Gli anni Novanta
sono anni finali per tante cose. Il XX secolo, quello degli Orrori e delle
Meraviglie, si chiude in tono minore, nell’incertezza e nell’indistinto, proprio
come molti pezzi della produzione BP.
Finisce l’URSS e
con esso in breve tempo buona parte della geografia che conoscevamo da bambini,
finisce l’era della telefonia fissa soppiantata dai cellulari, finisce in
Italia la Prima Repubblica, finisce il PCI, finisce la festa e Jovanotti si
improvvisa autore serio: da questo si sarebbe dovuto capire come buttava il
decennio.
Gli anni Novanta sono naturalmente anche anni iniziali: comincia l’interminabile crisi economica e occupazionale che tra alti e bassi arriverà fino ai giorni nostri. Inizia il ventennio berlusconiano, con l’espandersi di tutti gli ammennicoli televisivi e una incipiente oscenità spettacolare (nel senso di Debord) che non avrà più fine. Inizia l’era di Internet, anche se ancora balbettante. Muore Cobain e il grunge finisce seppellito assieme a lui, la techno fa esplodere le discoteche e la testa di ragazzini recalcitranti a ogni forma di cultura. Spopolano l’ecstasy e il crack. Lo splendore e le miserie degli anni Novanta è magnificamente rappresentato da quel maelstrom di parole che è Infinite Jest, uscito nel 1996.
Gli anni Novanta sono naturalmente anche anni iniziali: comincia l’interminabile crisi economica e occupazionale che tra alti e bassi arriverà fino ai giorni nostri. Inizia il ventennio berlusconiano, con l’espandersi di tutti gli ammennicoli televisivi e una incipiente oscenità spettacolare (nel senso di Debord) che non avrà più fine. Inizia l’era di Internet, anche se ancora balbettante. Muore Cobain e il grunge finisce seppellito assieme a lui, la techno fa esplodere le discoteche e la testa di ragazzini recalcitranti a ogni forma di cultura. Spopolano l’ecstasy e il crack. Lo splendore e le miserie degli anni Novanta è magnificamente rappresentato da quel maelstrom di parole che è Infinite Jest, uscito nel 1996.
Negli anni Novanta
c’è tutto e il contrario di tutto, in atto di mescolarsi dando forma al niente
pieno di rimpianto per il passato che saranno gli anni Duemila.
A metà di questo
triste calderone, nel 1994, Battisti fa uscire l’ultimo album della sua
carriera e della sua vita mortale.
Hegel è quanto di più distante e sradicato si
possa trovare nella produzione artistica del decennio. È ancora più distante
dal mondo mercificato di quanto potessero esserlo gli altri album bianchi. Mentre
la musica pop italiana del decennio si esprime con un profluvio di flatulenze oleose e finto
etniche, Hegel si situa in un altrove
immenso: è , letteralmente, un'inaccessibile cattedrale in un deserto, una
luna bianca, pietrificata.
Uscito il 29
settembre del 1994, arrivò al 68° posto degli album venduti quell’anno, come
dire che non si piazzò nemmeno in classifica. A parte pochi irriducibili che lo
acquistavano, ormai i vecchi fan avevano capito come buttava e non ci si
accostavano neanche. La nuova produzione di Battisti era irrimediabilmente lontana
della gente. La vecchia produzione, quella con Mogol, sotto forma di antologie
e ristampe di album risalenti fino agli anni Sessanta, continuava a vendersi
tantissimo e suppongo costituisse la principale e abbondante entrata economica
di Battisti. Dal punto di vista commerciale i cinque album bianchi, tranne
forse il primo, Don Giovanni, non
furono remunerativi.
Hegel, svetta solitario, inascoltato,
apparentemente inascoltabile, in mezzo agli anni Novanta. Porta il nome del
filosofo della riconciliazione tra Concetto e Spirito Assoluto, come dire che “le
cose che pensano” hanno trovato, finalmente, il proprio pensatore.
Perché il duo abbia
deciso di intitolare un album e relativa title – track al filosofo di Jena, ha
aperto infinite discussioni criptico filosofiche. Nei testi di Panella si
possono, se si vuole, trovare riferimenti alla filosofia hegeliana, come pure
ci si può illudere di trovarli.
Gli indizi sono
disseminati ovunque, ma ormai non si sa più cosa si sta cercando e nemmeno a
partire da cosa, come nei romanzi di Beckett.
C’è ancora la
Ragazza, protagonista degli album precedenti? Apparentemente sì, ma il gioco
della seduzione e del piacere, il gioco dell’apparenza, lasciano il posto alla
Speculazione. Hegel si interroga, a
suo modo, sui suoi album predecessori, così come il filosofo tedesco indaga
sulla filosofia greca. Si interroga e si perde.
Hegel è difficile, concede ancora meno degli
album precedenti. Bisogna lasciarsi andare alla corrente e possibilmente avere
sotto mano i testi, perché anche l’ascolto delle parole riesce difficile,
almeno in certi brani, talmente l’esigenza metrica spezza e sminuzza le
liriche.
La musica di
Battisti è al solito, una rappresentazione iperrealista della musica del tempo,
in questo caso la techno acida di quegli anni, ma va ancora più avanti nella
spersonalizzazione, nella disumanizzazione della voce, ridotta sempre più a
strumento. È musica asservita dalle parole, nella quale le parole si perdono e
l’umanità è solo un lontano ricordo, per tornare al quale bisogna attingere
mozziconi di emozione, come in una rappresentazione in musica di Finale di partita. Ma anche in questa
desolazione la melodia battistiana fa il suo corso, inarrestabile, offrendo
otto iper canzoni.
La copertina
dell’album riporta una enorme E in stampatello su fondo bianco e null’altro.
Molte speculazioni
sono state fatte: la E di End? La E congiunzione che esemplifica il flusso del
divenire eracliteo al quale attinge il filosofo tedesco? La e di Battisti E Panella?
Panella in una
intervista ha detto “Arte e libertà hanno poco a che spartire. L’arte non
esiste, esistono dei tentativi, delle espressioni, dei referenti oggettivi,
sculture, quadri, pagine. Non esiste l’arte così come non esiste la libertà, è
assurdo che uno pensi questo. Questa è una frase che va a soddisfazione di
quelle ambizioni mediocri di una persona mediocre che vorrebbe che tu
risolvessi i suoi problemi teorici parlando di arte e libertà, accoppiandole,
come se due astratti, due fumi, potessero accoppiarsi: questo dà molto il senso
dell’impotenza di chi pensa cose del genere, perché praticamente vagheggia l’accoppiamento
di due non esseri: l’arte e la libertà. Le nuvole e il vento possono accoppiarsi
e sono abbastanza evanescenti, insomma sono uno soffio e l’altro vapore; ecco,
ecco, arte e libertà lo sono ancora meno, è un accoppiamento nel segno dell’impotenza
di consumarlo. Arte e libertà sono una consumazione del fatto.”
Un accoppiamento di soffi e vapori: ecco qui
il risultato del percorso. Un soffio di vento tra le parole, una musica che non
è mai quello che sembra, una dolcezza che non si inganna sulle cose del mondo. Il destino si è
divertito (il macabro divertimento che è tipico di ogni destino che si
rispetti) a far finire la musica e la vita di Battisti proprio nel massimo
punto di non ritorno. Di lui ci resta solo quella voce, che dice cose
indicibili in falsetto. Il re italiano della canzonetta popolare si congeda
lasciando tutto in sospeso, come in uno scherzo, infinitamente serio come tutti
gli scherzi degni di questo nome. Una dolcezza che in Hegel si tramuta forse in serena contemplazione di cose pensanti e
pensate.
Grazie, grazie davvero. Sono un grande fan del duo B & P e ho letto con grande interesse ed attenzione tutti i tuoi post. In quest'ultimo, devo dire, mi hai pure commosso. Dopo avermi fatto ridere di gusto: quando hai affermato che si sarebbe capito come buttava il decennio dal fatto che Jovanotti si fosse improvvisato autore serio. Di lì a qualche anno, lo avrebbe seguìto a ruota Giorgia... Ma qui si parla di Lucio Battisti, tutta un'altra cosa... Francesco
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