Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

mercoledì 14 settembre 2011

Regno e Realtà I

Sguardo critico dell'artista impegnato

Con le posizioni ideologiche non fai letteratura. Neanche la pastasciutta, ci fai.
In generale, con le posizioni ideologiche puoi farci molto poco. Oppure tanto, se si tratta di procurarsi un lavoro.
Intendiamoci, non ho nulla contro il mestiere, anzi, il mestiere è una gran cosa, il mestiere è tutto, è la capacità di cavalcare il flusso emotivo creando strutture intellegibili e il più possibile belle.
No, non è il mestiere, il problema.
È una certa burocratizzazione dell’ispirazione, per cui si utilizza il quotidiano o la storia recente, come prendendo gli avvenimenti da uno scaffale e piazzandoli su un tavolo in bell’ordine, sperando di risultare artistici.
Si cerca di essere interessanti e di“lavorare sul linguaggio”, senza una vera partecipazione vitale. Cioè, la partecipazione l’autore ce la mette sicuramente, non ne dubito, ma io proprio non riesco a percepirla come “viva”.
È come se molti si illudessero di parlare del proprio tempo di vita mortale. E parlassero invece delle proprie abitudini di consumo o delle proprie opinioni politiche. Forse ormai le due cose coincidono.

Ma non sarebbe nemmeno quello il punto.
Il punto è una non necessità di fondo, una mancanza di urgenza in quello che viene prodotto, la quale, dove c’è il professionismo, non è evidentemente indispensabile, né la si pretende. Però si fa finta che ci sia.
Ogni nuovo testo uscito mi sembra l’equivalente esatto, su scala intellettuale, delle canzonette che vengono proposte dai cantanti a getto continuo anno dopo anno, e che hanno in sé un indiscutibile contenuto di alto professionismo musicale e vocale, nonostante la banalità della struttura e della melodia.
Come ogni canzone nuova è un inno al suo autoproclamarsi prodotto, così ogni nuovo libro è un inno al suo autoproclamarsi Promessa Di Qualcosa Che Ha A Che Fare Con La Letteratura.
Le canzonette manifestano ogni volta di avere la pretesa di non avere pretese, pur avendole.
La produzione letteraria attuale (quella che si vuole di un certo rilievo) è identica e contraria allo stesso tempo al regime delle canzonette.
Manifesta tutte le pretese.
È un prodotto che vorrebbe essere più di quello che è, ma che ricade infallibilmente nello schema mercantile clientelare.
È l’immaginetta di qualcosa che si pretenda turbi il sonno leggero dei borghesi e non turba più nemmeno il sonno degli addetti stampa.
Manca di sangue, perché manca di verità umana, che non è la stessa cosa del realismo.
In sostanza nessuno sa cos’è, la verità umana, ma se manca, si capisce benissimo.
Nessuno sa mai esattamente di cosa sta parlando, ma ne parla.
La vita contraddice quotidianamente Wittgenstein.
L’equivoco di fondo è la pretesa che la letteratura debba fare denuncia del presente.
Debba essere impegnata. Debba incidere sulla coscienza. Ogni qualvolta la letteratura è riuscita a tanto, lo ha fatto sempre e solo incidentalmente.
La letteratura diviene menzogna, parafrasando Manganelli, quando è costretta ad essere lì dove è il pensiero. E invece, come sosteneva Lacan, noi siamo solo dove non pensiamo.

Tutto ciò suona un po’ confuso? Contraddittorio? Solo in apparenza.

A chi si rivolge la produzione letteraria attuale che si pretende di un certo rilievo intellettuale?
Il loro fruitore è  l’acculturato di sinistra, quello che vuole la redenzione del suo stato di privilegiato in un mondo dove c’è veramente gente che tira la carretta senza speranze.
Lo spettatore della Dandini e di Fazio, per intenderci, ne è l’esemplare più evidente. A seguito vanno gli addetti delle case editrici, più o meno precari, gli insegnanti, più o meno precari, i figli della media o buona borghesia, i pochi figli di proletari riscattatisi, quelli che per protesta non guardano la televisione, i lettori della Repubblica o del Manifesto, il popolo delle manifestazioni culturali.
La categoria morale degli acculturati di sinistra è il vittimismo moralistico.
Sono quelli che passano anni interi a chiedersi perhé la sinistra perde sempre le elezioni.  Il mondo non capisce. La realtà è rovesciata. Debord e bla bla bla, anzi no, non Debord, meglio Baudrillard e Chomsky. I simulacri, e il mercato equo solidale e sostenibile e io faccio sempre la spesa in quel mercatino tanto carino e la mia filippina la pago 9 euro l’ora, mica come certi rabbini del PDL. I palestinesi hanno i loro diritti, certo, ma Hamas è una organizzazione criminale e l’Iran è un paese arretrato e fanatico. La satira deve essere difesa. La magistratura deve essere difesa. La libertà di stampa deve essere difesa.
Gli operai, Gesù mio, non arrivano al 15 del mese. Però, cazzo, non si trova un buco a Ischia per la fine di luglio!

L’inevitabile comunismo futuro, quello vero, quando sarà e se sarà, avverrà nonostante questa gente e oltre questa gente.

La pretesa di protestare contro l’esistente, mostrandone le brutture da un punto di vista superiore, maschera la falsa coscienza di esserne invece fottutamente complici.
Questa ipocrisia di fondo non può che produrre opere che girano intorno a due ideuzze, che hanno la pretesa di “lavorare sul linguaggio” , un’espressione, questa, che a conti fatti, non significa un beato cazzo. Oppure si sviluppano pretese massimaliste che, sempre “lavorando sul linguaggio”, operano uno “sfondamento” e una “inversione dei parametri” ed è tutto un proliferare di non-romanzi, quasi-romanzi, romanzi-monstre.

Ci sono stati in Italia anche alcuni recenti tentativi risibili di fare prodotti letterari per gente acculturata di destra (categoria che bisognerebbe esplorare meglio: il riferimento a suo tempo sono stati autori come Berto, ma anche certo Buzzati):  un esempio su tutti, e neanche il più significativo, è Buttafuoco. I risultati, lusinghieri nelle vendite, sono stati modesti nella ricezione dell’opinione critica.
A questo ha contribuito la non eccelsa scrittura del Nostro e la preponderanza della critica di sinistra.
E non poteva essere diversamente. La destra, dove non raggiunge il furore iconoclasta di un Céline o la smania di lucidità di un Cioran,  diventa berlusconiana-finiana e non può far conto che su un certo sentimento revisionista che porta a smascherare la cattiveria nell’avversario di sempre, in senso antiutopista e pseudoliberale.
Le foibe, Porzus, Katyn, lo sbarco in Sicilia,  tutto si riassume in un Avete visto che siete stronzi anche voi comunisti? Poca cosa rispetto al bagaglio storico di denuncia incontrastabile della sinistra. L’eroe di turno dell’acculturato di destra è quello che non si lascia abbindolare dalle ideologie egualitarie. Nella migliore delle ipotesi, corrisponde al lettore del Giornale, uomo della realpolitik quanto altri mai; nella peggiore a qualche frustrato neonazista di Casa Pound: certo, è più visceralmente anticapitalista quest’ultimo che il Bertinotti nazionale. Infatti qui tratto di destra parlamentare, detta anche destra televisiva.
La categoria morale degli acculturati di destra è il fastidio.
La fastidiosa questione degli immigrati.
La fastidiosa questione dei lavoratori.
La fastidiosa questione della giustizia.
La fastidiosa questione delle pensioni.
Il fastidio che ci sia qualcuno che pretenda di vedere le cose diversamente o, peggio, pretenda soluzioni che implicano un ridimensionamento dello status quo: cioè, cristo, della mia Pagnotta!

Come ha magistralmente affermato Gilad Atzmon, la destra vincerà sempre.
Ma anche la sinistra vincerà sempre.
Questo accade perché la destra è esistenzialista (“Cosa è l’uomo? L’uomo è questo!”) e la sinistra normativa (“Come dovrebbe essere l’uomo? Così dovrebbe essere!”).
Entrambe le visioni del mondo sono complementari. Nessuna può esistere senza l’altra, poiché la politica è essenzialmente psicologia. È il diagramma delle forze emancipatorie/colonialiste che si scatenano nelle nostre povere menti.
Destra e sinistra si sono fatte completamente fottere dalla Promessa del Regno a venire, che però si è rivelata solo felicità del Consumo, a scapito della tragicommedia dell’esistenza.
Era inevitabile, perché una certa felicità del Consumo, esiste veramente.

Coltivare la propria umanità, dalla quale solamente può scaturire qualcosa di significativo, significa lasciare seccare la nostra inumanità al sole della Realtà.
Se si lascia andare l’aspetto normativo a scapito di quello esistenziale, o viceversa, il risultato è l’inumano.
Se si cerca il Regno a venire, si trascura la Realtà.
Il risultato è, ancora, l’inumano. Siamo in trappola. La letteratura è il topo che fa scattare la trappola, rimanendoci con la testa impigliata dentro. Stecchito.
Letteratura vera è incrocio tra Realtà e Regno, Esistenza e Norma. È destra e sinistra, insieme, o nessuna delle due.

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