All’ospedale
di Jena mettevi
cocci
di bottiglia tutto intorno al letto,
non
facevi avvicinare nessuno.
Mangiavi
i tuoi escrementi
come
un’ostia impura, un viatico
per
ritrovar pensieri ormai perduti.
Urlavi
la tua maestà al creato sfidando
gli
Hohenzollern assieme al gelo che entrava
dai
vetri rotti della finestra del reparto.
Ti
davano il cloralio
perché
eri molto agitato:
smaniavi
frammenti di poesie perdute,
lettere
a discepoli inventati.
E
come potevi stare calmo
con
il cuore ricolmo di un dio?
Gridavi
la gioia infinita, lo strazio dell’oblio.
L’uomo
è un ponte sull’abisso:
le
sue sponde, un corpo fragile
Tutto
ciò che ti colpiva
inevitabile
scendeva
al
centro del tuo essere.
E
il tuo cuore sanguinava
Sils-Maria
Sils-Maria
Pas encore
Volevi
disperatamente
essere
il divenire, trasmutare l’avvenire.
Sulle
cime dei monti gridavi,
invocando
la crudeltà del mondo,
affinché
sciogliesse la tua tenerezza
Hai
seppellito la malinconia
sconfitto
l’ipocrisia filistea
insieme
ad ogni metafisica.
L’uomo
è un ponte sull’abisso:
le
sue sponde, padre e madre
Danzavi
la notte sul letto
con
il fallo eretto
la
danza di Dioniso disturbando
il
reparto con il canto
dell’eterno
ritorno
Per
loro eri soltanto
malato
di troppa solitudine,
un
ex professore smarrito
ai
confini dell’impero.
Sils-Maria
Sils-Maria
Pas encore
Contro
il sentimento paralizzante
della
dissoluzione e incompletezza
sgorgava
incontenibile
la
veemenza orribile della vita
che
forma esseri aspiranti alla gioia,
per
subito distruggerli
in
un cerchio di fiamma vorticosa.
Una
corrente spaventosa
ha
spezzato il tuo canto.
L’uomo
è un ponte sull’abisso:
le
sue sponde, forza e debolezza
Solitaria
scimmia umana,
legionario
del pensiero,
danzante
sotto i cieli
di
una Grecia mentale
pervaso
da musiche
non
udibili da orecchio umano,
sei
sfuggito per sempre
al
peso che grava
su
ogni stellare ritorno.
E
dopo l’ultima sfavillante giravolta,
ricadesti
nelle mani delicate di mamma,
quelle
mani che ogni volta
spezzavano
la tua volontà di potenza,
come
si spezza il pane d’abbondanza.
Infaticabile,
inevitabile, fedele
L’utero
che ti generò ti riaccolse:
quale
ritorno custodì la tua notte.
Sempre
un dio ci strazia,
che
non può mai morire:
Dio
del Ritorno
Dio
della madre
Dio
dell’oscuro antro
Dio
della rinascita
Dio
dell’affannosa lotta.
(settembre 2005)
Viene in mente il paragrafo "Morale per medici", dal Crepuscolo degli idoli (credo).
RispondiElimina@ Humani
RispondiEliminaNel paragrafo che segnali giustamente, è rivelato il crudele destino di Nietzsche. Lui che vedeva nella malattia una specie di parassitismo, è finito come si vede nella foto. Tutto quello che ha sentito e pensato si è svolto al contrario nella sua vita personale.
Dice Massimo Fini nella sua biografia del filosofo, che per capire N. basta leggere le sue opere e applicarle al contrario. La sua vita fu il contrario di ciò che scrisse, un'eterna aspirazione a essere ciò che non fu mai.
Eppure è sconvolgente vedere quanto attuale sia ancora oggi, il pensiero di questo eterno nerd inattuale.
Aveva ragione a definirsi l'Anticristo. Di Cristo, come di Nietzsche, ancora oggi non si riesce a farne a meno. Sono sottintesi in tutto quello che facciamo.
Un pensiero simile esigeva forse una vita del genere. La malattia come maschera necessaria per gettare uno sguardo fondamentalmente sano sul mondo.
RispondiEliminaNon sono d'accordo. La follia di Nietzsche è la giusta posizione e la ironica ma necessaria conseguenza di un pensiero che demolisce se stesso e le categorie con le quali vaglia il mondo. Dopo aver smontato verità e logica, la mente salta. La follia è una benedizione, la demenza una conquista.
RispondiElimina@ Anonimo
RispondiEliminaPuò essere. Il mondo è un manicomio da cui si sfugge diventando pazzi. La domanda è: dove Nietzsche ha fallito qualcuno può riuscire?
Intendo, a superare il nichilismo e vivere con gioia, senza intoppi religiosi.
Buddha ci è riuscito. Shankara ci è riuscito.
RispondiEliminaDogen ci è riuscito.
Nessuno di costoro ha nulla a che fare con la religione.