissà se prima o dopo la prossima catastrofe.

Liberalismo: sfruttamento sornione dell’uomo sull’uomo. Ti costringe alla libertà del consumo e all’illibertà di non potere consumare. Crea modelli stupidi e irraggiungibili dalle masse. Crudeltà atroce per le minoranze povere, mascherata da beneficenza.

Socialdemocrazia: il cerone applicato alla faccia del liberalismo.

Il dialettico processo di schiavitù-emancipazione ha creato la Storia degli ultimi due secoli.
Bella frasetta di hegeliano stile: significa in sostanza che negli ultimi duecento anni la borghesia si è data da fare per accaparrarsi manovalanza con metodi sempre più soft.
Il Capitalismo moderno rende, oggi come sempre, vana l’emancipazione, perché, grazie al totale controllo delle opinioni universali, mette il processo di liberazione delle masse oppresse nelle mani di chi le opprime. È evidente che non può che venirne una falsa liberazione.
Quella in cui viviamo è una società dove, dietro l’apparente democrazia, vige la dialettica servo padrone: cittadini alfa e cittadini beta, o gamma, o anche delta, fanno quello che possono.
L’autoemancipazione non può darsi, poiché mancano due fattori fondamentali:
1)      Un obiettivo condiviso di società globale radicalmente diversa da costruire
2)      Autoconsapevolezza delle cosiddette masse
E dunque:
       a)   La consapevolezza, dove c’è, sfocia nell’impotenza
       b)   L’impotenza si consola con dosi massicce di sogno
       c)    La liberazione non può più provenire dal basso, dalle masse oppresse, perché il Mercato globale crea identità di obiettivi tra ricchi e poveri. Solo che i poveri devono accontentarsi del sogno. E inoltre, queste masse, dove sono? All’Ikea.

La lotta di classe, benché mistificata, continua tuttora e la stanno vincendo i ceti più ricchi.
La società non è altro che il modo in cui le classi dominanti organizzano i loro trastulli. L’ha già detto Marx, l’ha ripetuto Berlusconi,  ma sarebbe il caso di capirlo, perché c’è ancora gente che crede che la società sia il luogo della convivenza civile.
Nel prossimo futuro, nella cosiddetta società futura, i poveri (le masse sfruttate, i lavoratori precari, i disoccupati, gli stranieri che non ce l’hanno fatta a integrarsi) cesseranno di esistere, nel senso che cesseranno di essere una parte della società della quale bisogna prendersi cura. Il sistema dell’informazione globale può facilmente ridurre la portata del fenomeno fino a renderlo inesistente. Anche chi lo vive in prima persona e se ne sente protagonista, si scoprirà inesistente. Guardate e vedrete. Se la società del 2030 non sarà implosa, sarà una società senza poveri, perché non risulteranno, neanche a sé stessi.  Faranno vita a sé. Tutti accrocchiati sul primo 56 che parte dal capolinea di Piazzale Loreto.
La società si deve proteggere da chi minaccia la propria sicurezza. E chi la minaccia?
Chi è più pericoloso dei terroristi, dei palestinesi, dei migranti, della microcriminalità? Anzi, chi coincide assolutamente con essi?
I poveri. Ecco chi.
I poveri, sono il vero nemico, la cattiva coscienza, e dunque l’obiettivo di carità pelose, di ONG, ONLUS, associazioni di ogni tipo, chiese, sette, religioni di ogni sorta.
Tutto deve essere fatto, purché la liberazione reale non avvenga.
La liberazione può essere ormai solo ad interiore homine, ma a condizione che si abbia da mangiare. Per tutto il resto c’è sempre Mastercard. Qualora non si abbia da mangiare c’è la Caritas Internazionale.
I poveri servono solo se sono in lontani paesi e silenziosi. Quei poveri destinati ad aumentare sempre di più anche in questo nostro paradiso d’occidente, vanno ignorati.
Non possono esistere e dunque non esistono. In televisione vanno solo sul terzo canale e non sempre, solo vicino a Natale o Pasqua.
Tuttavia il potere, per preservarsi, ha bisogno di un ceto inferiore da sfruttare.
Il ceto inferiore (cioè l’attuale classe media) sarà dunque sottoposto a una lotteria dell’esistenza, una lotteria dalla quale sono esclusi i veri poveri, ormai destinati all’estinzione.
Chi vince la lotteria dell’esistenza, accede alle risorse: altrimenti finisce tra i poveri, cioè smette di esistere. La lotteria è il futuro della società. Già molti romanzi di fantascienza cosiddetta sociologica, avevano fin dagli anni cinquanta anticipato questo tema: una feroce divisione in classi sociali inalterabili, dove i poveracci vivevano nell’illusione di potere vincere il superenalotto. Dato che a qualcuno succede, può succedere a chiunque. E la vita va avanti. In fondo ci si aggrappa normalmente a speranze ben più tenui, tipo la resurrezione dei morti o il pianto di qualche madonnina di ceramica.
Sarà un mondo infernale, quello del XXI secolo, dove tutto sembrerà normale. Nessuno si sentirà così sfruttato, nessuno si lamenterà di un corso delle cose che sarà diventato naturale. A molti sembrerà addirittura di fare una vita, tutto sommato, soddisfacente.

Non credo ci sia una direzione precisa al corso del mondo, se non quella dettata dalla solita avida follia delle classi di volta in volta dominanti. Tuttavia non bisogna neanche cadere nell’illusione di potere leggere la realtà di oggi attraverso la lente di ideologie ottocentesche. Nessuno riscatta nessuno.  I poveri non sono santi: sono solo ricchi senza soldi.
Dicono che il futuro sarà caratterizzato dalla contrapposizione di popoli giovani e popoli vecchi. Io non lo credo. Il fatto che alcuni popoli siano anagraficamente costituiti da gente giovane, garantisce unicamente che il livello di forza vitale e avidità è maggiore, niente altro. Quando i cosidetti popoli giovani avranno vinto, saranno già vecchi essi stessi. E commetteranno una stronzata dietro l’altra.
Dicono che l’identità nazionale e etnica, sta diventando il fattore più importante nella geopolitica, e che questo accade perché è venuta meno la spinta ideologica emancipatoria delle classi subalterne, sotto la guida di figure intellettuali e politiche di rilievo.
Questo è vero solamente nei telegiornali. Al cittadino comune di ogni luogo, sostanzialmente, preme di avere accesso alle risorse, più che liberarsi da non si sa bene cosa. E rifiuta istintivamente modelli morali troppo rigidi, a favore di modelli di vita. Vita e morale, infatti, raramente coincidono, tranne, forse, in Iran o in Afghanistan.
O nella Bible Belt.
Dicono che quello che  sta avvenendo, è una spinta costante alla frammentazione della realtà.  Dicono che non possiamo più, in nessun caso, racchiudere in una visione razionale tutto il mondo. In realtà è esattamente quello che succede. C’è un’unica visione del mondo, frammentata in tante piccole microrealtà. È una riproduzione sociale del Big Bang, teoria dell’Origine che va per la maggiore in quest’epoca. L’esposione originale dell’Idea Unica provoca la frantumazione della realtà. La parcellizzazione di microrealtà è come la fuga delle galassie sotto la costante di Hubble.
Alla fine ogni essere umano si troverà solo con se stesso, nel buio, urlante.
Intorno a lui, le urla degli altri soli nel buio. Un inferno beckettiano. O, forse, meglio, una piéce di Ionesco. Qualcuno si ricorda di lui?
Le urla, gli schiamazzi scimmieschi escono ovattati, assorbiti dall’involucro protettivo della Legge del Mercato, l’unica cosa che tiene unita la razza umana del XXI secolo. Solo il linguaggio dell’avidità è l’unico compreso a tutte le latitudini. Non quello dell’amore, che, così come viene presentato, è poco più di un panettone natalizio scaduto. L’amore, dove esiste, è un’aspra conquista individuale, che si eleva a universale solo per pochi attimi.
La Legge del Mercato è destinata a inghiottire tutto, compreso sé stessa.
Si autocorreggerà finché sarà possibile, poi imploderà.
Ma non si creda che sarà una catastrofe apocalittica. No, sarà invece un colossale sbadiglio di stanchezza. Il Leviatano appoggerà il testone orrendo sul cumulo di miserie umane che da sempre gli fanno da cuscino. Chiuderà gli occhi roventi e dormirà per sempre.
Dopo di che… chissà. Cioran risorgerà dalla tomba brandendo il biglietto vincente per il miglior non essere del sistema solare.

Marx diceva che solo le classi sfruttate potevano acquistare la consapevolezza per cambiare la società.
Ma nella società futura, la spinta al cambiamento sarà parte delle offerte presenti sul mercato. La venderanno insieme al resto. Sta già accadendo. Tutti sapranno, istintivamente sapranno, che ogni cosa è così da sempre e per sempre.
Il trionfo della volontà di potenza non ha bisogno di fanfare o svastiche.
Orwelliano o kafkiano sono termini usati, strausati e abusati: e chi ne abusa di più è proprio chi afferma sbadigliando che sono termini abusati. Costui o costei, si rende complice del fatto che orwelliano e kafkiano sono i termini nei quali la società viene perfettamente spiegata. Spiegare il mondo non è però cambiarlo. Ma voler cambiare il mondo è altrettanto sospetto di volerlo mantenere così. L’impasse si risolve unicamente in maniera surreale: i concorrenti del Grande Fratello invadono lo studio di Vieni via con me obbligando Saviano e Fazio a fare il trenino di Discosamba, i parlamentari occupano le università lanciandosi in gigantesche orge collettive e gli studenti organizzano sedute di preghiera e interminabili novene al CERN di Ginevra, mentre il papa benedice il lavoro minorile. L’unico modo di uscirne è mescolare follemente le carte, diventare stupidi come bestie e volare in cielo come angeli. Porci con le ali. Al Qaeda si rivela per quello che è: un complotto dei rettiliani. Hitler era un acuto stratega e Churchill invidiava la gioventù attoriale di Orson Welles.

I più dementi abitanti del XXI secolo saranno quelli che pretendono di risvegliare le coscienze, basandosi su infinite variazioni del tema dell’eroe, della terra promessa, della caverna platonica, del paradiso utopico: a forfait e con pranzo cena e albergo pagati.
Nella società futura gli intellettuali non ci saranno. Meglio così. Nessuno sentirà la loro mancanza. Nessuno ha mai sentito la mancanza degli intellettuali, tranne i sedicenti intellettuali che paventano la mancanza di intellettuali. Entro la fine del secolo le maestranze si scambieranno di ruolo e si vedrà la famosa cuoca di Lenin dirigere con ottimi risultati la Fiat e i manager impegnati quindici giorni al mese nella rotazione sacchi.

Il punto saliente di quest’epoca è che non ci sono nemici veri da combattere. E neanche amici veri. Tutto è introiettato. Noi siamo tutto. Noi siamo Berlusconi e l’ultimo peone, contemporaneamente. Siamo Totò e Rita Levi Montalcini. Siamo tutto quello che abbiamo guardato in TV, anche una sola volta.
L’unica cosa vera che ci è rimasta è un lontano mattino di sole. Questo è un ricordo valido per ognuno. Tolstoj, Proust, a suo modo anche il più distante da loro, Beckett, l’avevano già capito.
Briciole d’infanzia, per ognuno di noi. Poi, la morte. Nel mezzo, la società civile.
Albanese, il comico, con il personaggio Cetto La Qualunque, dice la verità scherzando: stila il programma utopico di La Qualunque, quello che tutti pensano veramente. ‘Nt ‘u culo la natura (inteso come pretese ecologiste), ‘nt’u culo l’etica, ‘nt ‘u culo i programmi. ‘Cchiù ppilo pe’ tutti.
È un modo geniale per sfogarsi da vero uomo di sinistra: fare ridere con quello che si desidera veramente, facendo finta di combatterlo.

Allora, contro chi combattere? No, non contro. Dicono che è brutto dire contro. Meglio dire a favore. Dunque, a favore di cosa combattere?
A favore della verità, mi vien da dire. Anche se non esiste. Anche se è sbriciolata.
Senza verità non c’è vera vita. Evviva il vero più cruento, da sopportare, sul quale costruire una società senza infingimenti. Una società contro natura. Idea leopardiana, inapplicabile, irraggiungibile. Il potere lo sa molto bene. Ladro di verità. Il potere è natura. Idea vecchia, la sanno tutti quelli che hanno letto qualche libro, ma questo non la rende meno vera.
L’unico modo di individuare il nemico è scoprire chi ti toglie la verità. Chi ti racconta favole di progresso. Chi ti parla di speranza, al di là o, peggio, al di qua della vita.
Se qualcuno ti toglie la verità, è lui il nemico.
Ma che cos’è la verità? chiede Ponzio Pilato.
La verità è l’ombra del potere. Quello che non si può vedere.
Quello che non riesci a vedere, ecco, quello è la verità.
Quello che manca e non si può definire, quello è la verità.
Una sedia è reale, ma non necessariamente vera.
Verità è ciò che si disvela. Ciò che prima era celato. Verità  è un processo.
Chi ti frena in questo processo, è un nemico.
Una volta individuato il nemico, amalo. Bisogna amare anche i nemici.
Questo è il regno delle tenebre idiote. Una risata le squarcerà. Bisogna buttare pacchi viveri su New York, radere al suolo il Darfur, far pascolare le capre dentro il palazzo dell’ONU, tirare una torta in faccia a Ophra Winfrey, emettere peti rumorosi a Porta a Porta, sbandierare in faccia a Nethanyau il complotto giudaico massonico, eleggere Rosy Bindi presidente della Repubblica, eutanasizzare tutti i proprietari di SUV sopra i 60 anni.
Il potere è tutto. Volontà di potenza. E le leggi? Perché far finta? Le leggi servono per preservarsi dalla distruzione. Un potere che riuscisse ad avere tutto si autodistruggerebbe.
Nel crollo trascinerebbe con sé tutti: individui alfa beta e gamma. E dunque una finzione di resistenza ci vuole.

La sola parvenza di via di uscita per l’individuo è essenzialmente religiosa, nel senso di un atto di fede.
Non resta che credere che la conclusione sarà splendida, per dirla con Hikmet, anche se non ci sarà nessuna vera conclusione e se anche ci fosse, non sarà bella: un pessimismo ottimista, diciamo, è consigliato, se non altro se si vuole continuare ad alzarsi ogni mattina.
È banale, ma non c’è altro.

La storia futura potrà anche essere, paradossalmente, una storia di soluzioni. Riusciremo probabilmente a risolvere, almeno in parte, i problemi pratici che attanagliano la nostra epoca: il clima, la geopolitica, il superamento delle pesanti ideologie novecentesche.
La “soluzione finale” della condizione umana resta invece un obiettivo realizzabile solo con l’estinzione. Estinzione non è poi una così brutta parola. Pace degli interminati spazi.
Non sarà una cosa imminente. Nessuno deve preoccuparsi.
La letteratura “alta” ha il compito principale di occuparsi di questa “soluzione finale”, o meglio, vivere all’ombra di essa. La letteratura “alta” ha il compito di raccontare storie di frontriera, una qualunque frontiera, perché solo quelle sono interessanti.
È dunque inutile aspettarsi una letteratura che contribuisca alla “rivoluzione”: non può essere che cattiva letteratura. Se è “buona” non può essere che inevitabilmente reazionaria in un modo rivoluzionario, e rivoluzionaria in un modo reazionario. L’esempio principe di tutto questo travaglio è Dostoevskij: un uomo tormentato dall’infinito, come Bardamu; un nichilista che disprezza il nichilismo; un ateo che vuole follemente credere, ma non crede, e che non riesce a far altro che ridere in faccia a qualsiasi idea di armonia suprema.


L’orizzonte dei nostri tempi è crudelmente limitato. Le “grandi narrazioni” si sono macchiate di più di un sospetto. Le porte del paradiso, se esiste, sono sbarrate.
L’incubo di Svidrigajlov, il vero “cattivo” di Delitto e castigo, si è materializzato. L’eternità è una stanzetta spoglia.




Una stanzetta spoglia è anche quella, mai inquadrata direttamente, che in Stalker permette di realizzare i più profondi desideri. Nel film di Tarkovskij nessuno aveva il coraggio di entrare in quella stanza. L’artista e lo scienziato se ne tornavano, sconfitti, alla propria miseria.
La letteratura di oggi è perfettamente incarnata dal ruolo dello Scrittore, però senza quella carica tragica che rende il film un capolavoro.
Gli scrittori (così come i critici e gli addetti alla cultura) di oggi non hanno coraggio o voglia di indugiare su quella soglia. Se ne tengono ben lontani. Preferiscono parlare di merda, di corpi, anzi, del corpo, come se la merda e il corpo non fossero anch’essi idee.
Siamo entrati nell’epoca del platonismo della merda. Forse non si ricordano neanche dell’esistenza di quella soglia. Non ricordano quella stanzetta spoglia nella quale ha dimora l’infinito, oltre quella porta che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. È per questo che hanno difficoltà con la voce. È orribile non avere voce. Ancora più orribile è l’illusione di averne una.  E ancora più orribile dell’orribile è avere voce e non avere niente da dire. Senza il tormento dell’infinito, non esiste racconto, ma solo una burocratizzazione dell’ispirazione.
Il mondo vince sempre. Ma va sempre combattuto. Nella sconfitta totale della vita nasce qualcosa.


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