Cronache Babilonesi

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Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 17 marzo 2016

Il lato stanco del web


Vladimir Kush

Il blog è morto, dicono. I blog sono obsoleti e molti rimangono inattivi per mesi, per noia, mancanza di tempo, disinteresse, troppa lentezza nel gestirli.
C’è sicuramente qualcosa di vero in queste affermazioni, che peraltro non sono nuove.
Forse, semplicemente il blog rappresenta il lato stanco del web.
E la stanchezza, come sottolinea il filosofo tedesco – coreano Byung Chul – Han in un gustoso libriccino intitolato La società della stanchezza, è una reazione alla “società della prestazione” nella quale viviamo.
Superata la società del controllo, superato Foucault insieme a tutti gli altri ammennicoli francesi, ci ritroviamo precipitati dentro una “società della prestazione” che ci costringe a essere imprenditori di noi stessi, anche solo per lavorare in un call center o capire, in mezzo a valanghe di offerte, dove andare a posare il culo nella prossima vacanzina low cost. I disturbi e i disagi di cui soffriamo non sono più legati, secondo BCH, alla reazione contro la negatività causata dall’alterità, ma per eccesso di positività.
In altre parole, fino al secolo scorso l’alterità caratterizzava il nostro modo di porci nel mondo: noi, loro, competizione, identità, ecc. ecc. Oggi l’alterità è stata sostituita dalla differenza, dall’accoglienza, dall’ibridazione totale, dalla dittatura dell’Eguale.
Questo porta a un eccesso della positività. Da qui deriva il senso di rigetto, di rifiuto, che coglie molti individui sulla strada della vita.
Le nostre vite sono immerse nell’etica della sovrapproduzione. Tutto diventa possibile e tutto quindi deve poter essere fatto. Nella giungla delle possibilità sterminate (illusorie, aggiungo io) l’individuo si smarrisce, si deprime. Non sa cosa fare, e istintivamente, come autodifesa, non ha più voglia di fare niente.
Questo è il paradosso e il dramma delle nostre società opulente, informatiche, mediatiche, spettacolari: l’individuo soccombe di fronte all’imperativo morale di appartenere a se stesso. La società della positività non ha nulla da invidiare a livello di violenza sistemica, nei confronti dell’obsoleta società del controllo. L’apparente libertà (ma in realtà l’abbandono terribile) schianta l’individuo, lo lascia irrisolto, depresso, demotivato, di fronte a banconi sterminati di offerte allettanti.
In questo modo, sempre secondo BCH, libertà e costrizione coincidono all’interno dell’individuo stesso. Si arriva al paradosso che nell’attuale società della prestazione è l’individuo stesso a divenire nello stesso tempo sfruttatore e sfruttato.
Questo accade, aggiungo io, anche nei casi in cui si vive ai margini di questa società della prestazione. Siamo tutti (in un certo senso) uguali, desideriamo le stesse cose, subiamo le stesse mancanze, da qualunque parte proveniamo, Italia, Siria, Giappone, Togo, Marocco, Messico … le differenze sono ormai solo quantitative (leggi: guadagno) più che qualitative. C’è poi la questione della diversa percezione della felicità da parte di popolazioni diverse, ma questo discorso porterebbe troppo lontano.
Anche le reazioni di avversione nei confronti dei massicci flussi migratori non sono, se si bada bene, dovute all’intrusione dell’Altro cattivo e Straniero (queste maiuscole levinasiane ormai sono stucchevoli) nelle nostre vite beate, ma al terrore di dovere ulteriormente “competere” per le stesse cose. Le migrazioni sono ondate “positive” alle quali non possiamo ormai opporre questioni reali di “identità”, “nazionalità”, ecc. ecc.
La soluzione a questa “stanchezza”? Una vita più contemplativa, dice BCH. Bisogna lasciare spazio alla stanchezza, non vederla come un impedimento alla Vita Activa di cui parlava Hanna Arendt. La vita attiva è spesso una trappola. E il web, aggiungo io, è disseminato di queste trappole. Da qui ne consegue che la stanchezza epocale che stanno attraversando i blog, lungi dall’essere un problema, è forse una reazione “sana” al ciclo demente di sovrapproduzione di stronzate che ci circonda.
L’eccesso di individualizzazione ha portato a tutti i problemi che ci sono adesso.
L’individuo – massa (tutti diversi, ma tutti uguali) DEVE realizzare i propri desideri, a scapito della specie e della collettività.
Le ideologie novecentesche partivano invece dall’assunto contrario: l’individuo deve sacrificarsi in nome dell’idea, dell’utopia, della razza, della collettività, della specie.
I risultati li conosciamo. Era la “società del controllo”.
L’ideologia del XXI secolo (tutto è possibile per tutti e chi non riesce è perché non vuole veramente) ha portato alla sovrappopolazione, al riscaldamento globale, a una forma inedita di alienazione al contrario.
Senza contare che la quantità di morti ammazzati, pur se non in maniera così eclatante come nel XX secolo, non cessa di diminuire.
La stanchezza, in quest’epoca di pazzi e idioti, potrebbe dare luogo a una nuova etica.
Non è detto che succeda, beninteso.
BCH, usa un’espressione molto significativa delle conseguenze della società della prestazione: “L’eccessivo aumento delle prestazioni porta all’infarto dell’anima.”
La stanchezza dei blogger, unita a una consapevolezza sempre maggiore, costituisce uno sguardo commovente, a volte “epico” su questa nostra epoca delirante.
 


12 commenti:

  1. La velocità è al servizio della conservazione.

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    1. E la conservazione è al servizio della velocità.

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  2. È una bellissima recensione e riflessione metabloggheristica.

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  3. Epperò, Massimo, io mi sono accorta soltanto della stanchezza di certuni blogger e non già di un fenomeno dilagante o significativo. Tutt'altro.
    Ho paura, di conseguenza, che pure la "consapevolezza maggiore" che deduci, sia solo una speranza, certo nobile e bella, ma surreale.

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    1. Il blog come fenomeno è in una fase generale di ristagno e poi invece ci sono molti blog che postano a più non posso e fanno migliaia di ingressi al giorno. La "consapevolezza maggiore" di cui parlo è quella che ti fa rendere conto che l'idolatria della comunicazione è una falsa scienza.

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  4. Tu con questo articolo nobiliti una situazione che di nobile nulla possiede: non credo alla filosofia applicata a decisioni vaghe come quelle della gran parte dei blogger.
    La mia personale esperienza mi dice che un blog è comunicazione e liberazione, scrivere solo per se stessi in rete non ha senso e quindi muore. Le due condizioni base pretendono serietà, misura e, purtroppo, una certa cultura e su di esse in fondo possiamo discutere, intervenire. Ma la comunicazione, l'interloquire è quasi sempre fatiscente, foriero di diatribe sciocche e volgari...di malessere ( è il mio caso); sugli interlocutori casca miseramente il castello di carte virtuali di chi entra nel mondo dei blog con tante idee e molto iniziale entusiasmo. Sirio fa giustamente notare che il fenomeno non è così diffuso che insomma sono sempre i migliori che se ne vanno: concordo, la pletora di minchiate e minchioni è grande. Il numero di astiosi, vacui e maleducati, saccenti detentori del ben del'intelletto non diminuisce, resta invariato se non accresciuto.
    Esiste poi la sorpresa di vedere una buona penna e una buona testa migrare vrso FB o TW, per quello sono senza parole.

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    1. E proprio in questo sta la stanchezza del blogger ... E si applica ai minchioni, come pure a persone di un altro livello.

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  5. La stanchezza più che da ansia da prestazione è attribuibile alla mancanza di interlocutori. Se ci si avvicina al blog nella speranza di stimolare una discussione, un circolo e poi ti ritrovi con risposte striminzite, vere e proprie pisciatine per marcare il passaggio, allora t'accorgi che ti stai parlando addosso ed ecco che arriva l'abbandono del blog. L'analisi di BCH è molto interessante per spiegare il malessere dell'individuo ma non mi convince pienamente per spiegare la cosiddetta comunicazione in rete che tutto è meno che comunicazione. Galimberti la considera un monologo collettivo e secondo me ha ragione. Un saluto.

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    1. Un monologo collettivo, sì, è una bella definizione. IL blog poteva essere (a un certo livello può esserlo ancora) uno strumento di comunicazione più "profondo", ma è vero che nella nostra epoca così "comunicativa" in realtà quello che risalta è l'isolamento. ecco, i blog sono come delle isole tra le quali ci sono degli scambi. Ora come ora però, gli scambi si diradano fino quasi a cessare. Rimangono solo i blog più popolari, che non "scambiano" ma accentrano. Sono le solite dinamiche di potere. E' come se ognuno dovesse portare la propria piccola fiaccola in mezzo al buio, insieme ad altre piccole fiaccole. Nasce la stanchezza, il pensiero che dice "ma chi me lo fa fare?" L'epoca della prestazione è anche quella del non ascolto. Nasce il monologo collettivo.
      Sono tempi inquietanti.

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  6. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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