Non è facile scrivere
con queste ombre che mi corrono
per casa ogni notte.
Porte nascoste si aprono
nei muri e si richiudono
come sbadigli interrotti.
Sguardi vacui o minacciosi,
come volti di Medusa,
mi osservano glaciali
dietro la lampada a stelo.
Questa notte mi è apparso
con un cappotto largo indosso,
un completo nero,
una camicia bianca e sul colletto,
una cravatta a nastrino.
Un fazzoletto bianco spuntava dal taschino.
Girava per la stanza senza fretta
guardando i libri, i quadri,
spostando distratto carte sulla scrivania
sbirciando furtivo su un giornale aperto
le notizie sull’ultima guerra.
Si è soffermato a lungo incuriosito - un nero
sopracciglio alzato - su quell’articolo del Vaticano
che ha deciso che un embrione è già qualcuno
che aspetta solo di essere convertito.
Ha scrutato assorto il mappamondo
come se penasse a ricostruirsi il mondo.
Un’infantile dolcezza traspare
dagli occhi celesti, dalle orecchie grandi,
pare stupito, ma non troppo, di vedermi
e quando decide di parlarmi
capisco stranamente ogni cosa.
Mi pare – dice con voce fioca -
di esser rimasto fermo al ventiquattro,
era giugno - forse - un’iniezione di morfina
fatta da un pietoso amico medico:
mi uccida – gli avevo detto – o lei è un assassino.
Non creda a quel che dicono,
non è poi tanto male essere morti.
Certo, manca un qual senso del divenire,
tutto laggiù è, come dire,
un’eterna domenica di fine stagione;
niente in fondo cui non mi sia
abituato già un po’ in vita
Ormai l’inquietudine dell’esistenza
non ha per me più presa.
Niente più visioni inafferrabili,
me ne sono spogliato
assieme a oggetti indeducibili,
nequizie, sevizie, di molte notti insonni.
Allora il mondo mi moriva nello sguardo,
la letteratura soltanto, era una cosa viva.
Ma adesso se potessi, vorrei tanto
essere a casa mia, a Praga,
sdraiato sul divano
e sfiorare con le dita
il volume di Kierkegaard al mio fianco,
senza aprirlo,
passarmi una mano tra i capelli,
lanciare un sguardo dalla finestra,
dare un saluto alla mamma,
vivere senza freni
la mia sognante vita.
Ancora vacillo: non la morte,
ma l’eterna tortura del morire, mi fa soffrire,
ed io - io ho sofferto molte cose col pensiero.
Non bisogna perdersi
ma resistere al dolore,
senza mai lasciarsi andare.
Ogni miracolo deve infine accadere.
Le parole sono ombre proiettate
su uno schermo opaco
da una luce, indefinita.
Chissà, forse dietro quello schermo
l’agrimensore sarà entrato,
finalmente, nel castello.
Io però – sorride mesto – a quel punto
non ci sono mai arrivato.
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