Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 28 gennaio 2016

... E ancora scrivere



E sono ancora qui, a tentare di scrivere qualcosa di diverso. È la mia passione, maledizione, ossessione, come se avessi puntato tutto su una singola posta e questa non uscisse mai, come se avessi infilato la testa in un cancello e non riuscissi più a tirarla fuori, come se fossi in un vicolo cieco con la fronte contro il muro e non sapessi girarmi. Se rinunciassi, mi dico, se rinunciassi. Ma non ce la faccio. Non ce la faccio. Sarebbe meglio per l’umanità, forse. Un imbecille in meno da sciropparsi. Ma non ce la faccio. Questo è il mio pezzettino di vita. Non riesco a non scrivere. Non riesco a non rendermi ridicolo.

Scrivere per respirare, dilatare i polmoni, uscire dalla tomba

Scrivere come se fosse un dio metallico a dettarmi le parole, spezzate e diverse, echeggianti nei corridoi della memoria

Scrivere per non darla vinta a chi dice che dovrei smettere di scrivere

Scrivere come una promessa che ho fatto milioni di anni fa, quando le costellazioni erano diverse ed ero un giovane e felice dinosauro

Scrivere per scoprire se esiste il nuovo, dopo me stesso, dopo il mondo, dopo la morte

Scrivere per gonfiare le vele del tempo, renderlo eternamente felice

Scrivere per dare forma alle mattine di sole

Scrivere per sentire le voci

Scrivere per capire le voci

Scrivere per parlare con i morti

Scrivere come un grande dono d’amore al deserto e ai suoi fiori

Scrivere di un mercoledì di autunno

Scrivere di un bagno pubblico e di un’estasi religiosa

Scrivere una lettera d’accompagnamento per Dio

Scrivere di un dolore precoce e una tarda felicità

Scrivere per non cancellare niente

Scrivere per cancellare tutto

Scrivere di un’attesa mai conclusa

Scrivere del sonno, del sogno, della tenebra

Scrivere da un’orbita geostazionaria posizionata sull’Antartide della mia anima

Scrivere a te che non leggerai mai

Scrivere a te proprio perché non leggerai mai

Scrivere per nascondermi

Scrivere per rivelarmi

Scrivere perché non mi basterò mai

Scrivere perché la mia solitudine è come un palo conficcato in una laguna morta

Scrivere diecimila cose diverse che sono una

Scrivere perché voglio contenere l’oceano nei miei pensieri

Scrivere come se stessi precipitando

Scrivere per sentire il plesso solare espandersi, le lacrime scendere

Scrivere per sentirmi come Buster Keaton

Scrivere immaginando mille epitaffi per una sola tomba

Scrivere scavando nel ridicolo, quello che non fa ridere, ma che taglia
 
 
 

10 commenti:

  1. E meno male che continui a farlo.
    Non so se hai letto la mia colonna, a destra, nel blog. Lo spazio in cui mi descrivo in duecenntosette parole: Ecco, leggi le ultime quindici righe e capirai.
    (fantastico Buster Keaton)

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    1. Siamo malati, ecco la verità ... un po' di megalomania marginale. Curabile con qualche goccia di Tilia ...

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  2. Scrivere è ininterrotto colloquio con i morti. Con la propria morte.

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    1. Esatto. Colloquio con la propria interminabile morte in vita.

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  3. Scrivere è proprio dell'essere umano. Condivido i motivi che hai espresso. Tutti.
    Scrivere in rete apre prospettive diverse, non sempre piacevoli e costruttive. Si scrive ugualmente poichè alla fine si scrive anche per se stessi.

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    1. Si scrive perché si soffre, in qualche misura, di qualche cosa. Altrimenti non si scrive. Non in quest'epoca.

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  4. 33 modi di scrivere quanto la scrittura sia tutto e niente nel medesimo tempo ...
    panta rei ;-)

    ciao Max!

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    1. La scrittura non è tutto e non è nemmeno niente. E' un vizio come un altro, forse peggio di tanti altri. Innocuo per gli altri, tossico per sé e comunque irrinunciabile.

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    2. non sempre è innocuo per gli altri. a volte le parole "tagliano" ...
      comunque è una buona terapia, scrivere ;-)

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  5. Non è l’amore che spinge a scrivere; è il disagio, la ferita che c’è fra noi e il mondo. Se uno avesse una moglie, un padre, una madre, non si rifugerebbe certo nel paesaggio. Il paesaggio è una compensazione a altre frustrazioni, per non odiare proprio tutto. Il paesaggio, poi, ha ragione Camus, dev’essere il più arcano e splendido possibile, perché è una tablette consolatoria che l’uomo mette tra se stesso e la morte (…). Non credo che il paesaggio salvi, anche perché se il tempo è malato anche lo spazio lo è.
    Francesco Biamonti

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