Se
si eccettua l’inaccettabile idiozia che vorrebbe Sisifo felice, occorre
rivalutare e ripensare Albert Camus, a cento anni dalla nascita. Fu forse un anarchico, in fondo, come afferma Michel Onfray, nel suo
recente saggio non ancora pubblicato in Italia. Era un uomo che cercava la verità e soprattutto la vita, oltre il filtro vischioso delle ideologie.
La
sua profonda onestà, la sua ricerca di una gioia di vivere all’ombra della
morte, il suo esistenzialismo senza concessioni al vittimismo, il suo non
consentire che si potesse uccidere in nome di un’idea, ce lo rendono caro.
Ci
si chiede, e se fosse vissuto?
Se
fosse morto nel 1993, o 1996, sull’ottantina (poteva benissimo succedere,
nonostante la sua non eccelsa salute), avrebbe potuto attraversare le idiozie
post comuniste, post moderne e post tutto. Che conclusioni ne avrebbe tratto? Del
terrorismo islamico, lui algerino pied noir, cosa avrebbe scritto? Avrebbe
appoggiato la Legge Mitterand, negli anni ottanta? Avrebbe giustificato le BR?
Forse no. Ne L’uomo in rivolta era stato chiaro nel condannare il terrorismo.
Avrebbe
ceduto alle tentazioni di diventare un filosofo alla moda, un filosofo
televisivo? Avrebbe
dato una amichevole pacca sulla spalla a Bernard Henry – Levy e ai nouveau philosophes o gli avrebbe smascherati per quegli ipocriti borghesi che sono? Sarebbe stato
filoisraeliano o avrebbe appoggiato la causa palestinese? Si sarebbe riconciliato con Sartre?
È
triste pensare che forse neanche lui avrebbe resistito allo scempio della
società dello spettacolo. Avrebbe aiutato Debord a disintossicarsi dall’alcool?
Sarebbe stato anticapitalista? Mah. Si sarebbe scoperto forse ecologista, chi
sa. E della globalizzazione cosa avrebbe detto? E dell’invasione delle
filosofie orientali? Come si sarebbe districato nella palude del Pensiero
Unico? Contro chi si sarebbe rivoltato, quando al mondo non c’è più un posto
dove andare?
Un
uomo della sua acutezza, avrebbe nettamente percepito che essere un
intellettuale riconosciuto e stimato, dopo la fine del comunismo, significa
essere complice, volente o nolente, delle nefandezze dell’esistente. Con la sua
solita coerenza, si sarebbe auto esiliato nella sua tenuta di campagna, oppure
sarebbe tornato in Algeria, pied noir, una volta per sempre. Avrebbe vissuto
solo il natio sole africano, in mezzo agli arabi, avvicinandosi al misticismo
sufi. Chi lo sa, le alternative sono tante ed è certo un po’ ozioso pensarci.
Tuttavia
capire cosa ne sarebbe stato di lui, può aiutarci a capire cosa ne è stato di
noi, consumatori di merce spettacolare, impoveriti e senza via d’uscita.
L’auto
esilio, il non consentire, il resistere, sono le uniche possibilità
rimasteci.
Camus
ha tracciato la strada in un’epoca, la sua, dura, feroce, ma più comprensibile,
più netta. L’uomo in rivolta del XXI secolo ha il suo bel daffare a capire
anche solo contro chi rivoltarsi. Deve prima trovare se stesso. E deve farlo alla svelta, prima che tutto crolli.
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