Quando ero ragazzo. Che strano effetto fa scrivere questa frase. Quando ero ragazzo.
Quando ero ragazzo vivevo in un sogno colorato. Ero il futuro di me stesso che mangiava e cacava. Una interminabile serie di cacate ha scandito la mia vita. Felice al sole, cacate intime e da brivido, vere estasi mistiche nelle quali percepivo l’armonia dell’universo. Mi piaceva pensare alle galassie, quando cacavo, da ragazzo. L’alternativa alle galassie erano i corpi delle donne, o meglio, il pensiero del mio corpo sui corpi delle donne. Ho sempre pensato ferocemente, tenacemente al tempo che passa e alla morte. Questo era anzi il mio primo pensiero dopo le galassie e il mio corpo sul corpo delle donne. Pensavo alle galassie, ma il pensiero delle galassie era reso ancora più profondo dal pensiero del tempo che passa e della morte. Poi però il pensiero del mio corpo sul corpo delle donne prendeva il sopravvento. Ma la scansione della giornata era la cacata. C’era la cacata del mattino e quella del primo pomeriggio, inesorabili, anticipatrici, meravigliose. Lo svuotarsi dell’intestino mi rimetteva in pace con le galassie e anche con il passare del tempo e della morte. Certo, c’era sempre il rischio di girarsi e trovare tracce di sangue nella merda, la qual cosa avrebbe significato la possibilità di avere una malattia mortale. Ogni volta il sangue non c’era e il tempo poteva ricominciare a passare e io potevo pensare alla morte con una aspettativa più tranquilla. La morte ridiventava così, non più la minaccia terribile dell’annientamento, ma qualcosa che pareggiava i conti con il mondo.
Ogni tanto capitava anche di scopare davvero. E lì c'era solo vita. E bellezza.
Il fulgore della gioventù precipitava dentro ogni scopata.
Inventavamo Dio, perdio. Solo per noi. E per sempre.