Il film mi ha fatto una grande
impressione. Mi è sembrata una delle opere più interessanti degli ultimi anni.
Non vorrei soffermarmi sulla prestazione di Favino, semplicemente superlativa.
È qualcosa che capita poche volte, credo, nella carriera di un attore. In
un’altra epoca sarebbe passata alla storia. Craxi ci apparso davanti, nella sua
concretezza umana. Favino non ha imitato Craxi, è diventato Craxi.
Che importanza potrebbe avere la
storia di un politico in totale declino, alla fine del secolo scorso, se non
quella di trasmettere un messaggio di cui la gente dell’ormai inoltrato XXI
secolo ha un bisogno inconfessato? E di cosa la gente ha bisogno oggi, a
vent’anni di distanza dagli eventi narrati? Perché ci interessa Craxi?
Non è la storia di un successo, roba così
tanto in voga oggi, ma quella di una catastrofe, senza riscatto. Cosa ci attira
in essa? Forse il sentimento che nel dolore si diventa veri: nel dolore
immedicabile, nella sconfitta, nel peccato, all’ombra della morte, nella
polvere, si diventa umani, ci si avvicina umili al mistero. E noi abbiamo
bisogno di abbassarci, in quest’epoca, un bisogno inconfessabile, di cui
abbiamo vergogna. Abbiamo bisogno di guardare in faccia la verità che non
vogliamo vedere, cioè che da tanti anni noi poggiamo i piedi sul vuoto e questo
vuoto ci spaventa ma nello stesso tempo ci attrae. Perché portare avanti ciò
che è disumano è troppo doloroso.
In una Tunisia livida, che sembra
malata quanto il protagonista, si consuma l’ultima stagione di uno dei più
potenti uomini politici italiani del dopoguerra. Autoesiliato per sfuggire alla
prigione, Craxi mantiene intatta la sua arroganza e la sicurezza di essere nel
giusto, fino alla fine, eppure ci appare capace ancora di generosità, di
gentilezza, come pure di furori improvvisi. Il film non indugia sulle
motivazioni politiche, non indaga sui torti e le ragioni. È come vedere gli
ultimi giorni di Napoleone a Sant’Elena, quando ogni cosa è perduta e restano
solo piccole vestigia di un potere antico, ombre di antichi privilegi. Craxi
passa le sue giornate nella noia, nei disagi fisici, circondato dai familiari,
una moglie che sembra perennemente in vacanza, una figlia che si dedica
completamente a un padre che ama morbosamente, un nipotino in sovrappeso e non
troppo intelligente, una servitù autoctona e spettrale.
Il vuoto riempie i grandi spazi
bianchi, il cielo bianco, il deserto, i fichi d’India, I muri bianchi delle
case, tutto bianco, un bianco che sottolinea l’approssimarsi della morte.
E questo mi pare il motivo
nascosto di tutto il film: la morte, la sua attesa, il tempo sospeso della
condanna, il desiderio di espiazione, mischiato a quello di rendersi vittima
sacrificale, di andare fino in fondo al proprio destino. Craxi è una figura
tragica, il che costituisce un’eccezione notevole nel panorama italiano.
L’italiano, come si sa, rifugge dalla tragedia e riversa in commedia ogni cosa,
che poi quasi puntualmente sfocia nella farsa. Craxi sembra, consapevolmente o no,
volersi sottrarre a questo italico destino.
Figura di decisionista così
atipico tra i politici italiani, ha voluto accentrare su di sé il potere e
vuole, coerentemente, accentrare su di sé anche le conseguenze che la perdita
di questo potere comporta. Uomo libero, pur nella sua arroganza e nel suo
egocentrismo, non accetta di sottoporsi a un giudizio che ritiene ingiusto.
Perché deve pagare solo lui, per una consuetudine (il finanziamento illecito ai
partiti) che è sempre andata bene a tutti? Non è innocente, Craxi. Lui ha
abusato del potere, lo ha conosciuto e vissuto in tutti i suoi meandri, se ne è
abbeverato, ha fatto della sua vita strumento stesso del potere. E il potere lo
ha risucchiato e sputato via.
Allora quello che gli resta da
fare è morire. Craxi ingaggia la sua partita con la morte. Quando potrebbe
tornare in Italia e farsi operare da medici validi rifiuta. Gioca con la sorte,
si fa operare in Tunisia. L’operazione va bene, ma è troppo tardi. Craxi se l’è
giocata fino in fondo. Nel sogno finale ritorna il ragazzino che per puro
capriccio prendeva a fiondate i vetri del collegio: per pura ribellione, per
puro gioco, per puro desiderio di mettersi alla prova e fare di sé il proprio
destino.
Non è cattolico come Andreotti,
Craxi: egli attinge più alla tragicità greca.
Si fa autore del proprio destino
e va incontro all’hybris.
Andreotti si attacca al
cristianesimo e cavalca tutte le ere, arrivando a tardissima età.
Craxi e Andreotti, sono due
possibilità inerenti all’animo italiano: Craxi e del tipo meno diffuso e si può
stare certi che è quello che finirà sempre male. È il tipo mussoliniano. Stuzzicare
la bestia italiana è molto pericoloso. Dalla commedia si passa alla farsa e
dalla farsa si passa alla macelleria, quando meno ce lo si aspetta.
Non è possibile giustificare quello
che in fin dei conti è stato un politico controverso e assai discutibile. Il
film però non può fare a meno di renderci un personaggio notoriamente poco
simpatico, sgradevole e arrogante, uno di noi: e cioè un complicato, irrisolto,
dolente essere umano di fronte alla propria mortalità e all’incomprensibile
mistero di un cielo bianco che ci sovrasta.
Grande ed esauriente recensione di un film che mi ha fatto la tua identica impressione:trovo particolarmente azzecato il paragone-dualismo fra Craxi e Andreotti. Complimenti
RispondiElimina