Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

martedì 30 aprile 2013

Cupio dissovi all'italiana




Viviamo in un paese soffocato. Soffocato da una classe politica abbietta, soffocato da atteggiamenti e usanze a dir poco allucinanti, soffocato da un semi analfabetismo di ritorno che è la causa e l’effetto dei nostri mali, soffocato da una sovrappopolazione incredibile (la densità di abitanti per chilometro quadro di Napoli è superiore a quella di una megalopoli cinese o giapponese), che viene ignorata a fronte di un presunto calo di natalità. Viviamo in condizioni disagiate, nonostante la tecnologia low cost di cui disponiamo e la TV a digitale terrestre. Aria e terra inquinate, malcostume diffuso, mass media totalmente asserviti a tutti i poteri, confusione mentale e morale, degenerata e degenerante, burocrazia demente, sanità zoppicante.
 Siamo troppi, tutti ciancicanti per le strade, a mostrare le trippe e i tatuaggi.
Ci facciamo totalmente dirigere dalla televisione, nelle nostre opinioni, però abbiamo la presunzione di avere guizzi di personalità. Il popolo italiano ha smanie di protagonismo, si fa intervistare, dicendo puntualmente le stesse cose che sente in televisione, in un loop di grottesca autoreferenzialità percettiva:  la TV ti dice cosa pensare e tu ripeti quello che hai sentito in TV pensando però che quello che stai dicendo sia farina del tuo sacco.
Un popolo così va a votare, sempre e comunque, perché in fondo, ai seggi si incontra gente, si fanno chiacchiere, è un evento che rompe la monotonia e poi si va a messa.
Quelli che non vanno a votare, non ci vanno per una sorta di pigra arroganza. Sono tutti uguali, dicono, senza pensare perché sono tutti uguali.
Popolo cattolico, senza mai chiedersi il perché e il percome. Si fa sedurre da santi imbroglioni, preti ignoranti e papi buoni. I papi sono sempre buoni. In TV non c’è un personaggio che sia uno che si dichiari ateo incallito e anticlericale. Non lavorerebbe più.
La gioventù adesso è in affanno, perché il posto al sole non è più garantito, e allora protestano, poveretti, che gli hanno rubato il futuro, che non avrebbero comunque mai avuto, perché i giochi che i potenti fanno sulle loro teste hanno previsto da sempre la loro esclusione dalla grande abbuffata. 
Ai giochi hanno accesso solo i figli dei potenti, come sempre. Ma se c’è una cosa che il popolo vorrebbe fare, è giocare pure lui. Chi di noi, dice la gente (o almeno diceva fino a poco tempo fa) se fosse al posto dei politici non ruberebbe come fanno loro?
Non è moralista, il popolo italiano, anzi, non c’è niente che disprezzi come il moralismo, si irrita. Ma chi ti credi di essere, tu, moralista? Siamo tutti uguali, stessa merda e non è lecito dubitarne. Tutto livellato al basso.
Non ha importanza che invece ci siano tantissime persone oneste, che magari non si farebbero neanche corrompere, ma gente così non fa molta strada. Gente così, se arriva ai posti di comando, viene disprezzata e se il disprezzo non è sufficiente, viene eliminata, con le buone o con le cattive.
I giovani che se ne vanno dalla dolce patria, lo fanno per acchiappare i residui del sogno consumistico che altrove è ancora splendente e che qui è in agonia.
Gli ideali di questi giovani sono il beato paradiso dell’imprenditore di sé stesso che si esibisce nelle vetrine del mondo. Giovani che disprezzano i loro coetanei bamboccioni. Venite a intraprendere anche voi, dicono, se avete le palle. Venite in Germania o in Svezia o in Cina a fare gli informatici, o i consulenti o gli architetti, o qualunque stronzata che faccia immagine.
Gente totalmente asservita all’esistente, per cui l’ideale di società è una impresa commerciale infinita, distesa lungo tutto l’asse centrale della Via Lattea.
Questi giovani hanno ancora stampato nel cervello l’idea che la crescita sia un dovere e che possa e debba essere senza limiti.
Gli altri, quelli che languono in patria, sono convinti della stessa cosa e per questo si sentono perdenti.
La verità, pura e semplice, è che siamo troppi, che non c’è e non ci sarà mai posto per tutti, che questo capitalismo è giunto alla fine, anche se ci dovesse mettere decenni a schiattare e che siamo fottuti: questa verità non vuole e non può entrare nelle coscienze.
Al peone deve rimanere l’illusione che se si dà da fare ce la può fare.
Un'altra verità pura e semplice, è che siamo tutti colpevoli. Abbiamo mangiato tutti, ha fatto comodo a tutti la vacanzina, il low cost, il cellulare, il mutuo, la macchina nuova, e riempirsi la pancia. Il popolo è così babbeo che pensava veramente che tutto questo potesse durare in eterno.
Il popolo è avido quanto i politicanti. È soltanto dalla parte svantaggiata della faccenda.
In tutto questo discorso non fa capolino nemmeno una volta il problema dell’educazione.
Se chi viene al mondo oggi, lo fa solo per consumare, non ha bisogno di essere educato a divenire un essere umano completo. Bastano le funzioni base.
È per questo che si fa molta, veramente molta fatica a non disprezzare gli umani di quest’epoca. Certo, io sono uno di loro: uno schiavo, come loro; un consumatore, o meglio, uno costretto a consumare.
Ma io cerco di tenere gli occhi spalancati in questa oscurità fitta, per vedere, per capire.
Cerco uno spiraglio che forse non c’è neanche.
Circondato dalla morte, voglio sentire la vita vera, quella che spacca la roccia.
Hegel diceva che se si guarda negli occhi di un essere umano, si trova la grande tenebra dell’essere.
Siamo misteri avviliti.
L’italiano può anche raccontarsi di amare bonariamente la vita, i figli, la buona tavola, il sole, ma quello che nel profondo cerca è la dissoluzione del sé, la cessazione della rappresentazione di questo orrore che è divenuto l’esistenza. Questo desiderio di morte si camuffa in molti modi, acquista toni insospettabili. Già il cercare l’oblio delle cose addirittura prossime, il raccapricciante istinto di rimozione che è alla base della società, lo scurdammece ‘o passato ipocrita e demente, è certo volontà di conservazione, ma non riguarda la vita nel suo insieme: riguarda piuttosto la preservazione corporea legata alla semi-morte nella quale siamo costretti. Lo stordimento è morte, la televisione è morte, il calcio è morte, la letteratura, in fondo, è morte, la vita è morte, tutto è morte, desiderio di morte, ovunque è brama di non esistere per quel che si è ma di fare esistere al nostro posto, simulacri di affermazione sociale. Niente di nuovo, ne parlava sempre  Hegel: “assumere in sé le cose morte è compito che necessita la più alta forza”. 
Questa forza, l'unica che può portare al rovesciamento della nostra cattiva coscienza, viene a mancare. Il fallimento nell'ottenere il proprio simulacro di affermazione sociale riempie tutto.
Forse solo la fame vera, rimetterà a posto le cose. 

5 commenti:

  1. Vedila da un altro punto di vista: essendo impermeabile alla morale (quale?), ai principi, agli ideali di civiltà e pulizia spirituale, essendo soprattutto il massimo disprezzatore della patria, come concetto, e della patria come luogo del proprio destino sociale, l'italiano è di gran lunga il popolo più saggio che esista. Non gli importa niente di niente, si limita a vivacchiare e a morire.
    Questa è pura saggezza.

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    1. E'una saggezza degna dell'italiota. Meglio avvampare e incenerire.

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    2. Perché, esiste un'altra forma di saggezza se non quella dell'avvampare e morire?

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  2. Dalla Nottola al Necroforo (simpatico animaletto).

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    1. Entrambi escono fuori durante la lunga notte del mondo.

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