Cronache Babilonesi

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Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

martedì 15 marzo 2016

Confutare il confutabile


Jack Vettriano The Road to Nowhere


Vogliamo mettere il sottile piacere di confutare il confutabile? Di rinnegare le antiche credenze? Di tradire la fiducia del gregge?

È incomparabile, ripaga la solitudine che ne hai in cambio. Ho mandato all’aria i buddisti, i comunisti, gli anarchici, i chakra, le cazzate di ogni tipo. Sono libero.

Certo, non ho la pretesa di avere ragione su niente. Nemmeno credo che non ci sia un grano o anche più di verità in tutto ciò che ho confutato: semplicemente la verità contenuta in qualsivoglia ideologia, non è sufficiente per nutrirmi.

Certo, è bello credere di potere cambiare la società prima che il sole esploda: ma il modo in cui si attua il cambiamento fa tutta la differenza.

Anzitutto, ho una antipatia istintiva per chiunque affetti una pretesa superiorità morale.

Io, peccatore e uomo miserabile, non vedo intorno a me tutte queste persone irreprensibili.

La civiltà del libero mercato rende tutti inevitabilmente un po’ ipocriti.

L’ipocrisia nasce dal cercare di nascondere che si è in vendita al miglior offerente, 24/24.

E proprio io, che sono un miserabile peccatore, sono meno in vendita di tutti, da sempre.

Proprio io, che non ho certezze, non sono in grado di averne, non ho mai voluto veramente vendermi. Non ce l’avrei fatta. Non ce l’ho fatta: non per superiorità morale, ma per semplice inettitudine. Sono salvo per incapacità congenita.

C’è sempre meno da parlare di questo mondo: è ormai una noia indescrivibile, una noia complessa, ma sempre noia. Non c’è verità, non ci sono fatti, non c’è giusto, sbagliato, non ci sono uomini e donne, ma apparati di consumo. Di cosa raccontare? Automi spermatici.

L’uomo è un prodotto dei tempi, è una nozione che non è mai stata tanto vera come in quest’epoca. E per forza: non siamo mai lasciati a noi stessi, mai, per un solo istante, da New York a Rejkiavik, da Ouagadougo a Rio, da Monaco a Cinisello Balsamo. Siamo sempre in compagna di Tv, tablet, PC, Twitter, WhatsApp, Facebook, sempre connessi con qualcosa, sempre a fotografare qualcosa, sempre a guardare, guardare, guardare, guardare...

Senza vedere.

Non ci lasciano soli un istante. Non ci lasciamo soli un istante. Da qui deriva la catastrofe collettiva e permanente.

 
Eternamente condannato a essere tra quelli che vengono dopo, quando tutti i giganti se ne sono andati, e camminare tra quelle immani suppellettili del pensiero, dell’arte, dell’amore passato. Eternamente condannato a inginocchiarmi di fronte a esse, eternamente condannato a cercare un orizzonte libero dalle loro ombre, al quale affacciarmi.

Distaccato da me stesso, dagli altri, dalla vita, testimone di una biologia in declino. E inspiegabilmente, a volte, felice.

 
La tecnica. Come se davvero contasse qualcosa. Non servono tecnologia, ideologia, progresso. Serve un cielo nuovo in cui riflettersi. Non ha importanza tutto questo balletto su coppie gay, adozioni, uteri in affitto, migrazioni, capitalismo. Serve solo un po’ di silenzio. Il brusio ininterrotto di questa umanità spaventosa, arriva fino a un certo punto poi svanisce. Rimane lo spazio, immenso, nero. Dove questi idioti non possono arrivare.

La specie umana si modifica. Perde in intelligenza e guadagna in capacità di utilizzare congegni di cui non sa l’origine e il funzionamento. È un idiota a sette miliardi di teste.

Le teste aumentano sempre di più. È un immenso organismo che divora tutto in nome di una visione sfocata, una fame atavica di vita che non conosce ostacoli. Edifichiamo civiltà su ipotesi azzardate e queste durano millenni. Siamo la trappola perfetta di Dio.



9 commenti:

  1. “Di Prometeo si narrano quattro leggende: secondo la prima, poiché aveva tradito gli dèi per gli uomini, fu incatenato al Caucaso, e gli dèi mandavano delle aquile a divorargli il fegato, che continuamente ricresceva.
    Secondo la seconda, Prometeo per il dolore dei colpi di becco si addossò sempre più alla roccia fino a diventare una sola cosa con essa.
    Secondo la terza, nei millenni il suo tradimento fu dimenticato, dimenticarono gli dèi, le aquile, lui stesso.
    Secondo la quarta, ci si stancò di lui che non aveva più ragione di essere. Gli dèi si stancarono, si stancarono le aquile, la ferita, stanca, si chiuse.
    Restò l'inspiegabile montagna rocciosa. - La leggenda tenta di spiegare l'inspiegabile. E dal momento che proviene da un fondo di verità, deve finire nuovamente nell'inspiegabile”.
    [F- Kafka]

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  2. mi hai ricordato " il cielo sopra Berlino" quel brusio incessante dei pensieri umani...oltre quel vociare vero.
    "il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia? "
    (Marion)

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    1. Siamo quel brusio e nello stesso tempo ne siamo sopra. Saremo mica angeli?
      Ciao, S.

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    2. certo che si, come anche demoni.l'ambivalenza dell'essere, ci fotte sempre.

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  3. Ho letto alcuni tuoi post precedenti, questo è di ben altro livello comuncativo e letterario. Mi domando che cosa potrai più scrivere poi perche questo post è una parola fine assoluta nei modi e nei tempi soprattutto nel contesto della "scrittura da rete", Concordo con quasi tutto e annuisco silenziosamente, commento perchè ciò che scrivi lo merita. I commenti invece ( anche il mio) non servono a niente in genere...eppure qui ne trovo di intelligenti compresa uan citazione kafkiana perfetta e definitiva.

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    1. Non c'è fine alla fine, per dirla alla Beckett.
      Il mio è un desiderio di un punto di vista differente, che forse non esiste, ma la cui ricerca, se non altro, riempie la vita.
      La vita ha questo di bello (ridicolmente bello): che se ne frega delle cose definitive.

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    2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Un punto vista differente? Differente! Ti guardo.

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