Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

venerdì 16 settembre 2011

Regno e Realtà II

Noto esponente TQ un po' attempato intento a lavorare sul linguaggio


Il romanzo è stato sempre il prodotto borghese par excellence.
Sparita la borghesia, o meglio, diluita in una popolazione di consumatori che si distnguono gli uni dagli altri soltanto per le possibilità di consumo, il romanzo cessa la sua funzione di prodotto borghese.
Dovremmo chiederci: in cosa si è trasformato il romanzo borghese?
In qualcosa da cui, se possibile, ricavarci un film. Se non è possibile, bisogna ricavarci un pezzo teatrale. Se non è possibile neanche questo, rimane un prodotto di consumo altamente deperibile.
Chi è il destinatario del romanzo artistico del 2000 e rotti?
Un consumatore, volente o nolente. Una minoranza che si presume colta e che non farà mai la differenza. O la farà per deposito di incrostazioni storiche.

Se chi scriveva nel XX secolo aveva vissuto la guerra, i blocchi contrapposti, i flussi e riflussi delle avanguardie, chi scrive nel XXI secolo ha vissuto solo il Consumo di immagini, concetti e guerre televisive. Non a caso si mette in tutte le salse la parola “corpo”: è tale il disincarnarsi della vita, che solo la descrizione di una scopata etero o omosessuale, di una colica intestinale o di un’alito cattivo, possono dare una parvenza di vita a identità esili e sfinite. “Corpo” è, non a caso, la parola più usata dagli acculturati, insieme a “lavoro sul linguaggio”.  Il “corpo” è l’unica “idea” che gente disincarnata può avere della verità.

L’arte è una forma suprema di nostalgia. È una vecchia idea romantica, certo, ma nasceva dal corpo (nel vero senso della parola) e dal sangue di chi scriveva, sia pure da un punto di vista politico (es. Pasolini) che da un punto di vista fantastico (es. Buzzati).
Oggi rimane solo l’opinione. E con le opinioni non fai arte. Fai solo prodotti da distribuire nei differenti mercati. Meloni postcapitalisti. Albicocche postmoderne. Pasta fresca alle rivoluzioni colorate. Pomodori laici. Dall’altra parte della barricata, filoni di pane revanscisti, mortadella cattofascista, olio d’oliva revisionista ecc. ecc.

Il risultato è che la produzione letteraria degli ultimi decenni è costituita di opere che illustrano la vita d’oggi dal punto di vista di un consumatore di cultura. Non è più l’interrogarsi dell’anima borghese. Niente di grave, i tempi sono cambiati, non si può pretendere. Ma un consumatore di cultura, può avere un’anima? Intendiamoci, magari alcune di queste opere sono frutto di una grande intelligenza analitica.
Si vuole maggiore consapevolezza della scrittura, maggiore consapevolezza del lettore, maggiore rigore e la messa al bando, per quanto possibile, dell’ironia, perché essa tende ad appiattire il discorso su un livello basso.
Si ottiene così una intelligenza critica talmente acuminata, da non fare più passare niente al vaglio di un esame approfondito. 

Esaminando meglio la questione, tutto questo movimento dialettico mi sembra un sistema per cadere sempre in piedi, qualunque cosa si faccia. E dove sta la responsabilità dell’autore, in questo? Si vuole ironia, poi assenza della stessa, intelligenza analitica, ma subito dopo la denuncia della presenza di troppa intelligenza…  Si tira in ballo addirittura la responsabilità del lettore.
Suvvia, basta. Credo che, fondamentalmente, ci si prenda un po’ troppo sul serio. Dopotutto, siamo, nella migliore delle ipotesi, consumatori di cultura.
E dunque non serve rimanere legati alla figura prettamente italiana del poeta-vate e dell’intellettuale organico, senza peraltro fornire alcuna idea originale del mondo.
Non c’è bisogno di tutto questo. Signori e signore, potete slacciare le cinture.
Nessuno ha un’idea originale del mondo. Nessuno sa cosa fare. Partiamo da qui. Altrimenti non ci possono essere in giro che opere che “lavorano sul linguaggio”. E chi “lavora sul linguaggio” vuole sempre essere preso sul serio, altro che.
Ragazzi, dice chi lavora sul linguaggio, questa roba che ho fatto dice la mia casa editrice che è molto figa e anche i miei amici dicono che è molto figa.
Sapete, l’ho ottenuta lavorando sul linguaggio.
 
Vien voglia di scapparsene in Islanda come Bobby Fischer.
Vien voglia di leggere e scrivere solo saggi su argomenti bizzarri.
Vien voglia di guardare documentari sulla natura con quel biondo pazzo che maneggia serpenti e mangia piante.
La letteratura, dopo tutto, non è nient’altro che un trastullo. Un serissimo trastullo. Come la vita di Tristram Shandy. Non dimentichiamocene mai. La letteratura (l’arte) è una fuga dalla morte. Bella frase. Peccato che sia vera. Ma per fuggire dalla morte bisogna essere vivi. Questo bisogna cercare: la vita, qualunque cosa sia. E ci sono mille risposte possibili a quest’unica domanda.

2 commenti:

  1. Sterne? Un bel tipo. Il romanzo serve a dare statuto alle elités, se le elitès sono ceto medio gli ci vorrà una romanzeria dominante da ceto medio. Tutto qui. Però ci sarà sempre letteratura " alta ", se non altro per fare da cuscinetto pneumatico alla romanzeria mediana. Saviano alla fine deve dire Céline, Nesi Wallace e chi altro Bolano (notevole) o Vila Matas (lo conosco poco, ma promettente per i miei futuri godimenti letterari), o Celati o Landolfi ecc. Comunque bel pezzo. Ciao.

    RispondiElimina
  2. L'arte è una fuga dalla morte, ma forse, tra le tante fughe, è una delle più fesse, certo la più esaltante, a conti fatti. Impegnerà lo spirito, o cosa per lui, ma tenta il punto di fuga attraverso il primato, quasi sempre. Il romanzo si prestava meglio di altri generi a questa gara. Oggi mi sembra che ci si accontenti di molto meno, tipo le noccioline. Se non fosse carrierismo potrei quasi dire: grazie a dio.
    Bel post, Massimo, ciao

    RispondiElimina