Perché mi sto interessando al cosiddetto Realismo Speculativo?
Per farla un po’ finita con gli esistenzialismi, le fenomenologie,
gli idealismi e le pippe mentali francesi. Perché, devo ammetterlo, mi
affascina la tenebrosa atmosfera nordica, i cieli plumbei e le belle ragazze
dalla pelle bianca. In altre parole, mi accosto al RS perché mi sarebbe
piaciuto essere inglese o norvegese e comunque mi piacciono le nordiche.
Rendersene conto è il primo passo.
Dal punto di vista filosofico (al di là degli scherzi), mi affascina poter pensare qualcosa
che è aldilà del pensiero stesso, la realtà. Il vero aldilà esiste e non c’è
bisogno di cercarlo dopo la morte. Esso è prima e dopo di essa. Esso è ciò che
continua mentre i fenomeni appaiono e svaniscono e anzi, esso è l’infinito
oltre che ci guarda da fuori.
Le filosofie monolitiche, dialettiche, sono noiose,
antropocentriche. Dentro il nostro cosmo protetto, non facciamo che passare da
uno specchio all’altro. Può darsi che non sia possibile sfuggire al perimetro
della nostra mente ma sappiamo che qualcosa là fuori, esiste. Per sempre. E non
è Dio. È la Realtà. Forse è la sessa cosa.
Kant era attratto da Swedenborg e ne temeva la deriva visionaria. Il
filosofo di Kőnisberg subiva la malia della cosmogonia del profeta pazzo. Ha cercato
si sottrarvisi con un libretto intitolato Sogni di un visionario. Era
affascinato dalla netta divisione tra terra e cielo, con il cielo visto come
ottativo più bello della vita reale, una divina duplicazione, vera e propria
fantascienza. Kant ha relegato in seguito tutto ciò nel regno del noumeno,
inavvicinabile dominio degli angeli che sono uomini e non lo sono allo stesso
tempo.
Kant ha cambiato la sua vita attraverso Swedenborg. Per paura di
perdere la ragione egli ha creato la sua cosmogonia ordinata, priva di pazzia
quanto più possibile. La storia del pensiero occidentale è, dal tempo di Kant,
una storia di rimozioni.
A partire da Kant la prima cosa che è stata rimossa è stata la
realtà, da allora semplicemente definita cosa in sé. La cosa in sé è la chiave della comprensione.
È la cosa in sé il problema e il fatto che non si possa toccarla, sentirla,
pensarla, se non attraverso noi stessi. Abbiamo unito soggetto e oggetto in una
cosa sola, sempre e comunque convinti della superiorità del soggetto. Ma è
l’oggetto la chiave di tutto. Noi emergiamo dalla realtà degli oggetti, oggetti
a nostra volta, con una particolare forma di cecità. Siamo un buco nel tessuto del
mondo, fatto di percezioni. Siamo il buco. Un buco con la Realtà intorno.
Rendersene conto è il primo passo.
Ciò che è rimosso è destinato a tornare, ma in forme patologiche e catastrofiche.
RispondiElimina" [...] Un giorno, alla fine della conoscenza delle cose, la porta di fondo si aprirà e tutto quello che siamo stati -detriti di stelle e di anime- sarà spazzato fuori dalla casa affinché quello che esiste ricominci." F.Pessoa
RispondiEliminaBellissimo.
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