Cronache Babilonesi

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Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 26 settembre 2013

Battisti Panella Hegel: E al posto di cose ci sono le cose 1/2



Gli anni Novanta sono anni finali per tante cose. Il XX secolo, quello degli Orrori e delle Meraviglie, si chiude in tono minore, nell’incertezza e nell’indistinto, proprio come molti pezzi della produzione BP.
Finisce l’URSS e con esso in breve tempo buona parte della geografia che conoscevamo da bambini, finisce l’era della telefonia fissa soppiantata dai cellulari, finisce in Italia la Prima Repubblica, finisce il PCI, finisce la festa e Jovanotti si improvvisa autore serio: da questo si sarebbe dovuto capire come buttava il decennio. 
Gli anni Novanta sono naturalmente anche anni iniziali: comincia l’interminabile crisi economica e occupazionale che tra alti e bassi arriverà fino ai giorni nostri. Inizia il ventennio berlusconiano, con l’espandersi di tutti gli ammennicoli televisivi e una incipiente oscenità spettacolare (nel senso di Debord) che non avrà più fine. Inizia l’era di Internet, anche se ancora balbettante. Muore Cobain e il grunge finisce seppellito assieme a lui, la techno fa esplodere le discoteche e la testa di ragazzini recalcitranti a ogni forma di cultura. Spopolano l’ecstasy e il crack. Lo splendore e le miserie degli anni Novanta è magnificamente rappresentato da quel maelstrom di parole che è Infinite Jest, uscito nel 1996.
Negli anni Novanta c’è tutto e il contrario di tutto, in atto di mescolarsi dando forma al niente pieno di rimpianto per il passato che saranno gli anni Duemila.
A metà di questo triste calderone, nel 1994, Battisti fa uscire l’ultimo album della sua carriera e della sua vita mortale.
Hegel è quanto di più distante e sradicato si possa trovare nella produzione artistica del decennio. È ancora più distante dal mondo mercificato di quanto potessero esserlo gli altri album bianchi. Mentre la musica pop italiana del decennio si esprime con un profluvio di flatulenze oleose e finto etniche, Hegel si situa in un altrove immenso: è , letteralmente, un'inaccessibile cattedrale in un deserto, una luna bianca, pietrificata.



Uscito il 29 settembre del 1994, arrivò al 68° posto degli album venduti quell’anno, come dire che non si piazzò nemmeno in classifica. A parte pochi irriducibili che lo acquistavano, ormai i vecchi fan avevano capito come buttava e non ci si accostavano neanche. La nuova produzione di Battisti era irrimediabilmente lontana della gente. La vecchia produzione, quella con Mogol, sotto forma di antologie e ristampe di album risalenti fino agli anni Sessanta, continuava a vendersi tantissimo e suppongo costituisse la principale e abbondante entrata economica di Battisti. Dal punto di vista commerciale i cinque album bianchi, tranne forse il primo, Don Giovanni, non furono remunerativi.
Hegel, svetta solitario, inascoltato, apparentemente inascoltabile, in mezzo agli anni Novanta. Porta il nome del filosofo della riconciliazione tra Concetto e Spirito Assoluto, come dire che “le cose che pensano” hanno trovato, finalmente, il proprio pensatore.
Perché il duo abbia deciso di intitolare un album e relativa title – track al filosofo di Jena, ha aperto infinite discussioni criptico filosofiche. Nei testi di Panella si possono, se si vuole, trovare riferimenti alla filosofia hegeliana, come pure ci si può illudere di trovarli.
Gli indizi sono disseminati ovunque, ma ormai non si sa più cosa si sta cercando e nemmeno a partire da cosa, come nei romanzi di Beckett.
C’è ancora la Ragazza, protagonista degli album precedenti? Apparentemente sì, ma il gioco della seduzione e del piacere, il gioco dell’apparenza, lasciano il posto alla Speculazione. Hegel si interroga, a suo modo, sui suoi album predecessori, così come il filosofo tedesco indaga sulla filosofia greca. Si interroga e si perde.
Hegel è difficile, concede ancora meno degli album precedenti. Bisogna lasciarsi andare alla corrente e possibilmente avere sotto mano i testi, perché anche l’ascolto delle parole riesce difficile, almeno in certi brani, talmente l’esigenza metrica spezza e sminuzza le liriche.
La musica di Battisti è al solito, una rappresentazione iperrealista della musica del tempo, in questo caso la techno acida di quegli anni, ma va ancora più avanti nella spersonalizzazione, nella disumanizzazione della voce, ridotta sempre più a strumento. È musica asservita dalle parole, nella quale le parole si perdono e l’umanità è solo un lontano ricordo, per tornare al quale bisogna attingere mozziconi di emozione, come in una rappresentazione in musica di Finale di partita. Ma anche in questa desolazione la melodia battistiana fa il suo corso, inarrestabile, offrendo otto iper canzoni.
La copertina dell’album riporta una enorme E in stampatello su fondo bianco e null’altro.
Molte speculazioni sono state fatte: la E di End? La E congiunzione che esemplifica il flusso del divenire eracliteo al quale attinge il filosofo tedesco? La e di Battisti E Panella?

Panella in una intervista ha detto “Arte e libertà hanno poco a che spartire. L’arte non esiste, esistono dei tentativi, delle espressioni, dei referenti oggettivi, sculture, quadri, pagine. Non esiste l’arte così come non esiste la libertà, è assurdo che uno pensi questo. Questa è una frase che va a soddisfazione di quelle ambizioni mediocri di una persona mediocre che vorrebbe che tu risolvessi i suoi problemi teorici parlando di arte e libertà, accoppiandole, come se due astratti, due fumi, potessero accoppiarsi: questo dà molto il senso dell’impotenza di chi pensa cose del genere, perché praticamente vagheggia l’accoppiamento di due non esseri: l’arte e la libertà. Le nuvole e il vento possono accoppiarsi e sono abbastanza evanescenti, insomma sono uno soffio e l’altro vapore; ecco, ecco, arte e libertà lo sono ancora meno, è un accoppiamento nel segno dell’impotenza di consumarlo. Arte e libertà sono una consumazione del fatto.

Un accoppiamento di soffi e vapori: ecco qui il risultato del percorso. Un soffio di vento tra le parole, una musica che non è mai quello che sembra, una dolcezza che non si inganna sulle cose del mondo. Il destino si è divertito (il macabro divertimento che è tipico di ogni destino che si rispetti) a far finire la musica e la vita di Battisti proprio nel massimo punto di non ritorno. Di lui ci resta solo quella voce, che dice cose indicibili in falsetto. Il re italiano della canzonetta popolare si congeda lasciando tutto in sospeso, come in uno scherzo, infinitamente serio come tutti gli scherzi degni di questo nome. Una dolcezza che in Hegel si tramuta forse in serena contemplazione di cose pensanti e pensate.

1 commento:

  1. Grazie, grazie davvero. Sono un grande fan del duo B & P e ho letto con grande interesse ed attenzione tutti i tuoi post. In quest'ultimo, devo dire, mi hai pure commosso. Dopo avermi fatto ridere di gusto: quando hai affermato che si sarebbe capito come buttava il decennio dal fatto che Jovanotti si fosse improvvisato autore serio. Di lì a qualche anno, lo avrebbe seguìto a ruota Giorgia... Ma qui si parla di Lucio Battisti, tutta un'altra cosa... Francesco

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