Che tempi, questi. Qualcuno era giunto perfino a rispolverare il vetusto concetto di “patria” e veramente qualche lacrimuccia si è trattenuta a stento nel vedere il capino di molti poveri italiani, ergersi fuori dalla tana e ricominciare a dire “noi”.
Ma erano naturalmente illusioni. Non ci può essere cambiamento se si resta nell’alveo capitalistico, o almeno questo è quello che pensano molti dotti pensatori cripto marxisti e chissà, magari avranno anche ragione. Il fatto è che la dittatura del proletariato non è alle viste e non credo che nemmeno il proletariato la voglia.
La sinistra c’è ancora. E lotta a fianco delle banche. Anche la destra, se è per quello.
Dunque destra e sinistra ci sono ancora e lottano contro di noi.
Questi nostri tempi. Certo i nostri tempi non sono granché, ma sono nostri. Dovremmo se non amarli, comprenderli.
E questi sono i tempi in cui, come scrive Mark Fisher nel suo bel libro “Realismo capitalista”, è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.
Ma la fine del capitalismo, può arrivare solo attraverso ondate graduali di consapevolezza collettiva e non con qualche Che Guevara che muore per dei contadini a cui delle riforme agrarie popolari non frega una cippa. Bisogna proporre istanze di godimento alternativo per cui le banche possano essere raggirate. Che so, una bella forma colossale e mondiale di baratto collettivo, o un potlach dissipatore nella piazza di Lussemburgo. Scherzucci di dozzina, diceva il poeta Giuseppe Giusti in “Sant’Ambrogio”. La poesia tratta di un’invasione tedesca nella Milano ottocentesca. La storia è un’abitudine da cui è difficile disfarsi. I pretendenti aumentano, le finanze devono giocare, poverette, mica possono stare ferme. I debiti vanno onorati. Ma sì, bisogna capirlo il nostro presidente, non è mica facile dare retta a tutti.
Se ci si astrae per un po’ dal groviglio emotivo che avvolge la faccenda, tutto risulta grottesco.
Grottesco e in certa qual misura malvagio, il modo in cui le istanze popolari, puerili o evolute che siano, sono state sistematicamente sabotate, boicottate, rallentate, ignorate e distorte negli ultimi anni con una spregiudicatezza inquietante.
E in tutto questo a che serve il popolo? Ma a nulla, naturalmente.
È un’appendice rumorosa e pretenziosa di cui ancora non si è capito come disfarsi senza che sembri troppo brutto e che, hai visto mai, si ribellino. E così questo popolo viene impiegato giusto per pagare quel po’ di tasse e servizi che servono a far girare l’enorme sistema mondo che fa da sfondo alla vita delle élite, cioè la vita vera. Il popolo è merce deperibile.
È perfettamente inutile inveire contro le banche, contro l’Europa, contro le agenzie di rating.
È come prendersela con dei bassorilievi raffiguranti inquietanti personaggi alla Lovecraft. Nulla cui un semplice umano possa appellarsi.
In Italia finora c’è stato solo un assaggio. Se mai le istanze “populiste” dovessero veramente un giorno salire al governo e tentare veramente qualcosa, quanto credete che durerebbe la nostra nazione?
Credete veramente che ci lascerebbero in pace?
Credete veramente che non ci sia nessuna guerra in corso?
Credete che siano tutte cazzate complottiste?
Lo credete, vero? Lo immaginavo.
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