Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

martedì 23 febbraio 2016

Il barcone va avanti da sé




Il mondo mi sopraffà, inevitabilmente. Mi sento superato in ogni cosa che penso, credo e vivo. C’è da smarrirsi, come su un pianeta straniero, di cui non si conoscono la lingua e le usanze. È colpa mia, di sicuro, non mi sono aggiornato, anche se credevo di averlo fatto.

Certo, se guardo fuori dalla finestra, il mondo è sempre quello: alberi, case, cani che cagano nei giardinetti, passanti che si affrettano per andare chissà dove, il traffico, lo smog, il cielo che attraversa tutte le sfumature possibili tra il blu, il grigio e il rosa –

Dov’è allora, l’orribile sensazione che mi sto perdendo qualcosa?

Qui, ora, non c’è peccato. Il dolore avvampa solo quando guardo la TV o il web o leggo qualche giornale: allora la sensazione che mi assale è che il cosiddetto consorzio civile sia diretto da gruppi di clan collusi tra loro, una banda di cialtroni ben pagati per dire quelle che sono, come minimo, delle inesattezze perpetue.

Nessuna perplessità sulle immigrazioni: le cause, i numeri, l’inserimento, dove li mettiamo, il fatto che siano quasi tutti islamici –

Nessuna perplessità demografica: mai un sospetto che siamo troppi, anzi molti hanno il coraggio di parlare di inverno demografico –

Nessuna perplessità sul nodo storico del lavoro: il lavoro è ormai inutile, ma viene usato come arma formidabile di ricatto contro intere classi sociali e sbandierato come vessillo elettorale. Solo che ormai per lavoro si intende l’epopea quasi western delle PMI.

Loro sono protagoniste e il vecchio Cipputi stia chiuso in cesso a curarsi la prostata.

Nessuna perplessità su alcuni nodi storici: la Resistenza, la Shoah, il comunismo, il novecento in generale, gli USA –

Nessuno che critica MAI le opere letterarie, teatrali, musicali, che il collettivo industrial – culturale decide di promuovere. Le critiche le si possono fare solo su alcuni fenomeni stranieri e sempre molto garbatamente: il risultato è la sensazione estraniante che siano tutti, più o meno, sempre sulla stessa lunghezza d’onda, il che è perlomeno sospetto.

Nessuna perplessità sull’obiettivo della crescita: è evidente che siamo in un epoca di declino capitalista, il sistema, semplicemente, è saturo. Orbene, in questa situazione evidente anche a un imbecille, le vene dell’opinione pubblica vengono dopate con dosi massicce di “ripresa”, “crescita”, “eccellenza”, “progresso” e le voci contrarie vengono ignorate o, qualora per qualche motivo non possano esserlo, denigrate, sminuite, avvilite, vilipese, scartate.

È un sistema che si autoalimenta con l’inganno. Un sistema mondiale, colossale, di autoinganno. Una rete satellitare di mezze verità, illusioni, vere e proprie bugie, omissioni.

La cosiddetta gente comune, nasce, vive e muore nella irrealtà.

In un mondo dove una cosa e il suo contrario convivono senza che nessuna delle due assuma i contorni di una verità condivisa, l’ansia non può che prevalere.

Il desiderio di fuga corona tutto.

In Italia la cosiddetta sinistra è ormai un cadavere vivente che azzanna chi gli sta intorno, un vero e proprio zombie che gorgoglia dalla sua bocca fetida promesse impossibili da mantenere. È un Frankenstein creato con tronconi del vecchio PCI, della vecchia DC, del vecchio PSI, del vecchio … del vecchio, insomma. L’età anagrafica dei protagonisti è ininfluente. È la stessa merda che si rigenera per partenogenesi.

Vittima epocale di un senso di colpa cronico, dovuto al fatto di sentire oscuramente di avere alimentato più che altro leggende su se stessa e di essere l’incarnazione della più odiosa e ipocrita borghesia salottiera – industriale - comunicativa, la sinistra difende a spada tratta le “minoranze”: impone la difesa delle “minoranze” ai poveri cristi in piena lotta sociale, getta in faccia alla classe medio bassa le “minoranze” da sostenere irrorandola di sensi di colpa e propaganda, serie TV e programmi di cucina.

Ottiene così di non rappresentare mai veramente fino in fondo il paese. E si domanda il perché.

Vive, la sinistra, in preda al suo immaginario letterario, soffre costituzionalmente di incapacità di vedere la realtà. Fa i suoi sporchi interessi completamente convinta che siano interessi collettivi. È assurdamente sincera nella sua ipocrisia: un caso da DSM-IV di dissociazione collettiva.

La sinistra sarebbe veramente da psicanalizzare. E in Italia, in buona sostanza la “realtà” propinataci quotidianamente in TV è di sinistra. I suoi seguaci più profondamente ipnotizzati sono i cittadini con un livello di istruzione superiore: questo la dice lunga sulla differenza tra avere un’istruzione superiore e possedere capacità critiche.

La destra è invece ormai (per fortuna, direi) l’ombra di se stessa, ridicola nel difendere concetti – contenitore come “identità nazionale”, confini”, “bandiere”, “altolà all’immigrazione” pur con un blando accenno alla “ripresa”: niente insomma, che possa smuovere le masse, tranne che per un ricorso alla “pancia” della nazione, ma senza alcuna proposta accettabile.  La Le Pen e Salvini difficilmente faranno la differenza in un’Europa che sta andando a ramengo. Qualora avessero la maggioranza (ma non è affatto scontato che possa succedere), potrebbero fare ben poco e lo sanno anche loro. L’inerzia spaventosa  del colossale baraccone non la fermi con qualche veto o slogan o legge simil razzista.
I loro sono slogan per vincere le elezioni alla faccia degli idioti.

La destra più intellettuale è ancora alle prese con Evola, Drieu la Rochelle, Gentile, persino Pasolini, con un recupero tardivo e impossibile del fascismo e con l’annettersi alcune figure storiche “ibride”: tentativi che hanno un loro fascino ma che aumentano il guazzabuglio infernale delle opinioni. Il vero cavallo di battaglia della destra intellettuale è  lo sputtanamento della “sinistra” (e in questo raggiunge livelli impareggiabili, davvero godibili: ma è come sparare sulla croce rossa).

Insomma le sponde dell’utopia sono lontanissime, invisibili. A nuoto non ci arriveremmo mai. Si affacciano scenari inquietanti, alla Houellebecq? Difficile da dire.

Finché il barcone regge, la pseudo democrazia nella quale viviamo può ancora sfoggiare i suoi mille travestimenti.

Se il barcone dovesse affondare… beh, veramente, si salvi chi può.

L’inerzia è lunga, lunghissima ancora … forse.

I clan di cialtroni che comandano sanno che conviene a tutti mandare avanti questa fiera delle vanità. I disoccupati si crogiolano nell’idea che domani, forse, vinceranno un Milionario, oppure troveranno posto nell’azienda del cugino di secondo grado.

I migranti pensano di venire qui e trovare il sol dell’avvenire. Conviene farglielo pensare, da qualche parte come esercito di lavoratori di riserva (come diceva Marx) li possiamo mettere e insomma dopo non sono cazzi nostri, pensano. Ma sì, un po’ di polizia, qualche muro, qualche associazione culturale, qualche fiction TV dove sono tutti buoni e integrati e in qualche modo altri trenta milioni di poveracci possiamo farceli stare.

E il barcone va avanti per un altro po’, e le sponde di utopia sono laggiù da qualche parte in mezzo alla nebbia.

Tanto nel lungo termine, come si dice …

4 commenti:

  1. Massimo, per come la vedo io il problema è che, se una volta la fuga poteva avere un senso, o meglio, se esisteva una possibile meta alla fine del viaggio, ora sinceramente non vedo la vedo. Fuga. Per andare dove? E cosa c'è in quel dove? Nel mio caso la fuga sarebbe quella dal genere umano, ma capisci che dovrei pensare ad altri pianeti, un po' arduo da attuarsi. Non mi basta più pensare ad "una terra promessa", al paese dove "lì si che si sta bene, lì funzionano le cose". No. Ci sarebbe sempre qualcuno che mi sta sui maroni, per un motivo o per l altro, allora resto dove sono, combattendo ogni giorno per non perdere nemmeno un cm del "chi sono", innalzando le barriere trasparenti anti risucchio e cercando di salvare quello che di buono (mi) è restato dopo aver lasciato il mondo dei sogni.
    Dura, molto dura. Del resto Carotone l'aveva detto: questo è un mondo difficile.

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    1. Trattasi di semplice fuga nel proprio particulare ... in pratica fottersene completamente, gettare la spugna su questo mondo, che vada pure in malora ...

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    2. In realtà immaginavo si trattasse di quel tipo di fuga. Quella mi appartiene da una vita.

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