Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

mercoledì 24 settembre 2014

Ooops, I did it again!



Mio dio, l’ho fatto ancora. Sono qui a digitare insensatezze giusto per vedere come va a finire, come se non lo sapessi già: come se non avessi già assaggiato il fiele, come se il tempo non fosse stato sprecato, le lacrime non fossero cadute, la lanterna non fosse finita nel pozzo.
Cosa resta? Tutto e niente.
Nulla da fare. Tocca ricominciare.

Ecco, è lei. Esce dall’ascensore e non si può dire che non abbia un suo qual modo di procedere maestoso su quei tacchi: diciamo una maestosità barcollante come di chi aspetta che qualcuno l’attacchi a un muro, le sollevi la gonna e glielo sbatta dentro a coronamento di una dura giornata di lavoro. Non c’è da fidarsi. Anche stavolta procederà spedita fuori dalle porte e svanirà nel pomeriggio velato di sempre.

Pensierini, pensierini. Aspettiamo tutti il giudizio universale sotto queste piramidi di noia.

 Uno di questi secoli, scriverò un compendio filosofico ai film di 007. Analizzando quelli, si arriva comprendere quasi perfettamente il divenire storico, sociale, politico e antropologico degli ultimi 50 anni. Non servono Baudrillard e Fukuyama, basta Bond, James Bond. E si vede pure più gnocca.

Pensare, non ce la faccio più e continuare ad andare avanti: ostinazione o mancanza di fantasia?

 Quest’agosto a Napoli, ho capito (non che ci volesse chissà quale mente) che la luce è tutto. Se a Milano ci fosse la luce che c’è a Napoli, persino lei (Milano) sembrerebbe bella.

 Mangiare un babà a un baracchino in via Toledo e commuoversi. Il senso della vita rivelato in un attimo.

 A Napoli, tutti (e dico tutti) i motociclisti che ho visto avevano il casco: lo stesso a Sorrento, Meta, Vico Equense. Certo, non sono andato a Scampia, ma un giro per Forcella l’ho fatto. Viviamo di visioni eterodotte.

Una settimana fa ho perso il borsello con tutti i documenti sulla metro. Sono uscito in strada e mi sono accorto che il borsello era sparito. Ero in centro e non avevo nemmeno un centesimo in tasca. Ho dovuto farmela a piedi fino al lavoro (almeno quattro chilometri), riprendere la macchina, senza patente né libretto, persi anche quelli, e andare a fare tutte le denunce del caso.
Camminando per la città, ho provato per qualche ora il brivido sottile di non esistere. Basta poco. Niente documenti e niente soldi. Non hai scampo, a meno che non sei rom. No, quelli i soldi ce l’hanno. Una volta, in un supermercato ho visto una rom tirarsi fuori da sotto la gonna, un rotolo enorme di banconote, frutto di chissà quale abbondanza di elemosine o furti. Che c’entra, si dirà? Niente, forse. Se crollasse la civiltà loro (i rom) si salverebbero, noi ci metteremmo troppo a capire che è finita, l’identità ce la dobbiamo dare da soli: o fare senza, che è ancora più figo.
Tornare alla nudità dell’increato.
Passeggiare tra le rovine del Giardino senza un io, senza altro scopo che non sia quello di …

martedì 9 settembre 2014

Per noi figli della Rete



Sono fortunato a vivere nell’era di Internet. Negli ultimi quindici anni, ho potuto raccogliere informazioni e conoscenze, che mi sarebbe stato impossibile, o molto difficile, raggiungere, senza la rete. La mia gratitudine per questo mezzo è indiscutibile.

Il rovescio della medaglia è la perniciosa influenza, la subdola (almeno all’inizio: poi diventa evidentemente deleteria) dipendenza che dà la ricerca di continue informazioni, collegamenti, notizie, fonti, ecc.

Grazie a Internet puoi collegare tra loro cose distanti e trovarne i nessi sottili, puoi ampliare le tue percezioni della cosiddetta realtà, fino a pensare di esserti avvicinato ai bordi dello scibile umano. Si può raggiungere una enorme enciclopedizzazione dell’ecumene e sentirsi spinti ad andare ancora avanti.

Internet non è solo un ricettacolo di cazzate cosmiche, ma anche un eccezionale strumento di conoscenza.

Tutto questo è fantastico. Sai di essere tra quelli che usano Internet nel modo “giusto”. Tu cerchi cose, cerchi di sapere. Non ti accontenti di youporn. Tu utilizzi a buon fine il mezzo. Solo che a un certo punto ti trovi inghiottito dal sistema, senza neanche sapere come ci sei finito. Ti ritrovi a passare ore e ore e ore e ore della tua vita mortale a scivolare da una cosa all’altra, affidandoti unicamente a sottili associazioni d’idee. Il tempo passa, inesorabile, interi pomeriggi inghiottiti davanti allo schermo a cercare di afferrare qualcosa che, a poco a poco, ti accorgi di non potere mai cogliere interamente.

La tecnologia straordinaria, l’approccio alla conoscenza globale, si rivela un labirinto di Borges dal quale non riesci più a districarti. Cominci a pensare che potresti passare il resto della vita a cercare questo e questo e quest’altro e non arrivare mai da nessuna parte. Cominci a non capire più dove stai andando e perché cerchi quello che cerchi e che utilità può mai avere cercare stupidamente di sapere tutto. Cominci ad accorgerti che quelle poche o tante persone con cui interagisci (quasi tutte rigorosamente anonime, cioè con nickname) sono solo fantasmi che non incontrerai mai di persona e nemmeno vorresti farlo. Cominci a pensare a quanti contatti giornalieri ha il tuo blog, avvilirti se ne ha pochi, esaltarti se ne ha tanti, cominci a pensare che tutti parlano insieme, tutti parlano troppo, sussurrano, gridano, proclamano cose giuste, sbagliate, idiote, intelligenti, fondamentali o superficiali ma che hai smesso da un pezzo di riuscire a digerire, ad assimilare. Tutto sta trasformandosi in un brusio indistinto: a livello digestivo, un pastone immangiabile.

La tua ricerca si trasforma poco a poco in un persistente rumorio mentale che fa da sottofondo alle tue giornate, sovrapponendosi gradualmente alla realtà (qualunque cosa significhi questa parola) fuori dallo schermo.

 Ti accorgi di essere così abituato a rivolgerti a Internet per chiedere conferme di qualunque natura, che il volgerti all’esterno di te (Internet è un immenso cervello globale: come tale, anche se è grande come il pianeta, è chiuso in sé stesso. È un grande solipsismo planetario) ti pare persino strano.

Apparentemente fai la vita di prima, lavori, interagisci con amici e familiari, ma quel sottofondo continuo persiste. Ti accorgi di pensare, devo cercare quella cosa o postare

quell’altra, verificare questo o confutare quest’altro. Vivi contemporaneamente nel virtuale e nel reale. Niente di nuovo , in queste affermazioni, mi rendo conto. Ecco, questo è un altro problema. Il diluvio (letteralmente) di opinioni che ti bombardano quotidianamente, ti impediscono di pensare, di abbeverarti, per così dire, alla fonte originaria di te stesso, quella che sola ti può dare sollievo. Ti accorgi che la ricerca continua di qualcosa di originale da dire o da scoprire, è un vero e proprio attentato alla tua esistenza.

Cominci a renderti conto che per arrivare alla sapienza (qualunque cosa sia, e se esiste), ti devi sbarazzare del desiderio di informarti, studiare, verificare. Lo scibile è talmente vasto che, anche se fosse possibile accoglierlo tutto nel proprio cervello, farebbe poca o nessuna differenza, di fronte alla vita per quello che è.

Non parlo dei social network, che io non frequento. Immagino però che il concetto sia identico, anche se l’obiettivo non è la conoscenza, ma la più vasta possibile interazione sociale, che è già in sé una contraddizione in termini. Quanta più gente conosci, tanto meno puoi interagirci veramente. Il risultato è solitudine e stupidità, esattamente come chi ricerca la conoscenza.

Parrebbe proprio che, siano i fini perseguiti nobili o idioti, il risultato di un eccessivo uso di Internet sia solitudine e/o stupidità.

L’obiezione che si può porre è semplice ed evidente: è un fatto puramente individuale arrivare a questi punti. Come in tutte le cose anche Internet è una questione di moderazione, di sale in zucca, per così dire. Se sei una persona tendente alle ossessioni, sarai ossessionato da qualunque cosa, Internet, l’Inter, la figa, qualche sostanza stupefacente, ecc. ecc.

Ma certo, nessun dubbio che sia così.

Ritengo difficile però, che una persona, anche la più avveduta e magari non più giovanissima, che posta quasi quotidianamente sul proprio blog o su altri, non sia vittima di questa illusione/delusione. I più ossessionati possono essere da ricovero, non c’è dubbio: gli altri, credono di vivere normalmente con quel brusio nel cervello.

È per questo che credo di dover ridurre la dose di Internet nella mia vita: non più di una volta alla settimana e al massimo un’ora, un’ora e mezza.

È altresì importante lasciare cadere il desiderio di sapere immediatamente una cosa o un’altra. In questo momento della mia vita, è molto più importante non sapere, piuttosto che sapere. Non è un elogio dell’ignoranza, che ho sempre trovato un modo ipocrita di ribadire la propria superiorità: no, è una strategia di pulizia mentale.

La nota parabola zen che spiega come se una tazza venga troppo colmata di tè, questo fuoriesca dal bordo e si disperde senza poter essere bevuto, è illuminante.

La coppa della saggezza deve essere prima svuotata, perché ne si possa attingere. Più la riempi, più perdi per strada l’essenziale. Con Internet riempiamo le nostre vite, le nostre menti , fino a farle scoppiare. Dopo non ci entra più niente.

Inoltre è evidente che le ossessioni perseguitano il cervello umano dall’alba dei tempi. In un certo senso la vita stessa è un’ossessione. È per questo che negli insegnamenti sapienziali è predicato il distacco.

Succedeva la stessa cosa a Faust: la sua dannazione era che la continua ricerca della sapienza lo aveva portato alla disperazione di un circolo vizioso. Solo il patto demoniaco dell’eterna giovinezza e dell’illusione di essere utile a qualcuno poteva riscattarlo. Ma alla fine viene salvato dall’Eterno Femminino. Finale mediocre, grande opera. Un pelo di figa tira più di una quadriglia di buoi.

Ci salva la pietas, ci salva la grande mamma cosmica, con il suo amore incondizionato. Ci salva niente, non c’è nulla da cui salvarsi. I miti sono meccanismi di sopravvivenza. Le ossessioni sono i loro binari morti. La vita è quello che è.

 

Ho nostalgia dei tempi prima di Internet. A ripensarci, non ricordo nemmeno come facevo a sapere le cose che sapevo. Libri che rimandavano a libri, probabilmente. Frequentazioni di biblioteche, meno roba quantitativamente da assimilare, che più facilmente ti entrava dentro a formare la tua carne, le tue ossa e i tuoi pensieri. Provo pena per chi era troppo piccolo o addirittura non era nato, prima di Internet. Quanti cieli aperti si sono persi.