Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

venerdì 5 giugno 2015

Collettività e cattiva coscienza



Le questioni collettive mi ripugnano per un difetto della mia costituzione psichica. Tuttavia mi rendo conto che sono io stesso un animale sociale, immerso fino ai capelli nella collettività, in un umore fatto di amore e repulsione.

Poiché la mia ripugnanza della politica e dei fenomeni collettivi, nasce in buona parte dalla frequentazione nel passato di gente che invece ci sguazzava a proprio uso e consumo, non posso fare altro che osservare e cercare di capire.

Quello che sono riuscito a vedere come collante della collettività è qualcosa di molto simile a una sorta di cecità, un impulso cieco a fare, a stabilirsi al centro della corrente. È una sorta di agitazione che impedisce al genere umano di fermarsi un attimo. Cerca soluzioni a problemi che esso stesso (il genere umano) si crea. L’assoluta autoreferenzialità umana è sconcertante.
Nietzsche la chiamava volontà di potenza e sebbene questa definizione suoni mitologica e poco scientifica rende bene l’idea.

Le questioni collettive mi ripugnano, dicevo. Se cerco di indagare a fondo in questa ripugnanza, trovo una pulsione all’isolamento molto forte in me.
Certo, ho anch’io una vita sociale, degli affetti, sono spesso cordiale, almeno da qualche anno a questa parte.

Sono sempre stato uno che se mi si chiedono in prestito dei soldi e ce li ho, li do e mi dimentico di richiederli. Sono uno che, almeno fino a poco tempo fa, se qualcuno mi avesse chiesto di accompagnarlo dalla parte opposta della città alle sei del mattino, lo avrei fatto (e l’ho fatto). Se qualcuno mi chiede una mano, non riesco a ignorarlo, anche se è un estraneo, mica perché sono bravo, no: è una semplice impostazione mentale. Ne ho passate tante e lo so come ci si sente a essere abbandonati al proprio destino. Non voglio essere proprio io quello che abbandona. È solo ultimamente che ho imparato a mettere dei paletti, come si dice, a proteggermi: forse perché con l’età, la fatica di sprecare il tempo comincio a sentirla di più che il senso di colpa di dover dire di no.
Ecco dunque che, sebbene mi ripugni la collettività, ho una buona tolleranza per gli individui che mi attraversano la vita. Io mi faccio sempre da parte, tengo aperta la porta, evito di sovrappormi, non mi è mai importato di essere il centro della scena.
Sono quello che si dice una brava persona.

Se da un lato sono sempre stato disposto a mettermi in secondo piano per evitare al mio ego di straripare, da un altro punto di vista il mio mettermi in disparte è sempre stato segno di un imbarazzante disamore per la vita. Manco di vitalità e ce ne vuole una buona dose per desiderare tanto di intervenire nel “collettivo”. Penso proprio che nel regime sovietico sarei stato mandato nei campi per scarso amore per il popolo.

Da giovane avevo un po’ di entusiasmo e quando frequentavo la mia bella e brava associazione buddista per la pace nel mondo, credevo sul serio che l’umanità potesse progredire e trovare una dimensione collettiva di pace.
Adesso, la sola idea che qualcosa del genere possa essere possibile, mi deprime.
Niente mi mette più tristezza nel pensare alla società umana come a una propaggine di un telefilm della serie Don Matteo o un’ininterrotta sequenza di giornate da oratorio.

La salvezza dell’individuo giace nella collettività, non c’è dubbio. Un uomo solo, vale nulla: ma l’individuo nel salvarsi, perde anche quel piccolo irriducibile tarlo che può a volte trasformarsi nel male, ma può anche generare un cambiamento di prospettive.
Il progresso (qualunque cosa sia, negativa o positiva) non si è svolto facendo marciare tutti in fila per tre. Sono gli individui solitari che hanno creato tutto. Gli organuli delle cellule, fanno nutrire le stesse, ma hanno origine da una specie d’infiltrazione parassitaria di un microrganismo in un altro. Allo stesso modo la società progredisce (qualunque cosa voglia dire) grazie agli apparenti outsider.

Questa è certo una concezione tutt’altro che originale, lo so.

Può darsi che la collettività mi faccia schifo, semplicemente perché non sono adeguato a farvi parte. Sono come un bambino disadattato che gioca da solo in un angolo di cortile.
Detto per inciso, mi è capitato molto spesso di sentirmi così durante la mia merdosa infanzia.

E allora tutto questo peana di cazzate sulla collettività, trova la sua giustificazione.
Mi rode la mia cattiva coscienza.
Sento che non faccio, non penso e non sono quello che dovrei, come cittadino di quest’epoca.
Non sono a favore delle cose che migliorano il mondo.
A me fa cagare chi pretende di migliorare il mondo.
Non riesco proprio ad amare chi s’impegna per il sociale, chi ama i cuccioli, chi si prende cura dei bambini africani, degli handicappati, di tutta la miseria del mondo. Non riesco proprio ad amare chi ha fiducia nel progresso e nella crescita, chi ritiene la sua presenza nel mondo indispensabile. Non solo non riesco ad amarli, mi fanno paura.

La stessa cosa si applica alla politica, anche se qui l’appello alla collettività e al progresso è funzionale al mestiere del politico.  Ormai però il re è talmente nudo che gli si vedono gli organi interni, le trippe intente a digerire tutto quello che si sono mangiati delle vite della collettività.
L’uomo è assurdo sia quando commette il male, sia quando fa il bene.
Se fa il bene, l’orrore aumenta, perché in genere il bene è beata giustificazione di qualcosa che è male per qualcun altro. Si edificano chiese sopra i cimiteri, banche sopra il sangue nei campi, progresso sopra il cervello delle persone, si fa la beneficienza a chi, in fondo, si considera inferiore. Il sommo bene tende a escludere dall’amore universale chi ne fa vedere i difetti. Chi vede le crepe nel meraviglioso edificio collettivo una volta era messo a morte, oggi è semplicemente ignorato. Tutto deve procedere bene, in nome della collettività: per le lamentele ci sono i talk show.

È per questo motivo che in quest’epoca meravigliosa i film e i libri devono preferibilmente avere un bel finale. È l’ideologia cristiana, dopotutto, dalla quale deriva anche il senso di progresso dell’ideologia comunista. Cattolicesimo, protestantesimo, marxismo e capitalismo hanno eretto i loro altari all’happy end.
Solo che chi come me ha quel tarlo, l’happy end, lo teme.

A che serve sproloquiare così, dicono i bene pensanti.  
Cerca piuttosto di fare qualcosa di costruttivo per chi verrà dopo, i posteri.
I posteri, queste luride merde. C’è qualcosa di più infido dei posteri?
I posteri non possono fare mai altro che tradirti.
Io sono un postero del Manzoni e lo schifo. Sono un postero di tutte le ideologie e le temo. Sono un postero del postmoderno e mi sento svenire al pensiero.
Dei posteri non è mai fregato niente a nessuno. I posteri se ne fregheranno completamente di noi, avranno cose molto più importanti da fare.

Ripenso ai temi che scrivevo al liceo. Non li ricordo. Però ero bravo. Avevo le idee chiare.
C’era tanto da capire, allora. Perché non sapevo ancora un cazzo. Ora che so tante cose, non riesco più a capire niente.
Ho perso il centro e il baricentro. Barcollo.
Mi riprendo e vado avanti, senza fermarmi, come tutti.
Voglio semplicemente adempiere la mia missione: vivere bene ed essere felice, senza dispiacere troppo agli dei.

6 commenti:

  1. allora è meglio non sapere niente .... si vive meglio! ;-)

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  2. disarmante post, al cui punto di vista soggettivo aderisco pienamente senza compiacermene.

    quello che non consideri è che la collettività è sì "somma di individualità", la somma dei loro atti e pensieri, ma essa diventa una oggettività che controlla, comprime e impedisce lo svolgersi di quelle stesse individualità, che quindi non solo tali e che non hanno alcun potere su questa oggettività.

    E' quello che avvertiamo come peso del mondo. Si può rompere questa catena di Potere Sociale che ci tiene collegati ma in quanto prigionieri?

    ciao

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    1. La catena è indispensabile, credo. Liberarsene, si può, ma bisogna essere pronti a pagarne le conseguenze.

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    2. affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi...

      da

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  3. Diffido da chi fa del bene a livello industriale con nome e cognome. Il bene, se lo si vuol fare, è meglio piccolo e anonimo. Diffido da chi, come Eco, dice che la massa è ignorante e poi fa il democratico progressista. Leibniz, Spinoza, Schopenauer sono vissuti e morti soli e contenti di esserlo. Se dici, ed è vero, che il popolo è ignorante, perchè lo vuoi democraticamente al potere? Perchè sai che gli stai raccontando una balla, approfittando della sua ignoranza, e sai che il vero potere è dei semiologi e dei ladri. La parola democrazia è stupida e, per finire, odio le onlus.

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