Che importa a noi della felicità? Aveva scritto Nietzsche.
Il novecento, il secolo felice per eccellenza, ha disseminato pezzi di felicità e cadaveri lungo tutta la strada.
Il duemila, ridimensionando completamente il concetto di felicità a quello di consumo di merce, condensando materialismo e antimaterialismo in un unico mercato, ha imboccato una nuova strada. Il secolo del benessere è gravido di una tristezza incalcolabile, di una desolazione senza fine. E si continua lo stesso a morire e a fare guerre.
Il secolo delle fottute opinioni, il secolo dei sette miliardi di buchi di culo che arroventano il suolo terrestre.
Il secolo dell’illusione cospiratrice. E ovunque morte morte morte morte morte morte morte morte morte morte morte morte.
Ma attenzione, non la morte naturale, biologica, semplice, giusta, o anche tragica, come quella di Camus, Céline, Hemingway e tanti altri esseri umani, famosi o no: no, questa è la morte dell’anima, la più nera e spaventosa.
Io NON VOGLIO che la mia anima muoia.
IO NON VOGLIO CHE L’ANIMA DELLE PERSONE MUOIA.
Tutto il resto non conta.
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