Odio i fascisti di oggi. Quelli di ieri non li ho conosciuti. Odio i comunisti
che ho conosciuto. Ipocriti e borghesi più di tutti gli altri messi insieme.
Sono quelli che hanno contribuito, anno dopo anno, a quello che c'è oggi, senza battere ciglio. Sono quelli che hanno tradito i lavoratori tante di quelle volte da lasciare senza fiato.
Sono quelli che nel 1980 volevano
picchiare il mio amico M. Aveva detto (candidamente, da quel pazzo che era), durante
un’assemblea studentesca, di avere avuto contatti con il Fronte delle Gioventù. Era
successo il finimondo. Volevano linciarlo. E pensare che questi compagni così pronti a
massacrare il nemico incarnato in un ragazzetto di 18 anni, sono poi diventati tutti dei rotti in culo borghesi, con
la lingua attaccata ai soldi.
Solo
F., mio professore di storia, ha impedito che picchiassero M., che
dopotutto, ripeto, era solo un ragazzo di 18 anni.
F.,
attuale leader di un microscopico partito che vanta ancora il nome "comunista", è l’unico vero comunista di cui ho rispetto.
Il
mio compagno di classe al liceo, M.
Irrequieto a livelli incandescenti.
Entrava
in classe dalla finestra (eravamo al secondo piano) e usciva dalla porta. Si
arrampicava sul camino del riscaldamento centrale. Appena diventato maggiorenne
si era dato ai lanci con il paracadute. Era un bel ragazzo e le ragazze (anche
e direi soprattutto le compagne) erano
attratte da lui.
Ho
saputo da poco, smanettando un giorno su Internet in preda a morbosi ricordi
del passato, che è morto nel 1993, in un incidente d’auto, vicino a dove
abitava, da solo.
Non
l’avevo più visto dopo la maturità.
Strano
che non lo abbia mai dimenticato. Ci sono persone importantissime per noi, che
non sanno o non sapranno mai di esserlo state.
Mi pare di capire che nella mia follia adolescenziale di allora, M. incarnava
quello che avrei voluto essere: la mia versione totalmente ribelle, io che, nonostante le cazzate che combinavo, non riuscivo a essere che un bravo ragazzo,
in fondo.
Lui se n'è andato presto. Forse, quando lo frequentavo io era solo un ragazzo malato. Forse era qualcosa di più. Chi
sa?
M. e un altro ragazzo ultra - fascio mi
avevano introdotto ad Evola, che allora non mi aveva appassionato (neanche oggi mi appassiona). Anche
questo altro ragazzo era una persona particolare, di sicuro spiccava in mezzo
al conformismo e alla omologazione di pensiero e di vestiario dei “compagni”.
Evola
l’avevo accantonato quasi subito. All’epoca le mie letture erano soprattutto fantascienza
e Dostoevskij. Curiosa combinazione, ma fino a un certo punto.
In
ogni caso M. non era uno che si perdeva in teorie, lui era uno fagocitante
esperienze. Io lo seguivo come potevo, ammiravo il suo coraggio fisico, incoscienza, qualunque cosa fosse: io non l'avevo, per me ogni azione era uno spasimo nel cuore della paura.
Eravamo
così giovani, dei ragazzini, in fondo. Diciassette, diciotto, diciannove anni.
Io
ero una specie di intellettualoide (lo sono rimasto), che non piaceva alle
ragazze (questo aspetto, invece non esiste più: con le donne sono stato, tutto
sommato, fortunato).
Ero
portato per le avventure, più che altro intellettuali. Fagocitavo ogni scampolo
di esperienza, di conoscenza. Sentivo che frequentare questi ragazzi "fasci" mi poteva
fornire la chiave per accedere a un livello vitale superiore. Almeno, queste erano le cazzate che allora mi
venivano in mente.
Oscillavo
tra Destra e Sinistra senza potere scegliere.
Non
volevo essere emarginato dai Compagni, che all’epoca erano l’80 % di tutti i
ragazzi e di cui alcuni mi erano simpatici: in più le ingiustizie sociali, la
differenza che nasceva tra gli uomini, dettata solo dal censo e dal tipo di
mestiere, mi ferivano già allora profondamente; d’altro canto ero affascinato dalla vita
avventurosa dei "fasci", solo per un gusto diciamo così, estetico.
La
politica non c’entrava, d’altronde tra i diciassette e i vent’anni non è che ci
capissi chissà cosa (neanche adesso), né mi interessava (adesso non mi interessa più).
Tutta questa divisione
tra bene e male, giusto e sbagliato, mi pareva folle. È incredibile pensare a
come fossero politicizzati quegli anni. Tutto questo fervore politico sociale
si sarebbe afflosciato per l'ecumene dopo il 1982, come un pallone sgonfio. Così, da un mese
all’altro.
Cose fondamentali per l'individuo e la collettività si sarebbero rivelate solo una gran rottura di coglioni nel gran mare dell'interesse privato.
Ho
assistito a dei pestaggi tra fasci e compagni, ai concerti, spesso: qualche volta persino di fronte alla mia scuola. Fasci
del Leone XIII una volta erano venuti a rompere le palle nel nostro liceo, in risposta credo a qualche
altra cazzata combinata dai compagni davanti al loro. O viceversa, non lo so. Insomma, alla fine
degli anni settanta, inizio ottanta, ci si divertiva così. Suppongo che appena
pochi anni prima (1975 – 78) il divertimento fosse ancora maggiore. Ma allora
ero troppo piccolo per finirci in mezzo. Ricordo ancora l’atmosfera allucinante
del periodo del sequestro Moro. Pareva che fossimo sull’orlo di chissà quale
guerra civile o mondiale.
E invece.
Comunque,
tra i pestaggi destra sinistra e le cariche della polizia, mi trovavo spesso nel fuggi
fuggi generale. Una volta ho visto un tipo "fascio" dare un’accettata in faccia (giuro)
a un mio compagno di classe, uno dei capetti dei compagni. Per fortuna
l’accettata era stata data dalla parte opposta alla lama. Si vede che il fascio
non voleva ammazzare nessuno o ha sbagliato verso di impugnatura. Non ricordo come finì la questione perché
all’arrivo della polizia eravamo già schizzati via da tutte le parti.
Di
sicuro c’era un’idea precisa di quelli di destra, come di esseri malvagi da combattere
a tutti i costi. Ma i miei due amici, mi sembravano tutto fuorché malvagi. Uno sembrava
un po’ troppo pazzo, certo, ma era invece estremamente intelligente. Anche
l’altro era estremamente intelligente e attratto da un tipo di vita, per così dire, nobile.
Io
fingevo di essere smaliziato, uno che non credeva a nessuna cazzata di destra e
sebbene, non credessi particolarmente neanche a sinistra, quelli di sinistra
continuavano a sembrarmi più simili a come ero. Almeno così credevo, perché questi ragazzi di
Destra mi affascinavano, non potevo negarlo. Non riuscivo a desiderare di smettere di frequentarli. Io sono sempre stato affascinato e
stimolato dall’intelligenza altrui, quando la incontro. È così raro incontrare
menti brillanti. Molto più raro di quello che sembra. Parlare con loro, era
come respirare una boccata di aria fresca. Finalmente qualcuno che leggeva libri,
che si misurava con i propri limiti, che viveva a partire da una interiorità
che negli altri sembrava non esserci. Almeno così sembrava. Posso però dire che l'atmosfera di assoluto conformismo di quegli anni era ammorbante. Qualsiasi persona facesse qualcosa di diverso spiccava inevitabilmente. E comunque venivano almeno in parte emarginati e tenuti d'occhio, perché non combinassero guai o facessero da innesco in qualche guerricciola tra licei.
Non so se i miei due amici avessero fatto la "spia" per i "fasci", non lo credo. E anche se fosse, rientrava nel quadro di pseudo guerra civile generale. Qualcosa di assurdo che permeava l'aria dei tempi. E di cui non mi sentivo parte.
Non
oso immaginare cosa mi sarebbe successo e cosa avrei fatto se invece che nel
1962 fossi nato nel 1922.
Mi fanno ridere i sacerdoti dell’antifascismo. Essere
nati allora, in quei frangenti, voleva dire essere fascisti, quasi
automaticamente. Lo è stato anche Pasolini, sia pure per poco, nato nel 1922. Lo è stato
anche il rossissimo Dario Fo, repubblichino nel 1944 – 45.
In
Italia, la maggior parte degli antifascisti sono saltati fuori dopo la guerra,
chissà perché.
Dopo
il 1945, in Italia sono diventati tutti antifascisti. Mah.
L’Italia
è uno stupido paese di vigliacchi e corrotti, arroganti e canaglie nel quale la
guerra ideologica tra fazioni altrettanto arroganti e false non è mai cessata
fino ad ora.
L’oscena
divisione Destra – Sinistra, continua fino al 2013, con i deficienti che
cantano Bella ciao ai funerali e quelli che venerano gli Arditi dall’altra
parte. Io, a cinquanta e passa anni, mi sento in diritto di detestare Casa Pound e
Leoncavallo alla stessa maniera.
È per questo che mi è capitato di avere guai
con tutte e due le fazioni. Frequentavo chi mi pareva, senza pensare minimamente alla parte politica. Semplicemente, a me attiravano le persone, non le idee. La loro mente, il loro cuore, quel qualcosa che mi faceva scattare dentro un desiderio di conoscenza, di ribellione, di avventura dello spirito, se non altro. Avrei dovuto scegliere tra due ideologie, che per motivi
diversi, mi sembravano altrettanto ingiuste.
Il mio imbarazzo prima, il mio
rifiuto poi, nei confronti delle fazioni di qualsiasi natura, parte da quei
giorni lontanissimi.
Non si tratta di non volere prendere posizione: si tratta di comprendere che qualunque posizione è inumana, per qualche verso.
Mi
capita a volte di pensare, è meglio forse essere un fiore bellissimo ai margini
di una mulattiera abbandonata, o una merda di cane nella piazza più bella del
mondo?
È
un pensiero retorico, certo, fa parte delle antiche pretese. A tutt’oggi non so
se si può davvero scegliere di essere
fiore o merda di cane.
A
volte mi sembra di saperlo, ma più spesso non lo so.
Ai
tre giorni di leva, poco dopo i 18 anni ho fatto domanda per fare il
paracadutista (io, proprio io, che adesso faccio persino fatica a guidare in
autostrada). Volevo fare come M., ma poiché ero molto miope e da un occhio ero
fortemente ipermetrope mi hanno fatto C3. Scarso rendimento fisico. Un C3 non
può essere arruolato nei paracadutisti dell’esercito.
Un
giorno, più meno nello stesso periodo, mi è venuto in mente di andare a Genova
e imbarcarmi per la Corsica e arruolarmi nella Legione Straniera, all’epoca
stanziata in Corsica (adesso non so neppure se esiste ancora).
Sono
andato alla stazione e mi sono limitato a guardare gli orari dei treni. Poi
sono tornato a casa. Che pirla. A volte, ripensandoci, mi dico che avrei
dovuto, sissignore, avrei dovuto farlo. Mi avrebbero rispedito indietro per la
vista, probabilmente. Ma sai che esperienza.
Chissà
se ci avessi visto bene, cosa avrei fatto. Mi sarei trovato nei guai, come M.
Oppure in fondo, la mia essenza di bravo ragazzo avrebbe prevalso, in ogni
caso.
Forse il coraggio di prendere quel treno non l’avrei mai avuto lo stesso. È probabile.
Io non ero come M., non potevo esserlo, non lo sarei mai stato. Ma poi credo
che neanche M. ci sia andato. Chissà che vita ha fatto dalla maturità fino a
quel giorno del 1993.
Non lo saprò, credo, mai.
Nodi,
scambi, percorsi che si biforcano e sei vai da una parte non vai dall’altra. E
la vita traccia il suo solco. Cerchiamo, cerchiamo, cerchiamo, ma forse non facciamo altro che seguire un percorso obbligato. Le
nostre vite sono come migliaia e migliaia di gocce che scendono scorrendo lungo
un vetro. Ognuna ha il suo percorso e la sua durata e la sua dimensione e non
c’è una goccia uguale a un'altra, ma da distante non vedi altro che acqua che
scorre su un vetro. E ogni goccia ha la sua traiettoria, unica, incredibile,
effimera, articolata e complessa nello stesso tempo.
La
nostra importanza come individui, mi pare, è la stessa delle gocce. Da lontano
siamo acqua. Acqua umana. Gocce di acqua umana.
Oppure fiori bellissimi su una mulattiera abbandonata. Merde di cane sulla piazza più bella del mondo. Ma in fondo, nel fondo del fondo, gocce d'acqua su una parete di vetro.
Solo
se andiamo vicino possiamo inquadrare il destino della singola goccia. Forse il destino, non è
altro che distanza ravvicinata all’oggetto delle nostre attenzioni. Da lontano
statistica, da vicino cura, amore.
Destino è un’altra parola per definire coloro
che abbiamo amato, anche solo per un po’. Senza amore, non c’è destino.
Solo
se andiamo vicino, distinguiamo una goccia dall’altra, ne prendiamo a cuore
una, due, poche di più, ne possiamo seguire il percorso fino in fondo, fino a giù
nell’oblio di uno stipite, nel buio di un marciapiede, a perdersi, per sempre.
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