Cronache Babilonesi
sabato 10 settembre 2011
Un gioiello di carnale gioia in mezzo agli astri
Gli ultimi quartetti di Beethoven sono capolavori assoluti di melodia, profondità, ricerca strutturale e suono.
La totale sordità nella quale il compositore era sprofondato negli ultimi 10-15 anni di vita, aveva come acuito il senso interiore della necessità compositiva.
Ogni cosa ha origine da un centro e quel centro, ormai, è solo interiore.
I vincoli formali della musica sette-ottocentesca crollano, i vincoli stessi della vita materiale diventano labili e nasce questo.
L'uomo ha vinto la forma, è diventato tutt'uno con essa.
Ogni singolo movimento del quartetto op. 132 è splendido, un pezzo di universo cosmico racchiuso in qualche centinaio di battute.
Ma il terzo, signore e signori!
Il terzo è qualcosa di più.
E' una Canzona (sic!) di ringraziamento di un convalescente alla Divinità per la propria guarigione.
Una preghiera laica di una bellezza indicibile, una elaborazione quasi postmoderna del profondo studio di Beethoven su Palestrina. Una esplorazione dell'infinito, la smaterializzazione delle particelle, lo sciogliersi dell'anima nelle correnti fotoniche del mondo.
Calmo, solenne, inevitabile, assoluto: se mai quest'ultima parola possa avere un senso, con Beethoven l'acquista.
Eppure Beethoven non è uomo unilaterale.
In sé contiene estremi.
Nel mezzo di un tale movimento astrale, nella lenta rotazione delle galassie, appare, ripetuto due volte in forma leggermente variata, la Gioia.
La Gioia, che nella Nona appare istituzionalizzata, pomposa, faticosa, qui è Divina, leggera, una danza intorno all'Immortale amata, l'Amore, la Salute, la Carne e Gioia, Gioia.
Lacrime dolcissime di Gioia.
Sei tornata, finalmente, per sempre restare, qui con me, per sempre.
Tutto scondinzola di felicità, come un cane che rivede il padrone, due amanti che si ritrovano dopo anni, tutto trema alla sensazione inimitabile che ogni fatica è stata ricompensata.
Invece dopo l'esultazione, ecco, riprende la calma, solenne meditazione astrale.
Perché Beethoven ha sentito di dover ripetere due volte l'ingresso della Gioia?
Perché la rotazione incessante degli astri non si può fermare e il Destino pur sempre reclama.
E anche quest'ultimo vincolo si deve sciogliere.
Dopo l'ultimo spegnersi dell'ultimo sussulto, l'infinito reclama.
Il viaggio dell'anima continua.
Eppure quei due momenti sono tutto, sono indimenticabili, valgono l'intero quartetto e forse l'intera Vita.
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