Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

lunedì 2 aprile 2012

Il viatico delle persone solari


Essere socievoli è una conquista del tempo presente. Nei secoli passati, si poteva decidere di abbandonare il consorzio civile e vivere in eremitaggio o pellegrinaggio perpetuo.
Le persone che compivano un tale tipo di scelta erano, in qualche modo, rispettate dal resto dei suoi simili. Erano i folli di Dio, o gli asceti, i pellegrini o i poeti.
Essere ai margini non era una cosa spaventosa. Faceva parte della gamma delle possibilità umane.
In tempi moderni, qualcosa del genere aveva provato ad attuarla Thoreau (1817-1862). Venne preso per un pazzo originale ossessionato da un eccessivo afflato romantico. Pagò la sua scelta con una breve vita di totale astinenza sessuale. Uno sfigato, in pratica.
Attualmente essere ai margini equivale ad essere morti. O poveri. O pazzi.
È essenziale essere socievoli.
L’uomo è un animale socievole. Essere socievoli vuol dire in genere non litigare mai apertamente con qualcuno, ma limitarsi a parlarne male alle spalle con chi sembra capirvi. Salvo poi che chi sembra capirvi parla male di voi, quando non ci siete. D’altra parte voi fate altrettanto.
Essere socievoli vuol dire tifare per una squadra di calcio. Essere socievoli vuol dire non essere mai troppo malinconici o tristi. Non si è tristi, si è depressi. È quasi di moda essere un po’ depressi, prendere gocce di En o di Ansiolin per dormire, essere funestati dal male di vivere e farselo passare cercando di essere una persona solare.
Si va in palestra, si guarda Fazio o la Bignardi che dicono tante cose interessanti e poi c’è anche lo psicologo di turno a Porta a porta, che riesce a scandagliare nelle infinite pulsioni che muovono l’animo umano. Com’è interessante.
Si va in vacanza al mare d’estate, in montagna d’inverno, qualche bel viaggio ogni tanto, anche se c'è la crisi, ma trionfa il low cost. La vacanza low cost vale quello che la paghi. In ogni caso, la nostra bella dose di vita interessante fino alla morte ce l’abbiamo.
Nell’Ottocento nei salotti della borghesia europea era molto di tendenza avere lo spleen e posare da disperati, adesso invece c’è la depressione a riempirci le coscienze.
I nostri pensieri neri, la voglia di ammazzarci o il pensiero dell’inutilità greve della nostra vita, di quello che siamo e che facciamo, ci coglie nefasta all’improvviso, ma lungi dall’essere vista per quello che è, cioè una visione spesso molto vicina alla verità delle cose, viene subito trasformata in un sintomo clinico. Non siamo delle merde, siamo solo depressi. Allora tutto va bene.
Il nostro dolore, il buio delle nostre anime, il tunnel che, se imboccato con coraggio, potrebbe portarci dall’altra parte, alla luce e alla vera vita, diventa un disturbo. È solo un cazzo di sale minerale che manca, non è altro. Se avessimo queso sale nella proporzione giusta saremmo gioiosi e in grado di goderci la vita, come è giusto che sia. Litio di merda.
D’altra parte, anche chi non è afflitto da depressione sa che la vita è dura.
Noi lo abbiamo sperimentato.
Noi lo abbiamo imparato che è dura.
La vita è come la scala di un pollaio: corta e piena di merda.
Questa frase ricordo di averla vista scritta con la biro blu, sull’astuccio di una mia compagna di prima liceo. Poteva essere il 1976. Ero rimasto colpito dalla tragicità dell’affermazione. Tanto nichilismo suonava terrificante specie se scritto sull’astuccio di scuola di una quattordicenne. Ma niente paura. Era solo scena. Abbiamo tutti bisogno della nostra dose di sconforto per sentirci vivi.
Questa piccola filosofa pessimista, se appena appena il bello di turno le mostrava interesse, sentiva la vita diventare improvvisamente un giardino in fiore. Potenza della soddisfazione ormonale.
In ogni caso affermare che la vita è dura significherebbe vedere solo un lato delle cose, avere un punto di vista limitato. Esiste quindi tutto un’insieme di luoghi comuni improntati al benessere e alla positività.
Ad esempio: 1) La vita vale sempre la pena di essere vissuta 2) Chiusa una porta si spalanca un portone 3) Sorridere allunga la vita 4) Lo sforzo costante e la determinazione permettono di realizzare l’impossibile 5 ) Chi pensa positivo ha maggior fortuna 6) Mangiare fibre vegetali fa cagare meglio e vivere più a lungo 7) La mente ha il potere di farci guarire 8) Le donne sono più sensibili degli uomini e possono aiutarli a tirare fuori il lato tenero del loro sé 9) Non è la lunghezza del pene a determinare un rapporto sessuale soddisfacente 10) Ognuno di noi ha un’anima gemella che prima o poi incontrerà  11) Alla lunga la giustizia trionfa, ecc., ecc.
I vecchi e nuovi innocenti luoghi comuni, a cui siamo i primi a non dar troppo peso, sono il nostro lasciapassare nel vasto campo delle relazioni umane.
Praticare i luoghi comuni provoca la stessa sensazione di contentezza che hanno i cani quando si annusano tra loro il buco del culo. Un riconoscersi festante.
Il contesto sociale è questo, dopotutto. Nel bene e nel male, assolve da sempre egregiamente la sua funzione. Funzionerà finché avremo tutti da mangiare. Poi cominceranno i massacri.

14 commenti:

  1. Eh sì, hai proprio ragione su tutto.

    Senti, una domanda seria: tu credi che la depressione ed il male di vivere (ossia la consapevolezza che la vita sia come la scala di un pollaio ecc.) siano la stessa cosa? E che la prima possa magari derivare dalla seconda?
    Oppure si può essere depressi pur in fondo amando la vita e, viceversa, giudicarla di merda, ma viverla comunque abbastanza bene, senza essere depressi?

    Un saluto, è sempre un piacere leggerti.

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  2. Cara Biancaneve, da quel che posso aver capito io, credo che la depressione derivi dal male di vivere ma non siano la stessa cosa.
    Depressione ormai, è la favoletta clinica che ci raccontiamo, quando non riusciamo più a raccontarci palle su noi stessi. Questo accade in moltissimi casi. Poi c'è la depressione veramente clinica, creata da squilibri chimici ecc, ecc, ma credo che sia più rara.
    C'è una eccessiva facilità nel dichiararsi depressi e un senso di colpa sociale nel definirsi melanconici. La depressione quasi non dipende da te, la malinconia è un'indole imperdonabile in quest'epoca freneticamente idiota. Ma come, con tutti i giochi che hai a disposizione rompi pure le palle? Solo gli adolescenti possono ancora permettersi quella finta melanconia dovuta alla frustrazione dei propri desideri.
    Gli adulti devono mostrarsi sempre solari, disponibili, di buon carattere, pieni di risorse. Sfido che a un certo punto gli viene la depressione. E' una fuga dall'idiozia universale.
    Io credo che chi cade in depressione non abbia veramente compreso la natura della vita: in genere è chi non si è mai lasciato andare a una sana melancolia.
    Una cura efficace sarebbe quella di sviluppare un buon senso del ridicolo. IL tragicomico ti impedisce di sprofondare nella depressione. I più soggetti alle depressioni sono le persone solari.
    Non c'è categoria che mi ripugni di più come le persone solari. O meglio, se incontrassi una persona veramente solare sarebbe un conto, ma persone siffatte sono molto molto rare.
    Sull'amare la vita: a me piacerebbe ispirarmi a Thomas Bernhard, il maestro del tragicomico che verso la fine della sua vita si dichiarava "completamente felice, dalla punta dei capelli alla punta dei piedi."

    Ciao, è un piacere anche per me leggerti.

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  3. Anche a me infastidiscono le persone solari, o meglio, come dici tu, quelle che si illudono e sforzano di essere tali per aderire ad una certa immagine che la società richiede. Poi se lo sono davvero - e qualcuna ce n'è - perché davvero hanno una disposizione d'animo tale da vedere le cose in una prospettiva che a noi magari sfugge, magari in grado di esercitare una sorta di distacco buddhista - buon per loro, non sarò certo io a rovinargli la festa.
    Ne parlavo giusto l'altro giorno con un amico, le convenzioni sociali vogliono che ci si mostri sempre sorridenti, felici e che, alla fatidica domanda "come stai?" - spesso posta giusto come intercalare per iniziare la conversazione, quasi una forma simbolica di saluto, alla cui risposta nemmmeno si presta attenzione - si risponda sempre con un "bene, grazie", come se la tristezza dovesse essere sempre scacciata, negata.
    È vero, essere malinconici da adulti non è socialmente accettabile, come se fosse un capriccio, una forma di pigtizia ed indolenza mentale.

    Molti dicono, già la vita è difficile, non si può essere tristi tutto il tempo; ma uno è triste proprio perché la vita è difficile, costellata di dolore, di fatiche, di nonsense, no?

    Scorgere il tragicomico nei vari aspetti e fatti dell'esistenza, sì, ma bisogna averci una certa attitudine, bisogna averci un certo tipo di sguardo, non so se si può insegnare. E non sarebbe comunque sempre e solo una maniera illusoria per coprire il marcio dell'esistenza? Basta mettersi un paio di occhiali con lenti deformi ed atteggiarsi al ridicolo?
    Non so.

    Nella mia modesta esperienza mi sono resa conto che le persone davvero felici sono quelle molto egoiste, ossia quelle che pensano solo al proprio benessere, al proprio equilibrio psichico, fregandosene del contesto, del prossimo. Ne ho conosciute di persone così, di un'aridità incredibile. Persone che difettano di empatia.

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  4. Credo che il tragicomico possa essere anche una conquista. E' un tipo di sguardo che ottieni quando vai fino in fondo al dolore. Se ne esci fuori, sei più forte e più leggero. E anche più felice.
    La felicità perfetta è quella del surfista sull'onda: un miracolo di equilibrio. Se arriva vicino alla spiaggia senza rovesciarsi ha ottenuto il suo scopo ed è pronto a ricominciare, così, solo perché è divertente.
    Ti suggerisco (se per caso non l'hai già letto) di cercare su google "Thomas Bernhard Un'esistenza cattolica". Quando sono giù di morale, mi rileggo quell'intervista allo scrittore e ritrovo la forza di continuare il mio percorso. Alla fine credo che la cosa importante sia avere dei buoni esempi su cui contare.
    Ma poi ognuno deve trovare il suo sistema.
    Però non credo che persone molto egoiste e prive di empatia possano essere veramente felici.

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    1. Sì, forse la vera felicità, ossia quella leggerezza dell'anima che ti fa percepire tutto in perfetta sintonia ed armonia, compreso te stesso in questo tutto, è una conquista. Io a volte l'ho pure provata. Brevi attimi.

      Grazie per il suggerimento dell'intervista di Thomas Bernhard, non la conosco e vado a cercarla subito. :-)

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  5. Una delle verità è che si vorrebbe tutti arrivare ad avere una vita borghese, costruita sulla agiatezza, quindi sulla tranquillità e la possibilità di non lavorare o lavorare poco, il minimo. Una vita non necessariamente mondana o sociale, ma che permetta dei soggiorni all'estero con una moglie piacente o almeno piacevole e un cane da far cagare la sera dopo le otto, in mezzo a una nebbia di lampioni sotto un cielo inconcludente. Un corpo possibilmente sano o riparabile nel caso qualcosa andasse storto. Figli se scappano, sennò niente. Scappatelle, qualche mazzetta famigliare, qualche bustarella per gli imprevisti, ma solo se capita, perché una vita borghese di questo standard è una vita che ti permette di vivere dentro la legge, di godere del piacere della legalità.
    Tra la sveglia e la ritirata nel sacco, una grande quantità di tempo, che è la nostra grande ricchezza, unica ricchezza (per alcuni unica sfortuna, dipende dal tempo, dall'età, dalla salute).
    Io utilizzerei questo tempo per dedicarmi alle mie nobili passioni. Non so se la mia intelligenza resisterebbe a farmi sentire bene e soddisfatto, non saprei, forse col tempo si abituerebbe ad un nuovo abitatore della sua carcassa, della sua spelonca.

    D'altronde per noi poveri una vita del genere non è veramente una vita. Non è la realtà. E' una meta-vita. Credo che sia come la famosa seconda vita degli occidentali. Il fatto è che c'è gente che vive dalla nascita alla morte così, e credo non ci sia niente di male, va bene, anche se è davvero gente che non sa niente della vita. O sa la vita per sentito dire, o per sentito studiare.
    Io ad ogni maniera se si può non lavorare firmo, chiaro e secco, anche in stampatello, se è necessario.
    Per il resto l'equilibrio mentale secondo me può essere recuperato.penso che il corpo e la vita vadano nella direzione della felicità, del piacere, del compiacimento. quando non dipende da noi, invece, allora sì che si rimane schiacciati come gusci di noce...

    ciao Massimo e ciao Biancaneve

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    1. Ciao Dinamo,
      sicuramente il dover lavorare è uno dei massimi crucci dell'esistenza. A meno che non si sia abbastanza fortunati da poter fare un lavoro che piace proprio tanto e che ci permetta di mangiare.

      L'altro giorno ho letto un articolo sugli operai della Apple in Cina, gente che lavora 12 ore al giorno, più straordinari, sei giorni su sette, per una paga da fame (e poi, col poco tempo che ti resta, scalate le ore per dormire, mangiare, che ci faresti comunque coi soldi, dopo 12 ore di lavoro immagino che si sia talmente stanchi da non riuscire nemmeno a fare una passeggiata, figuriamoci attività più creative); uno pensa che sia un'eccezione la condizione di questi lavoratori, eppure anche da noi si lavora otto-dieci ore al giorno. Per cosa? Per produrre merci. Mah.
      E che razza di vita è una vita spesa a lavorare, che poi magari vai in pensione - se ci vai - e ti ammali, oppure la pensione non ti basta nemmeno per farti un viaggetto.
      C'è qualcosa di distorto in questo sistema.

      Certo, anche la vita da borghese che descrivi tu non è vita, è una vita edulcorata, fittizia, asfittica, però dipende... se si ha la fortuna appunto di poter lavorare poco poi uno se ne va in giro, viaggia, magari si dedica appunto alle attività che ama.

      Comunque io pure se si può non lavorare, firmo. :-) L'ho sempre detto.

      Intanto io sarei per lavorare tutti (quelli che ne hanno bisogno, ovvio) molte meno ore. Così sparisce pure la disoccupazione. Ah, gli stipendi però adatti al caro-vita. Eh che cavolo, guadagnessero un po' meno gli imprenditori. Ma almeno staremmo meglio tutti.

      Ciao, buona giornata a tutti e due. :-)

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    2. eh in Cina stanno vivendo quello che noi in Italia abbiamo vissuto in seguito al dopoguerra e la ricostruzione.
      un paese che cresce in modo esponenziale, uno sviluppo molecolare direi...qualcosa di eccezionale.
      credo che oggi noi europei non siamo in grado di capire la Cina, o l'India, la Turchia, il Brasile, un po' perché veniamo già da culture diverse, ma soprattutto perché loro stanno vivendo un boom di produzione ineguagliabile. noi non abbiamo più quella mentalità, siamo andati oltre, ci siamo accasciati sull'individualismo accecante e sulla conservazione del privilegio. Massimo parla di surf, io mi aggancio e dico che l'europa guarda dalla riva, svaccata e obesa, chi al tavolo colle sedie mezze rotte, chi da sopra la spiaggia, chi a fare i vucumprà, i paesi emergenti surfare a modo loro sopra le onde e non capisce un cazzo più (l'Europa). Sono cicli, onde storiche. Lo dico, bada bene, senza nessuna nostalgia per il passato europeo. mi frega 'ncazzo. anzi, mi interessa moltissimo ciò che succede nei paesi emergenti.

      sarebbe bello poter lavorare meno, con più rilassatezza, ma mi sembra ormai un cappotto fuoristagione. qua si lavora in nero, a ritmi immorali, cercando di stare dietro alle grandi produzioni.

      buona giornata anche a te

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  6. Non bisogna sottovalutare il lavoro. Il lavoro è il vero oppio dei popoli, altro che la religione.
    Il tipo di vita propugnato da Dinamo è intollerabile per i più, quandanche se ne avesse la possibilità.
    E' per questo che esistono le droghe, dopotutto.
    Per sopportare la vita nuda e cruda, il tempo che passa libero, noncurante, ci vuole l'alcool o la fede, o l'iluminazione. Da giovani va bene scopare il più possibile ... dopo diventa una tortura senza senso anche questa. Non siamo bonobo.
    La fatica crudele ci attira, perché ci rende vivi.
    Anche avere un padrone da servire ci rende vivi.Toglieteci la fatica, toglieteci i padroni e tutto crolla ...
    Sto generalizzando, naturalmente, ma la società va avanti proprio per questi motivi. Altrimenti sarebbe semplice risolvere la questione.
    Milioni di disoccupati si mettono a coltivare la propria insalata, la propria frutta, si scaldano l'acqua con quattro batterie solari, non pagano affitti, mutui, nulla, arrivano gli sgomberi, ma hai voglia a sgomberare miioni di persone che fanno resistenza passiva. SI vivrebbe senza soldi. La banca non mi dà il prestito? che cacco me ne frega, io mi faccio da solo il mangiare, mi cucio da solo i vestiti. Mi costruisco da solo un tetto sulla testa.
    I milioni di disoccupati creano enormi collettività di autosostegno nomade. Niente residenza fissa, se piove tutto il carrozzone si sposta verso il bello ... in culo a Monti e a tutti.
    Ma non accadrà mai.
    Unica vera soluzione è l'Apocalisse. Estinzione totale di questa razza di scimmie idiote. Ma neanche questo accadrà mai.
    Allora continuiamo a lavorare ... Il lavoro è ciò che rende umano l'umano ... con tutto quel che segue.

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  7. E comunque trovo più alienante il tempo libero che quello lavorativo. E' nel tempo libero che si scopre di non appartenersi ...

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    1. Non è il mio caso, credimi.
      Io adoro il tempo libero, per libero non intendo "vuoto", ma libero appunto da rotture di scatole. Certo, se non si è abituati ad averlo può essere difficile gestirlo, soprattutto perché permette di concentrarsi su sé stessi, di ripiegarsi un po' interiormente e bisogna averci una certa propensione e confidenza, con sé stessi, intendo.

      Io però con me stessa, da sola, sono sempre stata benissimo, sono una che sa farsi compagnia, almeno fin quando lo decido io. Quindi il tempo libero mi permette di dedicarmi a me, alle mie passioni, ai miei svaghi. Mi piace.

      Tanta gente ultimamente si sta dedicando all'autoproduzione, soprattutto i giovani. Chissà che con la crisi non si riscopra una maniera diversa di stare al mondo.
      L'altra settimana una mia parente mi ha detto una cosa interessante: "da quando c'è la crisi sto riscoprendo Roma, meno traffico, meno macchine perché la benzina costa cara, negozi più vuoti, OK, compro meno, solo il necessario, ma passeggio di più, leggo di più e i libri li prendo in prestito in biblioteca, invento maniere creative di cucina per non sprecare gli avanzi, mi arrangio... "; in effetti, mica c'ha tutti i torti. Ovvio, sui suoi risparmi e guadagni la crisi incide fino ad un certo punto, il brutto è quando non riesci proprio più a guadagnare nulla e a pagare le bollette... in quel caso diventa difficile riscoprire ed apprezzare l'acqua fredda e la luce a lume di candela. :-D

      Il fatto è che noi occidentali ci siamo abituati ad un certo tenore di vita e ora doverlo anche solo ridurre ci mette paura, eppure la gran parte dell'umanità ha solo un quarto di ciò che abbiamo noi. Forse chi davvero non ha di che mangiare, è meno depresso di noi. Forse. Non so... bisognerebbe fare una statistica.

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  8. Io sono sempre stato abituato a trovare i miei spazi anche in mezzo al casino più tremendo ... è bello surfare in mezzo agli obblighi e tuttavia rimanere sempre almeno un po' libero ... c'è una parte di me che nessuno potrà mai togliermi. Capisco cosa vuoi dire.
    Penso che i poverissimi non abbiano tempo e voglia di essere depressi. Subentrano altri meccanismi di sopravvivenza.
    Le volte che me la sono vista veramente brutta, la melanconia svaniva come per incanto e subentrava la voglia di sbattersi, di trovare una soluzione qualsiasi ... è vero, come dice Dinamo che il corpo e la vita vanno spontaneamente verso la felicità ...
    quando non siamo più felici di essere depressi cominciamo a muoverci.

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  9. Non a tutto si abitua, la persona. Ci sono lavori che lasciano poco spazio e tempo all'immaginazione. Se uno deve farli, li fa. Io mi sono sempre dato da fare, non sono uno che si tira indietro, e non rimpiango di sporcarmi le mani, d'insozzarmi, ma credo che mi ha salvato e mi salva tuttora guardare il mondo in termini "tragicomici". Ma non sempre ci se la fa. Specie se la tua tragedia non ti permette di avere il tempo per convertirla in commedia. Ho fatto dei lavori che non mi permettevano molta commedia.
    Si impara però tanto (forse perché la vedo in proiezione romanzesca?) da quella disperazione che non lascia porte, né uscite... quelle disperazioni a forma di vicolo cieco. Che poi, delle volte se ne esce, se non al 100%, al 75%, al 51%, l'importante, credo, è raggiungere il quorum... senza scherzi.

    Conosco persone che, Massimo, vengono distrutte dal tempo libero. Si ingozzano di cibo, fumano tre pacchi di MS, si comprano canali televisivi australiani... pole darsi che è quello che vogliono, ma spesso penso che non sanno che cazzo fare. Sento una pena immensa per questa gente, che nel corso degli anni è stata tanto fottuta dal sistema che non hanno sviluppato una passione collaterale al loro lavoro, si sono via via intorpiditi... hanno perso i contatti finanche colle droghe legalizzate, libri, cinema, bar, bische, ciclismo, calcio, ora anche internet...
    mi spiace, insomma. illudersi è importante, cazzo.

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    1. Eh, ma infatti il problema non è il tempo libero, è l'incapacità moderna delle persone di saperlo usare.
      Moderna perché oggi il consumismo ci ha illuso di poterci offrire tutti i divertimenti che vogliamo, il nuovo aggeggino, il nuovo reality o serial in tv, il nuovo pacchetto turistico in un villaggio turistico all inclusive dove ogni singolo momento della giornata è impegnato in qualcosa (ora di aerobica in piscina, ora di ballo di gruppo, escursione organizzata puahh... mi fa orrore solo a pensarci una vacanza di questo tipo), il nuovo giochino playstation e poi sigarette, alcool, cibo spazzatura.
      Però, ripeto, non è che ti obbligano... cazzo, esci, vai visitare un museo, una mostra, una passeggiata, a trovare un amico, siediti su una panchina e osserva il mondo, quello vero, mica quello in tv...
      Io potrei passare ore intere seduta in un bar ad osservare la gente, offre un'infinità di stimoli, specialmente se vai in zone particolari dove c'è un'umanità quanto mai variegata, tipo le stazioni... incredibile le storie che si potrebbero scrivere anche solo a cogliere di sfuggita lo sguardo di alcune persone.

      @ Massimo, sì, è vero che quando poi te la vedi davvero brutta ti viene la voglia di reagire, è l'istinto di sopravvivenza; tempo fa però ho letto un articolo medico-scientifico in cui si ipotizzava che in alcuni soggetti - tipo quelli che tentano di suicidarsi e magari ci riescono pure o i depressi cronici irreversibili - è come se il meccanismo che gestisce codesto istinto si fosse rotto, o bloccato.
      Se ci pensi bene per uccidersi ce ne vuole di coraggio eh... io tante volte l'ho pensato, immaginato, ma dubito che potrei davvero riuscirci, l'istinto di continuare a vedere cosa potrà succedere ancora, la curiosità, nonostante tutto, di andare avanti c'è sempre.

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