Non ho lingua che possa
dare forma al grido che lancio
sopra me, contro questo stralcio
di celeste vòlta cosparsa
da minuscole fiammelle, lacrime dorate,
fiocchi di sole, divina luce.
Grido intorno ciò che tocco,
lo spasimo che sento:
il dolore, il piacere sono smorfie
improvvise sulla bocca.
Solo quando sono al buio mi placo
in un borbottio intermittente,
mimetico alle ombre.
Sento le cose.
Sento me più le cose.
E le cose si sono separate da se stesse
e da me che le guardo.
Tutto è cambiato.
Io.
Io più.
Io più il mondo.
Ma cos’è io?
Di chi è la voce che parla in me,
quest’io che è io a se stesso?
È un supremo colorarsi della forma
È un legno conficcato nel terreno,
erto su una sconfinata pianura
senza senso o norma
La mano lo afferra,
senza ancora un concetto che addensi
il sapore di un pensiero nella bocca
Sento che voglio qualcosa
e quel qualcosa è mio
anche se non so cosa vuol dire mio
quel qualcosa sarà Dio
anche se non so ancora cos’è Dio
Ogni notte il terrore mi sfinisce,
ma stavolta
sento di aver varcato
un portale invisibile
Divengo distacco di tempo
e dichiaro guerra al mondo
Anche se non so ancora
cos’è guerra,
cos’è mondo,
cos’è tempo.
Forse l'io nel momento in cui si separa dal Tutto è sempre strappo, sempre guerra, sempre lotta.
RispondiEliminaBei versi, complimenti!
Sono belli perché evocativi: provocano visioni.