In ogni caso la speranza è un tossico e va presa a piccole, piccole dosi.
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Kafka e David Foster Wallace. Il più recente è una reincarnazione da sit com postmoderna del più antico.
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Teatro naturale di Oklahoma. Biglietti esauriti, temo.
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Esegesi finissime mi prudono nella mente ma escono solo scoregge di topo sulla tastiera. Dovrei essere verosimilmente un autore maturo, sulla soglia della vecchiaia, totalmente padrone del mezzo espressivo. Beh, lo sono. Ma la mia nuvola nera personale offusca il mio splendore.
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Morire prematuramente oggi è in fondo una vergogna. È segno di debolezza, mancanza di slancio vitale e un tradimento dello sforzo che la collettività tutta compie per reggere questo enorme Bengodi che è diventato il mondo. Ma come, oggi tutti campano fino a 90 anni e oltre e tu vai a crepare a 40 o 50 o 60 anni? Sei uno stronzo.
La sofferenza non deve mai essere sottolineata e la sconfitta, dove avviene, deve essere dimenticata. Chi soccombe deve essere velocemente sostituito.
Gli eroi lottano, con il sorriso, per dimostrare una volta di più quanto è bella la vita. Se perdi, perdi non solo una battaglia, ma il diritto di accesso essere parte del baraccone.
La solitudine del morente, del malato grave, è spaventosamente terribile oggi, al punto che il malato stesso deve fare lo sforzo di comportarsi come se ci credesse alla gioia di cotanta impresa. L'obbligo alla felicità senza patemi deve essere rispettato. È vero che ormai sono pochissimi quelli che si pongono un dubbio sull'esistente. All'ottimismo implacabile dello zeitgeist non si può sfuggire nemmeno con l'ultimo respiro.
Non che la vita sia brutta: la vita è come è. Non è sul banco degli imputati, la vita: e il cancro, dopotutto fa parte di essa esattamente come ne fanno parte Bruno Vespa, le zanzare, l'Everest, la merda di cane sui marciapiedi.
Solo che non c'è niente di più disperante di un soffocante ottimismo.
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Se avessi un'anima immortale, come dice il catechismo, sarebbe un soma elettronico che pulsa nell'aria.
Un'anima con le orecchie a sventola.
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