Il
mondo mi sopraffà, inevitabilmente. Mi sento superato in ogni cosa che penso, credo e vivo. C’è da smarrirsi,
come su un pianeta straniero, di cui non si conoscono la lingua e le usanze. È colpa
mia, di sicuro, non mi sono aggiornato, anche se credevo di averlo fatto.
Certo,
se guardo fuori dalla finestra, il mondo è sempre quello: alberi, case, cani
che cagano nei giardinetti, passanti che si affrettano per andare chissà dove,
il traffico, lo smog, il cielo che attraversa tutte le sfumature possibili tra
il blu, il grigio e il rosa –
Dov’è
allora, l’orribile sensazione che mi sto perdendo qualcosa?
Qui,
ora, non c’è peccato. Il dolore avvampa solo quando guardo la TV o il web o
leggo qualche giornale: allora la sensazione che mi assale è che il cosiddetto
consorzio civile sia diretto da gruppi di clan collusi tra loro, una banda di
cialtroni ben pagati per dire quelle che sono, come minimo, delle inesattezze
perpetue.
Nessuna
perplessità sulle immigrazioni: le cause, i numeri, l’inserimento, dove li
mettiamo, il fatto che siano quasi tutti islamici –
Nessuna
perplessità demografica: mai un sospetto che siamo troppi, anzi molti hanno il
coraggio di parlare di inverno demografico –
Nessuna
perplessità sul nodo storico del lavoro: il lavoro è ormai inutile, ma viene
usato come arma formidabile di ricatto contro intere classi sociali e
sbandierato come vessillo elettorale. Solo che ormai per lavoro si intende l’epopea
quasi western delle PMI.
Loro
sono protagoniste e il vecchio Cipputi stia chiuso in cesso a curarsi la
prostata.
Nessuna
perplessità su alcuni nodi storici: la Resistenza, la Shoah, il comunismo, il
novecento in generale, gli USA –
Nessuno
che critica MAI le opere letterarie, teatrali, musicali, che il collettivo
industrial – culturale decide di promuovere. Le critiche le si possono fare
solo su alcuni fenomeni stranieri e sempre molto garbatamente: il risultato è
la sensazione estraniante che siano tutti, più o meno, sempre sulla stessa
lunghezza d’onda, il che è perlomeno sospetto.
Nessuna
perplessità sull’obiettivo della crescita: è evidente che siamo in un epoca di
declino capitalista, il sistema, semplicemente, è saturo. Orbene, in questa
situazione evidente anche a un imbecille, le vene dell’opinione pubblica vengono
dopate con dosi massicce di “ripresa”, “crescita”, “eccellenza”, “progresso” e
le voci contrarie vengono ignorate o, qualora per qualche motivo non possano
esserlo, denigrate, sminuite, avvilite, vilipese, scartate.
È un
sistema che si autoalimenta con l’inganno. Un sistema mondiale, colossale, di
autoinganno. Una rete satellitare di mezze verità, illusioni, vere e proprie
bugie, omissioni.
La
cosiddetta gente comune, nasce, vive e muore nella irrealtà.
In
un mondo dove una cosa e il suo contrario convivono senza che nessuna delle due
assuma i contorni di una verità condivisa, l’ansia non può che prevalere.
Il
desiderio di fuga corona tutto.
In
Italia la cosiddetta sinistra è ormai un cadavere vivente che azzanna chi gli
sta intorno, un vero e proprio zombie che gorgoglia dalla sua bocca fetida
promesse impossibili da mantenere. È un Frankenstein creato con tronconi del
vecchio PCI, della vecchia DC, del vecchio PSI, del vecchio … del vecchio,
insomma. L’età anagrafica dei protagonisti è ininfluente. È la stessa merda che
si rigenera per partenogenesi.
Vittima
epocale di un senso di colpa cronico, dovuto al fatto di sentire oscuramente di
avere alimentato più che altro leggende su se stessa e di essere l’incarnazione
della più odiosa e ipocrita borghesia salottiera – industriale - comunicativa,
la sinistra difende a spada tratta le “minoranze”: impone la difesa delle “minoranze”
ai poveri cristi in piena lotta sociale, getta in faccia alla classe medio
bassa le “minoranze” da sostenere irrorandola di sensi di colpa e propaganda,
serie TV e programmi di cucina.
Ottiene
così di non rappresentare mai veramente fino in fondo il paese. E si domanda il
perché.
Vive,
la sinistra, in preda al suo immaginario letterario, soffre costituzionalmente
di incapacità di vedere la realtà. Fa i suoi sporchi interessi completamente
convinta che siano interessi collettivi. È assurdamente sincera nella sua
ipocrisia: un caso da DSM-IV di dissociazione collettiva.
La
sinistra sarebbe veramente da psicanalizzare. E in Italia, in buona sostanza la
“realtà” propinataci quotidianamente in TV è di sinistra. I suoi seguaci più
profondamente ipnotizzati sono i cittadini con un livello di istruzione
superiore: questo la dice lunga sulla differenza tra avere un’istruzione
superiore e possedere capacità critiche.
La
destra è invece ormai (per fortuna, direi) l’ombra di se stessa, ridicola nel
difendere concetti – contenitore come “identità nazionale”, confini”, “bandiere”,
“altolà all’immigrazione” pur con un blando accenno alla “ripresa”: niente
insomma, che possa smuovere le masse, tranne che per un ricorso alla “pancia”
della nazione, ma senza alcuna proposta accettabile. La Le Pen e Salvini difficilmente faranno la
differenza in un’Europa che sta andando a ramengo. Qualora avessero la
maggioranza (ma non è affatto scontato che possa succedere), potrebbero fare
ben poco e lo sanno anche loro. L’inerzia spaventosa del colossale
baraccone non la fermi con qualche veto o slogan o legge simil razzista.
I loro sono slogan per vincere le elezioni alla faccia degli idioti.
La
destra più intellettuale è ancora alle prese con Evola, Drieu la Rochelle,
Gentile, persino Pasolini, con un recupero tardivo e impossibile del fascismo e
con l’annettersi alcune figure storiche “ibride”: tentativi che hanno un loro
fascino ma che aumentano il guazzabuglio infernale delle opinioni. Il vero cavallo
di battaglia della destra intellettuale è
lo sputtanamento della “sinistra” (e in questo raggiunge livelli
impareggiabili, davvero godibili: ma è come sparare sulla croce rossa).
Insomma
le sponde dell’utopia sono lontanissime, invisibili. A nuoto non ci arriveremmo
mai. Si affacciano scenari inquietanti, alla Houellebecq? Difficile da dire.
Finché
il barcone regge, la pseudo democrazia nella quale viviamo può ancora
sfoggiare i suoi mille travestimenti.
Se
il barcone dovesse affondare… beh, veramente, si salvi chi può.
L’inerzia
è lunga, lunghissima ancora … forse.
I
clan di cialtroni che comandano sanno che conviene a tutti mandare avanti
questa fiera delle vanità. I disoccupati si crogiolano nell’idea che domani,
forse, vinceranno un Milionario, oppure troveranno posto nell’azienda del
cugino di secondo grado.
I
migranti pensano di venire qui e trovare il sol dell’avvenire. Conviene farglielo
pensare, da qualche parte come esercito di lavoratori di riserva (come diceva
Marx) li possiamo mettere e insomma dopo non sono cazzi nostri, pensano. Ma sì,
un po’ di polizia, qualche muro, qualche associazione culturale, qualche
fiction TV dove sono tutti buoni e integrati e in qualche modo altri trenta
milioni di poveracci possiamo farceli stare.
E
il barcone va avanti per un altro po’, e le sponde di utopia sono laggiù da qualche
parte in mezzo alla nebbia.
Tanto
nel lungo termine, come si dice …
Il desiderio di fuga corona tutto.
RispondiEliminaMassimo, per come la vedo io il problema è che, se una volta la fuga poteva avere un senso, o meglio, se esisteva una possibile meta alla fine del viaggio, ora sinceramente non vedo la vedo. Fuga. Per andare dove? E cosa c'è in quel dove? Nel mio caso la fuga sarebbe quella dal genere umano, ma capisci che dovrei pensare ad altri pianeti, un po' arduo da attuarsi. Non mi basta più pensare ad "una terra promessa", al paese dove "lì si che si sta bene, lì funzionano le cose". No. Ci sarebbe sempre qualcuno che mi sta sui maroni, per un motivo o per l altro, allora resto dove sono, combattendo ogni giorno per non perdere nemmeno un cm del "chi sono", innalzando le barriere trasparenti anti risucchio e cercando di salvare quello che di buono (mi) è restato dopo aver lasciato il mondo dei sogni.
RispondiEliminaDura, molto dura. Del resto Carotone l'aveva detto: questo è un mondo difficile.
Trattasi di semplice fuga nel proprio particulare ... in pratica fottersene completamente, gettare la spugna su questo mondo, che vada pure in malora ...
EliminaIn realtà immaginavo si trattasse di quel tipo di fuga. Quella mi appartiene da una vita.
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