Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 20 settembre 2012

Tormento dell'azione


Piene di fango e sterpi,
ondate violente e cieli solcati
da lampi errabondi,
dentro me.
Devo fare quel che c’è da fare:
contenermi il mondo dentro,
non farlo tracimare,
ricacciare la tristezza.
cercare gioia e pienezza.

Un ricamo di valli rosate,
delicati pomeriggi di sole,
un mare infinito tra riva e riva
dentro me.
Devo fare quel che c’è da fare:
conquistare il mondo
cogliere un fiore,
farmi immolare,
racimolare le scorte di tutti gli eserciti della terra
dichiarare guerra per un pezzo di pane
fango furore esilio
offrire una scodella di benevolenza
e comunque ribollire
in ogni caso ribollire
sempre ribollire
di amore per le cose create
di odio per le stesse cose
Questo è il tormento dell’azione.

lunedì 17 settembre 2012

Amour fou 2


Quello che mi fa incazzare
Quello che mi fa proprio incazzare
Quello che assolutamente mi fa incazzare
È questo continuo procrastinare
Questo imperterrito incepparsi
Delle cose, degli eventi.
Questo andare, venire, fermarsi
A pochi passi da me
E quando mi chino a raccogliere
Il vento porta via un’altra stagione
La trascina lontano, verso il mare
Oltre il mare del mare
E mi lascia qui, prigioniero
Notte dopo notte dopo notte
Devo dotarmi di ganci a uncino
Devo dotarmi di molle ai piedi
Devo dotarmi di spirito compassionevole
Arrendevole ed obliquo
Scendere come l’acqua dai gradini di una chiesa
Raccogliermi in penitenza
Ai livelli più bassi dell’esistenza
Per tutti i peccati non commessi
Farmi asciugare dal vento
lontano da tutte le possibilità
Ci sono giorni che sono giorni
Altri giorni che sono abissi
Ci sono fantasmi che rincorri
E fantasmi che possiedi
Ma quello che mi fa incazzare
Quello che mi fa proprio incazzare
Quello che assolutamente mi fa incazzare
È vedere le tue gambe nude
Fiori di bronzo e carne
Vedere le tue gambe
E non poterle toccare

sabato 15 settembre 2012

Amour fou


Nel cerchio magico
Il tuo viso - goccia di luna, occhi grandi
Mi segue ovunque io danzi la mia danza
Il tuo viso – goccia di luna con i capelli rossi
È inevitabile come una certezza
Inevitabile toccarsi e lasciarsi
Perdersi e ritrovarsi
Danziamo con il flusso della marea
Orbitando l’una intorno all’altro
Come scaltri pianeti
Questa sensuale eternità
Ci lascia senza fiato
La tua bocca pronta sulla mia
Le note di una canzone
Il calore delle tue cosce
Il terremoto del tuo cuore
Allora è vero, gridi al mio orecchio
Allora è vero, penso, ma non rispondo
Fosse possibile
Ti prenderei qui sopra la terra nuda
Voleremmo fino alla spiaggia
Per sfinirci ancora e ancora e ancora
Fosse possibile
Fosse almeno un po’ possibile
Ritrovarsi dopo milioni di anni passati
La sorpresa che ci ha fatto il tempo – ora, qui
Riduce tutto a poca cosa
Il resto del mondo è soltanto
Un cencio sbiadito appeso in un angolo
Insieme al passato e al futuro
Naufraghi su questo prato di stelle
Occhi conficcati negli occhi
Occhi che sanno ogni cosa
Occhi grandi, perduti
Nel continuo stupore di riconoscersi
Tutto quello che conta
Siamo noi due
Tutto quello che conta
È in questo metro quadro di follia.

***

Vita mia che corri lontano
indossando quel tuo bel culo, fermati.
Passa e ripassami davanti, fino a farmi impazzire,
girati, guardami, rigirati, inchiodami nel cervello
quel tuo sublime dondolio.
Nei tuoi glutei riposa il senso più profondo
Nei tuoi fianchi paradiso e inferno
Voglio essere una bestia nel tuo canile
Voglio scoppiarti dentro in mille fiamme blu
Fammi straparlare, fammi strabuzzare gli occhi
Fammi uggiolare come un cane, fammelo leccare
Il tuo culo, presente passato e futuro
Il tuo culo che rende possibile il mondo
Voglio gridarti dentro al culo, voglio sentirlo
Dio supremo del tuo culo, tu non sai
Tu non sai, Dio mio, cosa sei.

venerdì 7 settembre 2012

Pensieri nani 3


Rousseau e Kant, fautori del 700, Hegel e Schopenhauer, fautori del 800, Marx e Freud, fautori del 900 …

Sempre il solito diramarsi delle soluzioni. L’uomo è buono o è cattivo? L’uomo è migliorabile o no? Nichilismo o speranza? Né l’uno né l’altro.

Questo pianeta ha prodotto la vita. La vita è materia che organizza sé stessa. Materia cosciente. Dalla materia (mater) nasce lo Spirito. Lo Spirito vivifica la Materia.
Noi siamo COLORO CHE RESPIRANO.
La definizione di vita è: ciò che respira. Anche gli alberi respirano.

Il concetto di felicità è fuorviante. Esso è in realtà il più fuorviante di tutti.
La felicità esiste, senza dubbio. Ma focalizzarsi sulla felicità è drogarsi.
Lo Spirito è benevolo e malevolo insieme. Bisogna godere della benevolenza e sopportare la malevolenza, come il navigatore sopporta la burrasca. È inutile maledire la burrasca.
Essa è parte integrante del mare. È lo scotto da pagare per avere splendide e ininterrotte giornate di sole.
Allo stesso modo è fuorviante avere una visione pessimistica o ottimistica delle cose.
Stiamo navigando e se dobbiamo navigare, dobbiamo procurarci gli strumenti per evitare le tempeste. Qualora incappassimo in una tempesta, dobbiamo avere l’esperienza per uscirne vivi.
Il male nasce dalla compressione, il bene dal’espansione. Tuttavia bisogna guardarsi dal prendere questa affermazione come assoluta.

L’uomo ha un assoluto bisogno di trascendenza. Questo termine, tuttavia, non implica una aspirazione verticale dell’essere, ma un desiderio di Altro. Il più grosso mistero  non è l’esistenza o non esistenza di Dio, ma l’esistenza dell’Altro.
Fondersi con l’Altro, capire di essere uno con tutto ciò che vive, pur restando un organismo separato, questa è la trascendenza. Questa è una aspirazione laterale, orizzontale. Vedi Levinas e il concetto del Volto dell’Altro.

In altre parole, l’amore. Concetto inflazionato e mal chiarito. Da indigestione. Si parla di amore e si annusa l’ipocrisia. È comprensibile. Nei secoli dei secoli è successo di tutto.
Ma il bisogno rimane intatto.

martedì 7 agosto 2012

La democrazia è la dittatura del XXI secolo


Tu dici, la fine della Storia. Quella con la maiuscola, naturalmente, le nostre piccole storie minuscole non entrano qui. Tu dici, dunque, la fine della Storia. E io chiedo, quale Storia? Cos’è la Storia: un insieme di date, eventi tipo le Crociate, lo Sbarco in Normandia, la nascita e l’estinzione di una sconosciuta dinastia africana nel Congo del X secolo? Quando è iniziata la Storia: con i rotoli babilonesi, con l’invenzione della ruota? E quando è finita, con il crollo del Muro di Berlino, con la fine dell’URSS? E quando è ricominciata: forse in questo fastidiosamente troppo simbolico 11 settembre 2001? Cos’è la Storia, oltre che una ininterrotta serie di eventi per lo più sanguinosi? È curioso pensare invece che eventi epocali come il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS siano stati privi di spargimenti di sangue. È come se il gigante stanco si sia abbandonato alla morte e migliaia di vermi siano fuggiti dal suo immenso corpo in decomposizione. La fine della Storia, dici. Vediamo di capire. Il concetto di fine della Storia è essenzialmente hegeliano.
La Storia è un fiume le cui acque vorticose si devono placare nell’oceano della fusione di Concetto e Tempo, cioè del sapere e del soggetto, coscienza giudicante e coscienza agente. Tutto avrà termine nell’estrema riconciliazione, nell’omogeneità delle vite, in un mondo in cui tutti i bisogni di tutti saranno appagati. Questa suprema conciliazione, per Hegel, è il dominio perfetto dello Stato, non come si immagina di solito, lo Stato prussiano: Hegel ha passato gli ultimi anni di vita nel “crepuscolo” come lo chiamava, cercando di trovare “la rosa nella croce del presente” lamentando l’insufficienza della Ragione. L’immagine futura dell’Assoluto integrato, Hegel non la conobbe: è lo stato stalinista. Non, come si potrebbe pensare, il regime hitleriano: il Terzo Reich era assai poco ambivalente, i suoi fini erano troppo evidentemente distruttivi. Lo stalinismo è dunque il prodotto finale della Storia. Lo stalinismo è sanguinario, crudele e perfetto. Proprio per questo è il modello perfetto di Stato, il modello perfetto di mondo nel quale avviene la riconciliazione di tutte le contraddizioni, attraverso la forza, l’astuzia, l’inganno, la delazione, l’esilio, la morte, ma anche la lusinga, l’adescamento, la finta benevolenza. Come non vedere che, in qualche modo nascosto, cupo e terribile, lo stalinismo è il desiderio nascosto di ogni democrazia, ciò che ogni governo democratico vorrebbe inconsciamente essere? Non per niente Debord parlava dello stalinismo come del regime dello spettacolare “concentrato”. Ora viviamo nel regime dello spettacolare “diffuso”. Come non vedere l’istinto di morte che, mentre viene cacciato dalla porta, rientra dalla finestra? Hegel sperava in una riconciliazione pacifica delle contraddizioni, vedeva nella fine della Storia, la vera prima manifestazione dello Spirito Assoluto nel quale l’uomo, definito da lui il Concetto, potesse esprimire il proprio pieno potenziale, contribuendo alla collettività, felice di dare la vita per essa, in quanto l’individuo esiste solo dentro la collettività. Non si può pretendere troppo da un uomo vissuto tra il 1770 e il 1831. Tuttavia Hegel sapeva che il Concetto, la filosofia, la sapienza che è anche (forse) speranza, giungono sempre troppo tardi, sul far della sera come la nottola di Minerva. Arriva, cioè, quando la guerra e la stupidità hanno già devastato nazioni e cuori. Hegel vedeva la fine della Storia allontanarsi sempre più, come l’orizzonte al quale una nave tende ad avvicinarsi senza tuttavia poterlo mai raggiungere. Raggiungerlo veramente, significherebbe arrivare alla fine del mondo, e precipitare nel nulla ma il mondo è una sfera e dunque non ha mai fine, e il nulla è tenuto fuori, come se si fosse nell’utero materno. Il mondo non ha neppure inizio. Forse non inizierà mai, forse l’utero-mondo non partorirà mai qualcosa degno di vivere. Hegel è rimasto così, avvolto in un infinito crepuscolo fino alla morte per colera. Sarà dunque morto sostanzialmente cagando fuori l’anima. Avvolto dai fumi della febbre la sua coscienza giudicante avrà perso molta della sua proverbiale lucidità. Decisamente quel giorno del novembre 1831 per lui la Storia fu finita.
Cos’è dunque la Storia? Sicuramente un flusso di eventi specificamente umani che tendono tutti al soddisfacimento di desideri più o meno uguali ma contrapposti. In sostanza la Storia è la storia di chi vince la gara per la sopravvivenza. La Storia è storia della classe dominante e dei suoi schemi difensivi, ideologici e psicologici. Da qui deriva l’illusione che con la fine pressoché spontanea dell’URSS la Storia potesse assestarsi su un indefinito ordine mondiale, più o meno pacifico, retto dal mercato globale e dalle concezioni liberali, cioè meno Stato possibile e più possibilità di speculare per tutti. Qui l’Occidente, o meglio, la classe dominante dell’Occidente, ha commesso un grosso peccato di arroganza. Ha creduto che i conti fossero ormai chiusi, una volta liquidato il suo vecchio nemico, l’Est. L’Occidente arrogante ha preferito ignorare, ritenendoli innocui o controllabili, i residui della sua antica lotta contro l’impero sovietico. Vale a dire tutti i terroristi e i fanatici integralisti, coccolati e addestrati per far fuori Ivan. Tutti noi, nati al tempo della Guerra Fredda, siamo vissuti così, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Dopo il Crollo, i cattivi si sono sparpagliati in giro e gli alleati dei buoni (ovviamente, gli occidentali) gli si sono rivoltati contro. Abbiamo vissuto per decenni in un mondo diviso da uno specchio. E ognuna delle parti rifletteva l’altra. Ora lo specchio è andato in frantumi e in cosa l’Occidente si può specchiare, ormai? Ora, tutto è Occidente, è tutto ciò che è contro di noi è brutto, straccione, fondamentalista, Altro, troppo Altro. Noi rifiutiamo di specchiarci nel nuovo specchio che è sorto dalla macerie nel frattempo. Rifiutiamo di  vedere la nostra immagine rozza e violenta che ci viene rimandata dai paesi poveri, dai paesi che bombardiamo. Fingiamo, fingiamo che la Storia sia finita, che d’ora in poi ci saranno solo guerricciole infinite di aggiustamento per eliminare chi non ci somiglia troppo, ma che sostanzialmente la nostra visione del mondo trionferà. Dobbiamo essere tutti democratici e tutti commercianti, in un modo o nell’altro. La cosa tragica è che il “nemico” di adesso, il fondamentalismo islamico, il “terrorismo” non propugna una visione radicalmente Altra, che per noi è inaccettabile, come può essere il comunismo, la rivoluzione: niente di tutto questo. Il nemico propugna gli stessi nostri valori, solo distorti, ancora più impoveriti e imbarbariti. Non ci sono più due visioni del mondo che si combattono: esiste solo lo straccione che confida in un Dio arcaico contro il manager in completo scuro che confida nella merce, o meglio, nel business, a sua volta derivazione di un Dio arcaico che nel frattempo si è evoluto. In mezzo a tutto ciò, Mafia e Stato fanno i loro giochetti. Le filosofie orientali sono neutre e anzi in realtà più tendenti a dare a Cesare quel che è di Cesare e anche di più. Business is business. Non a caso tantissimi uomini d’affari e politici orientali fanno mostra della loro fede buddista senza che questa le impedisca di commettere alcunché. Il fatto è che nell’appiattimento ideologico imperante, gli straccioni hanno alzato la testa. Ne fanno una questione di identità, cioè noi contro loro. L’identità è tutto, nel XXI secolo. Più non si capisce cosa cazzo è l’identità, più il tema dell’identità (e per identità si intende per lo più la religione o l’etnia di nascita) diventa cruciale. E la Storia, che non ha mai smesso di tendere al suo vero fine, cioè il godimento estremo della classe dominante, continua a procedere, macinando vite, finendo di fare a pezzi coscienza agente e coscienza giudicante, finendo di far cagare l’anima a Hegel come in quelle (per lui) atroci e definitive notti del novembre 1831. L’unica cosa che consola è pensare che vista dalla prospettiva di un osservatore vivente, che ne so, tra un migliaio di anni, questa contrapposizione in blocchi durata meno di mezzo secolo, con tutte le conseguenze che stiamo vivendo adesso, sarà forse una paginetta o due su un manuale. Quello che rimarrà, saranno invece gli sfracelli ambientali ed economici che avrà prodotto il capitale. La fine della Storia, dunque, dici. Ma la Storia può avere fine solo se c’è un fine. Se il fine è la riconciliazione, la soddisfazione del bisogno, la Storia è un’illusione. Mai nessun fine collettivo è stato realizzato veramente, consapevolmente, tranne il tentativo leninista maoista. E si sa come è andato a finire. Nel mondo cosiddetto “libero” è la stessa cosa. Ho persino il sospetto che, dopo tutto, l’elevato grado di benessere nel quale vive molta gente, sia tutto sommato casuale, non voluto dal potere. Solo in seguito, il potere si è accorto che il benessere delle classi mediobasse gli faceva comodo. Semplicemente, l’espansione dei mezzi di produzione prima e il libero mercato poi hanno consentito, marginalmente, a molti di stare bene. La classe dominante ha bisogno di consumatori, dopo tutto. Forse la vera riconciliazione umana avviene sotto il segno della merce. Da qui nasce l’illusione della Fine della Storia. Il capitalismo produce come surplus, benessere per milioni di persone, un benessere pagato a caro prezzo.
Democrazia e capitalismo sono uniti indissolubilmente. Il gioco della merce ha bisogno di persone libere di acquistarle, venderle, farle circolare. La libertà la si compra pagandola sotto forma di vita degli altri. Il capitalismo non può fare a meno di sfruttare, non può fare a meno della disuguaglianza, non può fare a meno di esternalizzare. Tutti vogliono saltare sul carrozzone. Ma nel carrozzone non c’è posto per tutti. Il surplus prima o poi finisce. Allora chi guida il carrozzone fa finta che sì, il posto c’è, anche se non è così, per prendere tempo, perché gli straccioni sperino, vivano sperando senza che niente per loro cambi mai.
Tu dici che non sai. Non lo so, non lo so che cos’è e cosa succederà, dici.
E invece lo si sa benissimo. Andrà a finire che riempiranno il carrozzone fino a sfondarlo, ma anche fino a un minuto prima della catastrofe riusciremo a far finta che non sta succedendo niente. Non a noi, perlomeno. E allora ci sarà veramente la fine della Storia, forse. Il lungo sonno della merce, dal quale non vogliamo e non possiamo destarci ci condurrà all’oblio. La Storia è sempre staliniana, sanguinaria, crudele, ambivalente, perfetta. E il maggior pericolo di quest’epoca è non vedere che lo stalinismo è il compagno oscuro della democrazia. La democrazia è stalinismo senza Stalin e (quasi) senza gulag. Come lo stalinismo inghiottiva gli avversari del regime, così la democrazia inghiotte gli avversari della merce. Anche la democrazia può essere sanguinaria, crudele e perfetta. La democrazia è la dittatura del XXI secolo, il modello imbellettato di una finta rappresentanza popolare da esprimere a suon di morti ammazzati. La democrazia ha però in sé quel residuo di giustizia per cui, in maniera quasi casuale, a volte qualcuno può farcela, a cambiare qualcosa. Ma mai l’essenziale. Chi tocca l’essenziale muore. Le monde n’est que abusion, diceva François Villon. Il mondo non è che inganno.

martedì 24 luglio 2012

Panico spread



Lo spread sale.
Un tizio uccide 12 persone da qualche parte in America. Ci si stupisce del perché accadano certe cose. Bisognerebbe stupirsi del perché non accadono più spesso.
Qualcuno decide per qualcun altro e nella maggior parte dei casi quest'altro lascia fare.
Lo spread sale.
Scambio di flebo uccide neonato.
Lo spread sale.
La Siria vuole usare le armi chimiche. Previsto lancio di detersivo. Raffica di esplosioni in Iraq.
Lo spread. Sale.
Monti dice che è colpa di chi diffonde indiscrezioni sullo scudo anti spread. Che sale.
Un esperto dice che non esiste governo che possa risolvere il problema della speculazione finanziaria. Chissà perché, credevo bastasse proibirla per legge: una bella legge internazionale. Chi specula viene condannato a morte. Crimini contro l'umanità. Sembra che non si possa fare.
Milan, via Ibra e Thiago. Non ci dormo la notte.
Cassano diviene fondamentale. Mio dio.
Lo spread sale. Lo spread sale le scale, gradino, dopo gradino.
Noi, chiusi a chiave, nel caldo immane, tra l'odore del vape e il condizionatore acceso solo in soggiorno. Vai in cucina e stramazzi per l'escursione termica.
Lo spread sale.
Baleari, altro che crisi. Non c'è spread, lì. Solo figa vogliosa di incontri e vita spericolata. Arrivarci costa poco. Restarci un po' di più. Annientati dal niente. People from Ibiza.
Lo spread ansima dietro la porta. Leggero leggero. E' sul pianerottolo.
Ti dici, che vale tutto questo? Perché a me? A noi?
Lo spread, dal pianerottolo, lancia un sibilo, sottile, continuo, persistente.
Lo stai pagando caro questo benessere, in fondo, Un po' troppo esigenti, questi qui. Questi qui, chi? Come è successo tutto questo? Quando l'abbiamo deciso? Ce ne hanno mai parlato prima? Non ricordo, non ricordo. Le cose ti piombano addosso e non sai perché lo fanno, ma loro, le cose, lo sanno. Bimbo cade dal 10° piano. Vittima della vita anticipata. Lo spot della coca cola è italiano.
O my god. O my god. OMG!
Lo spread gira la maniglia della porta chiusa.
Siamo impietriti, la televisione accesa su Real Time farfuglia nefandezze da ore e noi fissiamo quella cazzo di porta, attoniti. Spettro default. Ci prenderanno il frigo. La macchina del caffé. La carta igienica. Non potremo più andare al Brico.
Damasco, 20 fucilati. Ecco come nutrire il vostro cane. Carne riso verdure. Fargli fare moto.
Lo spread batte alla porta.
Una teenager si opera più volte per sfondare. O per essere sfondata. Russe, sexy e trasgressive. Mescolano in dosi sapientissime giovinezza e istigazione allo stupro.
Inter Juve duello infinito.
Lo spead preme la porta. Sempre più, la porta si incurva.
Viaggio a Lourdes, partenza da Orio al Serio, 5 giorni pensione completa 470 euro. Lo spread spalanca la porta, ma non  riusciamo a vederlo, un buio colossale, improvviso, avvolge l'appartamento, il condominio, il quartiere, la città, la nazione, il continente, il pianeta. Un rumore sordo, l'esplosione originaria deve essere stata così, silenziosa, buia. Saldi 30% su oreficeria, gioielleria, argento, permuta.
In mezzo al buio, una luce. Diventa sempre più forte.
La TV.
Polvere fotonica sullo schermo. Sfrigola. Cambia lo scenario.
Dal balcone cominciano a vedersi nuove costellazioni. Tira vento.

martedì 10 luglio 2012

Notte di crisi di mezza età


Ho passato tutta la scorsa notte in un vuoto e doloroso stupore. Ho architettato, mentre le ore scorrevano in una specie di melassa vischiosa e zeppa di zanzare e sudore, migliaia di omicidi e violenze di ogni tipo, ai danni di tutti gli umani conosciuti e sconosciuti. Non sopportavo più il mondo, le cose, le dinamiche di affetti e illusioni, sempre le stesse. Mi sono lasciato andare a una rabbia impotente e infantile. Ero in preda a una smania atroce che contrastava stranamente con il mio giacere supino nel letto. Pochi movimenti, non eccessivamente agitati, mi sono solo alzato un paio di volte a pisciare, sono andato sul balcone a contemplare le luci della tangenziale, il distante ronzio continuo della gente che si muove sempre, ad ogni ora, anche in questo momento. Qualche sirena di polizia, lontano. Le luci lontane dell’aeroporto, nessun volo notturno da qui.
Mi sono rimesso a letto in preda a un furore ansioso. Allora è cominciata la domanda, pressante, semplice, come tutte le domande vere.
Che cosa vuoi, alla fine? Tu, che cosa vuoi? Cosa vuoi?
Non sapevo dare che risposte confuse, vaghe, ottuse e la domanda continuava.
Che cosa vuoi?
Non essere qui, pensavo, non essere in alcun modo qui, mi dicevo, ma senza convinzione, né alternativa, né un dove.
Che cosa vuoi? Che cosa vuoi?
La domanda si spegneva contro il chiarore che entrava dalle persiane semi aperte.
Cosa vuoi? Cosa vuoi?
Non lo so, non essere qui, ma nemmeno, qui va bene, un’altra donna, forse sì, ma nemmeno, morire, no, morire no, la vita è un peso, ma la morte mi fa orrore, vorrei anzi vivere per sempre anche se questo voler vivere per sempre è un concetto poco chiaro, come il resto, dopotutto.
E d’altra parte, vivere, sì, ma in che modo? Non certo come stai vivendo ora.
Sempre che si possa chiamare vita questa processione stitica di giorni vuoti che ti portano ogni volta più vicino alla fine. La fine inevitabile di questa idiozia. Ecco, questo non lo vuoi, non che tu abbia veramente la presunzione di sfuggire al comune destino, ma non vuoi arrivarci così. Hai ancora da vivere, anche se la vita è dolore, un dolore immenso, continuo, un peso sul cuore e dietro gli occhi. Ecco, è questo dolore di vivere, impensabile, mai provato così, che mi fa smaniare. Non è un dolore per qualcosa, ma è dolore per tutto.
Mi fa male il mondo. Mi duole la vita. Non mi sono mai sentito così. Non è cattiva digestione. È qualcos’altro.
Cosa vuoi? Cosa vuoi?
Andare via, andare via da qui. Andare dove nessuno mi possa trovare, dove posso rannicchiarmi in un angolo, come una bestia ferita e rimanere lì, così, finché il dolore non passa. Andarmene da qui. Ma poi qui hai tutto quello che ti serve, tutto quello che ami, anche se questo dolore che senti cancella l’amore. L’amore, anzi, diventa uno scherzo feroce, l’ennesima illusione. La verità è solo questa atroce solitudine. Non puoi andartene, non serve, non è questo.
Cosa vuoi, allora? Cosa vuoi?
Niente di concreto, né di fattibile usciva da dentro di me, sentivo solo il tempo, il mio tempo che passava, irreversibile, mentre la notte si liquefaceva nel calore. Ma non era il calore che soffrivo, era questa insistente domanda senza risposta.
Che cosa vuoi?
Voglio non soffrire così, pensavo, l’unica cosa che voglio è non soffrire così, non spegnermi in questo vuoto. È la coscienza, pensavo, è la coscienza che mi porta questo dolore. È questa coscienza di me stesso che mi paralizza, mi ha sempre paralizzato. E adesso nel cuore della notte, mentre tutti dormono, lei dorme, la vita intera veglia e dorme allo stesso tempo ed è più grande e distante che mai … c’è questa cosa.
Fossi più ottuso, fossi meno presente a me stesso, potrei … vivere. O almeno dormire.
No, non è la strada giusta. Non si baratta il dolore con l’idiozia. Almeno, io non lo voglio fare, non ci sono ancora costretto.
Che cosa vuoi? Che cosa vuoi?
Voglio essere un io senza paura. Per il tempo che mi rimane. Ecco, ci siamo, questo potrebbe essere accettabile. Rimanere nella coscienza, che è origine del dolore, senza paura. Non fuggire.
Che cosa vuoi? Che cosa vuoi?
Non voglio più sentire questa atroce, ingiustificata, paura di vivere che mi annienta.
Voglio vivere nel sole, nella pioggia, nel vento, nel dolore e nella gioia, senza paura. Voglio poter cadere dentro la vita, precipitarci attraverso lanciando un grido di potenza.
Voglio essere il Dio di me stesso, senza colpe, senza peccati, senza freni.
Libero dalla paura di morire. Libero di vivere. Libero di morire. Libero di essere. Niente meno. Impresa colossale, al di là delle mie forze, eppure unica impresa che valga la pena di intraprendere.
Non ho risposto alla domanda. Essa continua tuttora e continuerà, perché la risposta non può essere in alcun modo verbale. So come dovrei rispondere.
Ma sono ancora paralizzato dalla paura, che si trasforma in furore, che si trasforma in angoscia, che si trasforma in solitudine, che si trasforma in insoddisfazione, che si trasforma in infelicità, in morte, in distruzione.
Non so come andrà a finire. La paura è tutto ciò che ho sempre avuto. Compagna di ogni attimo della mia vita. Cagna fedele, mi lecca la mano a ogni passo.
O paura che mi separi dal precipizio di perdere me stesso, o forse di ritrovarmi, non so.
Invece devo imparare a morire a me stesso, per rinascere.
Forse il prezzo da pagare è la sanità mentale, forse rimarrei spezzato se cercassi di varcare il confine. Questo pensiero è figlio della paura stessa.
Se non imparo a morire, non imparerò a vivere.
Questo non sarebbe un problema, se vita e morte fossero evitabili. Ma poiché non lo sono, devo risolvere questo dilemma. Devo imparare a morire, per rinascere.
Cosa me lo impedisce? L’attaccamento a questa parte di me timorosa, il bambino pauroso che tenta di preservarsi da un modo cattivo e ostile. Il bambino mai cresciuto, che non crede in sé stesso, che si atterrisce fino allo sfinimento di fronte all’ignoto.
Non cerco la felicità, cerco la libertà dalla paura. Forse sono la stessa cosa. L’espansione dell’io, inteso non come meccanismo egocentrico, ma come stimolo a fare qualcosa che possa essere di aiuto anche agli altri. Cerco la mia dignità, la mia forza.
Sono ancora lontano, molto lontano dalla meta. Rischio seriamente di morire lungo il percorso senza aver fatto un passo avanti. Ne sono consapevole.
La mia follia, la mia vita, la mia paura, il frutto dei miei giorni. Tutto può cambiare. Oppure tutto può rivelarsi giusto così com’è.
Sono preso nel mezzo. Non posso andare né avanti né indietro. Per ora.