Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

lunedì 14 ottobre 2013

Lo straccio



Passa lo straccio. Passa lo straccio.
Passa lo straccio sopra gli interstizi neri delle piastrelle bianche di questo posto bianco e tutto questo bianco si sporca così facilmente, non riesco proprio a capire perché si ostinino a fare queste piastrelle bianche nei bagni dei luoghi pubblici.
Dovrebbero fare le piastrelle nere, così lo sporco non si vedrebbe, ma poi forse non ci sarebbe neanche bisogno di qualcuno che pulisca e allora addio posto di lavoro. Quindi forse è meglio se lasciano le piastrelle bianche anche se le fessure tra una piastrella e l’altra sono sempre nere, è così difficile pulire bene.
Passa lo straccio. Strofina bene. Strofina più che puoi. Questo è il motivo perché sei qui.
Quanto tempo, ormai? Da sempre, si direbbe.
Che poi, una dice, il destino. Io ci credo al destino. Ho bisogno di crederci. Ho bisogno di credere di non avere mai avuto scelta. Perché se mi venisse il sospetto che faccio questa vita perché l’ho scelta io, meglio sarebbe spararsi. Il fatto di non avere avuto scelta mi conforta, in un certo senso. Il destino. Un soffio di vento e voilà, sei qui, un altro soffio di vento e voilà, sei di là. Che meraviglia! Nessuna responsabilità, mai. Mai assumersi una responsabilità.
La responsabilità di una vita, poi… ma che esagerazione!
Che cosa perdi tempo a pensare, pensi sempre a un sacco di cose inutili.
Passa lo straccio, invece. Passa lo straccio.

Queste righe nere tra le piastrelle non vengono mai pulite, per la miseria!
Per me è importante fare tutto per benino, non voglio che nessuno possa dire, ma quella sta qui tutti i giorni e non pulisce nulla! Perché lo dicono, lo so. Non sono mai contenti. Nessuno si accontenta mai del lavoro di un altro, è così. Il lavoro di un altro è per definizione sempre un lavoro fatto male.
Per me no, invece, io rispetto sempre il lavoro di tutti …
Certo ci sono questi stranieri che, si vede, non hanno voglia, ce l’hanno scritto in faccia. Voglia di lavorare, saltami addosso, questi stranieri! Vengono qui a fare chissà cosa, a pretendere chissà cosa, ma sotto sotto, se potessero mollerebbero il lavoro e si metterebbero a ballare o a drogarsi o a bere birra, questa gente beve troppa birra, ecco la verità.
Passa lo straccio e non pensarci. Passa lo straccio, passa lo straccio, passa lo straccio ma queste righe nere non se ne vanno!

Che poi si sentono superiori, lo vedo. Quando sono sull’autobus, si comportano come se non fossero su uno dei nostri autobus, cioè un autobus della nostra città, ma sul loro autobus! Sono tutti lì, stravaccati, in piedi o seduti e non ti fanno mai passare e se provi a infilarti in mezzo a loro per uscire dall’autobus prima che ti si chiudano le porte in faccia ti guardano pure male. Se poi cerchi un posto a sedere, niente, l’hanno già occupato loro. E poi parlano parlano parlano così tanto che mi sembra di essere a bordo della torre di Babele. Per loro tutto dovuto, tutto! Dovrebbero girare con gli occhi bassi e invece tra un po’ comanderanno loro! Comandano già loro, ecco la verità! Io non sono mai salita su un autobus pensando, questo è il mio autobus! Sempre buongiorno, buonasera, prego signora si sieda, sempre rispetto per tutti, perché io lo so che i mezzi pubblici non sono roba mia.
Niente è roba mia, qui.


Loro invece… fanno i piagnistei, fanno quelli che vengono sfruttati, ma alla fine chi è che comanda, veramente, qui? Loro! Non certo io! Loro comandano e bevono birra! Io sto qui a pulire questo maledetto pavimento e le righe tra le piastrelle sono sempre più nere… l’acqua del secchio è nera e ci va dentro, alle fessure, ed è sempre più sporco e devo cambiare l’acqua, lavare lo straccio … ma com’è, com’è che funziona questa cosa? come si pulisce un maledetto pavimento?
E perché è sempre così sporco?
Lo so io, perché! Non c’è rispetto, ecco perché! Non c’è più rispetto, nessuno rispetta più il suo prossimo. Cos’è il rispetto? È la coscienza dei ruoli, ecco cos’è il rispetto. Uno va in bagno e dovrebbe pensarci che c’è qualcuno che pulisce, stare attento. E invece no, mai!... e questa puzza, questa puzza! La puzza di questa gente che si sente superiore. Impiegati, dirigenti, venditori, segretarie, gente di tutti i tipi, commesse dei negozi, edicolanti, tassisti. Si sentono tutti superiori.

Lo diceva sempre anche lui, è tutta gente di merda! Questa è la verità. Lui lo diceva sempre e ogni volta gli rispondevo, esageri, ma lui diceva, sei tu che non capisci niente, questa è tutta gente di merda e non avranno mai rispetto di niente. Nessuno rispetta veramente nessuno a questo mondo …
Anche lui non è che mi rispettasse tanto … come quando una sera era tornato a casa che puzzava del profumo da quattro soldi di quella troia … non mi rispettava … la mia vita, gli ho dato la mia vita e lui se ne va con quella puttana straniera!
Tutte puttane le straniere!
Ormai, gli uomini vanno con le straniere perché dicono che sono più docili, hanno meno pretese … vai, vai, imbecille, che poi vedi se non saltano fuori le pretese. Tutta la vita a pagare devi stare, brutto bastardo, devi pagare con gli interessi, quello che hai fatto a me. Credevi di andare a stare meglio, vero? Le straniere hanno meno pretese, vero? Tutta la vita devi pagare, maiale. Tutta la vita! In mezzo a una strada devi finire!

No. Non ce l’ho con lei, la straniera … che importanza ha se è straniera … siamo tutti stranieri al mondo, no? Stranieri gli uni per gli altri … stranieri a noi stessi …
Gli impiegati che vengono qui dentro per liberarsi il ventre non sono certo meglio degli stranieri. No. Io la capisco. Capisco la sua fame di vita, la sua tristezza di esclusa, viene da posti non certo belli, non arriva dal paradiso, anche lei ha un padre e una madre … tutti affamati, mai sazi. Anch’io lo avrei tolto a te, se fossi stata al tuo posto … Perciò …
Non odiare. E non chiedere pietà.
Passa lo straccio. Passa lo straccio. Passa lo straccio.
Passa lo straccio. Non ci pensare più, adesso, è passata. Passata. Il tempo passa, come si passa lo straccio sul pavimento … il tempo passa il suo straccio sul pavimento della vita e cancella lo sporco, il dolore, il bene fatto e anche il male fatto …
Ogni volta che passo lo straccio su questo lurido pavimento è come se pulissi un pezzettino della mia vita. Ecco quindi, vedi cara, com’è importante pulire bene i pavimenti? È una, come la chiamano? Una metafora, ecco cos’è! Il pavimento della vita è pulito dallo straccio del tempo … e il giorno dopo il pavimento è ancora sporco, ma tu, con infinita pazienza, pulisci. Il giorno dopo ancora è di nuovo sporco, ma tu sei lì per pulire e ripulire, è la cosa più importante di tutte cara, pulire, ripulire, pulire, ripulire.
Pulire è più importante di tutto. Più importante di andare sulla luna o in fondo al mare, più importante del sole del cielo e del mare. Cosa te ne fai del sole del cielo e del mare, se tutto intorno a te puzza di merda?
Certo, forse ci si abituerebbe alla puzza.

Lui lo diceva sempre, a tutto ci si abitua, dice.
Io, per esempio, diceva, mi sono abituato alla tua faccia grassa, alla tua ciccia, io, mi sono abituato, diceva, alle tue fottute, continue lamentele. Uno si abitua a tutto, diceva, alla puzza di merda, alla ciccia, al cancro, alla stupida vita che facciamo insieme … uno si abitua, ecco. Non è certo uno che gira intorno alle parole, lui.
Ti svelo il segreto dei segreti, diceva lui. L’uomo, diceva lui, è un sacco di merda tenuto in piedi dall’abitudine.
Chissà se anche la sua sgualdrina straniera è un sacco di merda che sta in piedi per abitudine! Ti divorerà, tesoro! Non credere! Ti divorerà perché ha fame! Ti divorerà, perché è povera. E i poveri si divorano tutti l’uno con l’altro. Non credere. Non hai scampo. E anche lei ti dirà, tra un po’ di tempo, ci si abitua a tutto, alla tua faccia scura, alle tue lamentele, alla birra, al vino, al tuo pene flaccido che si tira su sempre e soltanto quando tu non ne hai voglia, al tuo odore, alla tua mancanza di speranza.
Anche lei te lo dirà. Ti dirà tutto quello che non ti ho detto io, che non ti ho detto perché ti amavo, carogna!
Sissignore, ti amavo. Per abitudine, certo.
L’abitudine è tutto, no? L’amore è abitudine agli odori. Ti amo ancora, pezzo di animale. Sono abituata al mio amore per te, è un’abitudine che devo riuscire a perdere.
È un vuoto bianco come queste piastrelle, che devo pulire.

Pulire, ecco, quello no, quello non è abitudine. Pulire è … rigore, ecco cos’è. Volontà, sissignore. Volontà.
Vi faccio vedere io, cos’è la pulizia! Tutto deve essere perfetto, tutto deve essere tirato a nuovo, come se questo bagno fosse un angolo di paradiso. Oggi, domani, dopodomani e sempre! Cancellerò lo sporco, anche dentro gli interstizi tra le piastrelle. Uno splendore bianco, accecante che distrugga l’abitudine alla mancanza di rispetto.
Devono adorare il mio bagno pulito!
Devono sentire, ogni volta che appoggiano il culo sull’asse, che stanno commettendo un sacrilegio! Devono vivere nella colpa di ammorbare con i loro abitudinari intestini, lo splendore di questa perfezione! questo è il mio riscatto, questo è il mio destino!

Che poi, una dice, il destino. Io ci credo al destino. Ho bisogno di crederci. Ho bisogno di credere di non avere mai avuto scelta. Altrimenti, meglio sarebbe spararsi. Il fatto di non avere avuto scelta mi conforta, in un certo senso. Il destino. Un soffio di vento e voilà, sei qui, un altro soffio di vento e voilà, sei di là. Che meraviglia! Mai assumersi responsabilità. La responsabilità di una vita, poi… che esagerazione!

Pensi sempre a un sacco di cose inutili. Passa lo straccio, invece. Passa lo straccio.
Queste righe nere tra le piastrelle non sono mai pulite, per la miseria! Per me è importante fare tutto per benino, non voglio che nessuno possa dire, ma quella sta qui tutti i giorni e non pulisce nulla! Perché lo dicono, lo so. Non sono mai contenti. Nessuno si accontenta mai del lavoro di un altro, è così. Il lavoro di un altro è per definizione sempre un lavoro fatto male.

Maledetti stranieri. Maledette straniere. Soprattutto loro, le straniere. Non soltanto tu dovevi rovinarmi. Anche loro. Tutto il mondo, tutto il mondo si è unito, milioni di anni fa, per decretare la mia sconfitta come essere umano, come donna, come moglie, come madre, come membro della famiglia umana, le crociate, la scoperta dell’America, la caduta del muro, la fine del comunismo, tutto ha congiurato per farmi fallire, ma io non ci credo, capisci? Non ci crederò mai che tutto sia abitudine. Io non sono abitudine. Io sono una donna che ripulisce le abitudini degli altri.

Che poi, una dice, il destino. Io ci credo al destino. Ho bisogno di credere di non avere mai avuto scelta. Come quando ti ho incontrato. Una lo aspetta dall’eternità questo incontro. Fin da bambina ti insegnano che verrà un giorno in cui ti batterà forte il cuore e lui ti verrà incontro e il tuo cuore non ne dubiterà mai, per nessun motivo, in nessun momento. Siamo fatti così. Anche adesso, che siamo pieni di gente nuova, strana, senza rispetto, anche adesso che puoi girare il mondo in poche ore, anche adesso che cercano la vita sugli altri pianeti, anche adesso che ti impiantano i bambini in pancia direttamente con un ago, anche adesso non possiamo sottrarci all’incontro del destino.
Un soffio di vento e voilà, sei qui, un altro soffio di vento e voilà, sei di là. Nessuna responsabilità, mai. Mai assumersi una responsabilità.
La responsabilità di una vita, poi … che esagerazione!

Ti piacevo allora, vero? Te lo leggevo negli occhi. Non facevi che guardarmi il seno senza farti accorgere, ma io me ne accorgevo benissimo e non mi dispiaceva. Mi piaceva il fatto che, anche se mi guardavi sempre le tette, lo facevi senza intenzione, si capiva che volevi rispettarmi, si capiva che ci tenevi a fare una bella impressione. Ti piaceva la mia faccia allora, vero? Non avevo la faccia grassa, non avevo la ciccia, non passavo il mio tempo in fottute lamentele, non c’era abitudine, non esisteva neanche questa parola nel mio vocabolario.
Come eravamo illusi.

Ti ricordi, quando mi hai baciata? Tremavi, grande uomo, eri emozionato come un bambino, tu, grande uomo dalla faccia severa e forte, tu eri un bambino tra le mie braccia. Sarai ancora un bambino tra le sue braccia? Un bambino cresciutello, direi. Quando dovrà cominciare a cambiarti il pannolone? Non sarà un problema mio. Io te lo avrei cambiato il pannolone, mio caro. Saresti stato il mio eroe con la faccia scura, sempre e comunque.
Lo sarai anche per lei?
Io ti sarei stata accanto, sempre. Io ti avrei chiuso gli occhi, avrei sciolto il mio abbraccio da te solo per darti in braccio alla morte. E anche in quel momento ti sarei stata accanto. Ti avrei cullato, bambino mio, fin dentro le soglie dell’eternità. Lei lo farà? O vi ucciderà l’abitudine? Ricordi chi ti consolava quando eri disperato? Ricordi chi ti ha perdonato quando hai perso tutto al gioco? Cos’era, abitudine al perdono? Può essere.
Il fatto è, amore mio, che non passiamo mai un solo momento fuori dal nostro piccolo, stupido, noioso teatrino.

Se ti vedessi come sei! Se per un solo maledetto istante, potessi vederti, esattamente come sei! Se tutti ci guardassimo in faccia e tutti, nello stesso identico momento potessimo vederci esattamente come siamo! Nessuno potrebbe più nascondersi, se tutto si fermasse.
Perché siamo tutti quanti affamati, sai, affamati di qualcosa che non si riesce a capire.
E si vedrebbe, se ci fermassimo tutti nello stesso momento. Prova a guardare gli imbecilli in televisione. Se riesci a guardare dentro i loro occhi, trovi il buio e dentro il buio la fame, e dietro la fame, una orribile tristezza. Guarda la gente per strada, nei bar, nei cinema, guardali, sono malati, disfatti da qualcosa che li divora. Si vedrebbe, si vedrebbe, ti dico.
E non si deve vedere.
E allora non ci si può fermare neanche per un istante.
Solo qui ti puoi fermare, qui dove il tempo si sospende, qui dove il dolore è una lieve colomba bianca che ti si posa su una spalla, lascia il suo segno … plof … e se ne va.
E tu ti senti sporco, ma più leggero. Qui, solo qui dentro il miracolo accade.
Anche i soldati in mezzo alle più feroci battaglie sospendono il loro tempo di sangue in posti come questo.
E che attimi quelli! Ti ripagano di una vita intera. Attimi di pura semplicità.
Se non ci fossero i cessi, gli accoglienti, puliti, bianchi cessi, chi potrebbe reggere lo spettacolo idiota della vita senza disperarsi?
Solo qui dentro, solo dentro al mio regno c’è la quiete, c’è l’eterno dolcissimo abbraccio dell’amore che non tradisce.
Se capissimo veramente cosa siamo, l’unico modo per non ucciderci tra di noi, sarebbe quello di riderci in faccia e ridere ridere ridere e uscire in strada, ridere ridere ridere e buttarsi a terra oppure spaccare tutto come un bambino su una spiaggia calpesta il suo castello di sabbia appena costruito, così, per capriccio… senza dare retta a nessuno, senza spazio né tempo né dolore. E mentre il mare finisce di distruggere  tutto il suo trastullo, lui, con un sorriso indefinibile sul bel faccino … si gira e se ne va, indifferente, come se fosse il destino.

Che poi, una dice, il destino. Io ci credo al destino. Senza destino non potrei vivere, se questa si può chiamare vita, naturalmente. Sopra me, sopra questo cielo di cemento e neon, brilla un altro cielo meraviglioso, io lo so, e oltre questo cielo, uno spazio nero e freddo punteggiato di stelle, e oltre ancora l’immenso spazio tra le galassie.
Sapere queste cose mi da, non so perché, una specie di strano conforto.
Un soffio di vento e voilà, sei qui, un altro soffio di vento e voilà, sei di là. Nessuna responsabilità, mai. Mai assumersi una responsabilità.
La responsabilità di una vita, poi … che esagerazione!

Basterebbe poco per essere libera. Un po’ di coraggio, ad esempio. Togliermi questo ridicolo grembiule, salire queste scale e uscire all’aperto e poi… dove? Sono intrappolata da un ruolo definito da secoli. Da secoli qualcuno sporca e qualcuno pulisce. Ecco tutto.
È una legge della vita. La vita è così piena di leggi. Da qualunque parte ti giri, c’è una legge che ti dice cosa fare, dove metterti, come respirare. Ah, poter per una volta camminare dritti sui muri. Vedere l’acqua salire verso l’alto, i morti riaprire gli occhi e dire buongiorno, buonasera, dove eravamo rimasti? E invece no. C’è una legge.
Che puoi dire a una legge?
E poi … io non ho un posto dove andare … da qualche parte, sta scritto, come dice? Ecco:
pensate che il figlio dell’uomo non ha nemmeno un posto dove posare il capo … e fuori da qui, nemmeno io ce l’ho un posto dove posare il capo. E poi cos’è in fondo, la libertà? Che importa veramente, a noi, della libertà? Dove andrei, se fossi libera? Ma in un certo senso, sapere di non avere alternativa, non è già una forma meravigliosa di libertà?
Sempre così sei tu, diceva lui, non hai un briciolo di fantasia. Se avessi fantasia, diceva lui, troveresti una soluzione, non continueresti a marcire in quel posto di merda.
Ma il fatto è, diceva lui, che tu non hai fantasia, non hai visione d’insieme. E dunque continua pure a pulire la merda degli altri, tutta la vita.
Non è certo uno che gira intorno alle parole, lui. Io non ho fantasia, è vero, ma neanche tu, caro mio, eri un gran campione. Giocare a poker, o alle macchinette dei bar, andare con quelle troiette straniere, non mi sembra un gran segno di fantasia. Tu, caro mio, sei ancora più stupido di me. Che cosa ne avresti fatto poi di tutta questa fantasia? Chi è che portava i soldi in casa, quei soldi che tu buttavi nel cesso? La tua fantasia? O io?

Cesso, cesso, tutto se ne va al cesso e niente rimane. E non possiamo accettarlo, il fatto che niente rimane e che questo è il destino e che persino il figlio dell’uomo non ha un posto dove posare il capo. Dobbiamo trattenere, trattenerci sull’orlo, sporgersi, questo sì, guardare dentro quel buio, anche questo sì, ma non lasciarsi cadere.
La caduta sarebbe irreparabile. Dopo non sarebbe più un gioco. Dopo che il trastullo è rotto non è più un gioco. E noi non siamo più bambini. Certo tu ci provi a fare il bambino, ci provi a allontanarti col sorriso indefinibile sulla faccia. Ma il sorriso ti si secca.
Sei morto, se ci provi. Non ce la fai. Ci vuole forza per essere un bambino, ci vuole forza per essere un destino. Tu, mio caro, non ce l’hai. Sei un debole, tesoro mio. E non sei nemmeno più un bambino, caro. Rassegnati.
Che guaio, vero?

Non siamo più bambini. Ma non siamo ancora abbastanza grandi. Non lo saremo più. Siamo a metà. E ci creperemo in questa metà. Almeno, tu ci creperai di sicuro, tesoro mio, in questa metà. Né angelo, né demonio. Un semplice, peloso, inutile imbecille. Credevi fosse semplice, vero? Credevi bastasse la fantasia, povero caro. Che testolina vuota.
Dobbiamo custodire il cancro delle passioni tristi dentro di noi, come se fosse il nostro più caro tesoro, amore mio. Dobbiamo trattenere, trattenere, trattenere. Altrimenti crolla la facciata. Si vedono cose che non si devono vedere. Si vede quanto siamo ripugnanti. Orgogliosi stantuffi che gongolano d’amore per sé stessi. Critici fasulli di ogni piccola idea fissa. Ciechi vermi intestinali.

Meglio di no, meglio di no, caro mio.  Sacchi di merda tenuti su dall’abitudine, siamo, dicevi tu …  forse è così per sopravvivere. Chi lo sa? La mia è una solitudine forzata dentro a un sistema di ruoli. Dopo, finito il ruolo, sarebbe solitudine e basta. Hai ragione, tesoro, sono vigliacca.
Dove potrei andare? Dove posare la testa? Pensate che il figlio dell’uomo non ha un posto dove posare il capo … io ce l’ho, invece, ed è questo. C’è di peggio. Ci si consola come si può. Troppi spazi vuoti uccidono. Qui, amore mio, posso ricordarmi di te. Posso amarti nel ricordo. Posso illudermi che non sei come sei. Un giorno, se lo vorrò, potrò perfino dimenticarti.  Qui posso pensare che sei solo un ragazzo, né bambino, né uomo, un ragazzo da proteggere da tutte le cattiverie del mondo. Se solo tu tornassi …

Un giorno ci ritroveremo. E niente sarà più come prima. Ci ritroveremo in letizia, come si dice, e ci racconteremo come ci si sentiva a non essere più noi, per così tanto tempo.
Niente sarà più come prima …
Niente.

No … pensi un sacco di cose inutili … è solo un momento di malinconia, niente di più. La malinconia è una fede come un’altra. E io non credo nella malinconia.
Cosa ci si può fare, è il destino. Che poi, una dice, il destino. Un soffio di vento e voilà, sei qui, un altro soffio di vento e voilà, sei di là. E nessuna responsabilità, mai. Mai assumersi una responsabilità.
La responsabilità di una vita, poi … che esagerazione!

Mi basta solo che ogni giorno chi viene qui dentro per fare i suoi bisogni o per stare un momento finalmente solo in pace con sé stesso, trovi tutto lindo, tutto pulito.
Voglio che questo cesso sia un angolo di paradiso. Questa è la mia rivincita.
Creare il paradiso dentro a un cesso.
Niente rivoluzione, niente false speranze, niente cosmologie: solo un puro atto d’amore.
Nessun dio può fare quello che faccio io: creare un mondo perfetto nel quale andare di corpo in serenità.

Passeranno i papi, io rimarrò.
Passeranno i presidenti, ancora io rimarrò.
Passeranno gli stranieri fino a quando saremo tutti così stranieri che la parola straniero non avrà più senso, e anche in quel momento io, qui, ci sarò.
Passeranno gli eserciti, il sangue, il dolore.
Tutto passerà.
Passerai anche tu, amore, dovrai passare per forza di qui.
E qui mi troverai. Fino alla fine dei tempi.
Passa lo straccio. Passa lo straccio. Passa lo straccio. Passa lo straccio.


(Giugno 2008)

5 commenti:

  1. Un racconto-fiume di coscienza "sporca" molto bello. Mi ha ricordato a tratti Lodoli, ma un Lodoli senza quei tanti fronzoli e ornamenti lirici che delle volte, secondo me, lo soffocano. Tu perdi un po' quota, permettimi, quando ti fai completamente sopraffare dalle tue pillole di pessimismo cosmico/contingente che non ti appartengono poi così tanto e se riuscissi a ingoiarne di meno sarebbe un bene perché canti alla grande (e forse meglio) soprattutto quando le lasci perdere e sfrecci per conto tuo... ma è un'opinione e poi ddù palle la perfezione.
    Comunque, mi è piaciuto starti a leggere.
    Ciao

    RispondiElimina
  2. Niente è più vincolante della libertà. Che tra l'altro si dice in molteplici modi, ed è salutare ricordarselo leggendo questo bel racconto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, Humani. Siamo liberi proprio perché non siamo liberi. O il contrario, chi sa?

      Elimina
  3. Grazie Dinamo, per il tuo incoraggiamento. Lodoli non l'ho mai letto per cui non ho idea di che fronzoli metta o no. Sul pessimismo cosmico/contingente, sinceramente, non so cosa intendi ... essendo il tentativo di inquadrare il punto di vista di una donna disperata, diciamo che forse era inevitabile. Comunque le tue osservazioni sono sempre bene accette. Io, per me, alla perfezione ci aspirerei ... a sapere come dovrebbe essere.
    Ciao e grazie di essere passato di qua.

    RispondiElimina
  4. Stronzi, stronzi in ogni dove. Se poi, come diceva un maestro gnostico, siamo le deiezioni dei mondi spirituali, la donna in questione è emanazione ultraterrena. L'ho letto con piacere.

    RispondiElimina