Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

venerdì 14 ottobre 2016

I tempi stanno a - cambiando



Un Nobel se ne va, un Nobel se ne viene.
Non mi voglio inserire nel filone delle polemiche è - giusto, non - è - giusto dare il Nobel a uno strimpellatore di chitarra con una brutta voce. La somma giuria di Stoccolma ha deciso così e pace.
I suoi testi sublimi hanno cambiato il destino dell'umanità, si dice: e chi sono io per contraddire la giuria del Nobel?
Quello che accomuna i due Nobel, quello uscente per cause naturali e quello entrante per cause di ristrutturazione del pensiero svedese in senso spettacolare - debordiano, è una certa marginalità dal settore della, non saprei come altro chiamarla, letteratura.
E' dunque evidente che la giuria del Nobel ormai intende la letteratura in senso molto lato. A questo punto sarebbe giusto dare il premio anche a qualche autore di fumetti e ce ne sono certi che sicuramente lo meriterebbero. Molti manga giapponesi sono letterariamente stupendi. Anche gli autori di certe serie televisive come I Soprano o il Dr. House meriterebbero il Nobel, come pure quelli di Gomorra o House of Cards: perché no, sarebbe giustissimo.
Tutto ciò che influenza l'immaginario collettivo merita il Nobel. Questa è l'intuizione dei giurati svedesi. Anche Berlusconi meriterebbe il premio Nobel per la letteratura. Ah no, lui è di destra. Niente premio allora.
Grillo non è ancora al suo livello. Poi non si capisce se è di destra o di sinistra. Nemmeno Renzi.
Premio Nobel per la letteratura a Papa Francesco, dunque.
Premio Nobel per la letteratura anche a Paperino (anche se è solo un personaggio immaginario).
Insomma i giurati del Nobel hanno pienamente compreso quello che sta avvenendo da un po'.
Da un certo punto di vista questo a - cambiamento dei tempi è stimolante.
La vita si nutre di paradossi, ormai mi è chiaro da molto tempo.
Il paradosso di quest'epoca (uno dei tanti) è che mentre la letteratura così come la si intendeva fino alla fine del secolo scorso è diventata ininfluente, tutto il mondo è diventato letteratura.
Il fantasma della letteratura aleggia in mezzo a milioni di semianalfabeti e analfabeti di ritorno.
La specie umana vive ormai in un lunghissimo ininterrotto romanzo planetario con miliardi di personaggi tutti intercambiabili, tutti uniti nel guardarsi vivere tramite mezzi inconcepibili fino a mezzo secolo fa.
Viviamo in tempi letterari quanti altri mai: una balzachiana Commedia umana si snoda attraverso le reti televisive, Internet, smartphone e il traffico congestionato delle metropoli con tutti i drammi e le farse che si consumano sotto questo breve strato di atmosfera che avvolge il corpuscolo sul quale stiamo viaggiando verso chissà dove.

martedì 11 ottobre 2016

Quattro Quartetti



Avanti viaggiatori! senza fuggire dal passato
a vite differenti o a qualsiasi futuro.

Voi non siete la stessa gente
che ha lasciato la stazione
o che arriverà a una destinazione qualsiasi,

mentre i binari sfuggenti si stringono dietro di voi;
e sul ponte pulsante del transatlantico
mentre guardate il solco che s’apre dietro di voi,
non dovete pensare che “il passato è finito”
o che “il futuro è davanti a voi”.

Al cader della notte tra le antenne e il cordame,
c’è una voce che canta (ma non all’orecchio,
mormorante conchiglia del tempo, né in linguaggio alcuno).

“Avanti, o voi che credete di viaggiare;
non siete voi quelli che videro il porto
allontanarsi, né quelli che sbarcheranno.
Qui, tra la sponda di qua e quella lontana,
mentre il tempo è sospeso, considerate il futuro
e il passato con mente imparziale.

Nel momento che non è d’azione né d’inazione
potete ricevere questo: “in qualunque sfera dell’essere
la mente dell’uomo possa essere intenta
al tempo della morte” – ecco l’unica azione

(e il tempo della morte è ogni momento)
che darà frutto alla vita degli altri:
e non pensate al frutto dell’azione.

Andate avanti.
“O viaggiatori, o naviganti,
voi che giungete al porto, e voi il cui corpo
soffrirà la prova e il giudizio del mare,
o qualsiasi altra fine, questa è la vostra destinazione.”


Così Krishna quando ammoniva Arjuna
sul campo di battaglia.

Non: buon viaggio…

ma: avanti, viaggiatori.

Thomas Stearns Eliot

sabato 30 luglio 2016

Ebbrezza d'estate

Resta da capire come mai i cosiddetti terroristi non provino mai ad attentare direttamente luoghi di potere, preferendo fare mattanza di cittadini inermi.
Il motivo è di ordine pratico (i luoghi di potere sono più inaccessibili) e di ordine psicologico (quello che si cerca non è la destituzione di un potere, religioso o politico, ma la distruzione stessa, il delirio mistico della morte).
Un mondo a senso unico come questo fa esplodere le tensioni distruttive che in esso sono contenute.
Gli attori e gli agiti sono marionette, personaggi secondari e sostituibili.
E' per questo che mi sono stupito sentendo del tentativo di colpo di stato in Turchia. Mi ricordo di avere pensato che sembrava di essere tornati ai vecchi tempi, quando i colpi di stato erano di moda, tipo in Grecia. Ma le mode vecchie non funizonano più e il tentativo di colpo di stato contro Erdogan (tutti ormai sanno che si pronuncia " Erdoan") non ha funzionato, come è nello zeitgeist attuale.
Si sprecano le analisi sociopolitiche, quando basterebbe scomodare il demone dell'estate ela giovinezza che è (come si sa) primavera di bellezza.
Nello zeitgeist attuale  la varie figurine sulla scacchiera inseguono certamente obiettivi strategici, ma più profondamente cercano l'ebberezza del controllo e del suo contrario.
L'estate è la stagione più mortifera, quella in cui il culmine della vita porta in sè anche l'inizio della dissoluzione. I giovani esplodono.
Le due guerre mondiali sono scoppiate in estate. Non fai scoppiare una guerra mondiale in primavera o inverno, pare brutto. I giovani scalpitano.
Gli eccessi violenti hanno il loro massimo turgore, qui nell'emisfero boreale, in questa pazza stagione.
L'eccesso di vita è contiguo alla morte, sempre. Dioniso impazzito di ebbrezza, si mette a macellare le genti, in nome dei princìpi più strani.
Analisi un po' troppo junghiana? Sia pure. E' un modo come un altro per dare un nome all'inquietudine che ci sovrasta. Che la si chiami guerra di religione, declino dell'occidente, crisi del sistema capitalistico, il momento in cui un uomo o un gruppo di uomini inizia l'opera di distruzione, quello che si muove, quello che accade, va al di là delle nostre percezioni quotidiane.
Viene in mente lo Straniero di Camus, condannato  a morte per aver ucciso un arabo, senza perché, per un riflesso di sole.
Lo Straniero è moltiplicato per mille, diecimila. Allah è un pretesto. L'Isis è un pretesto perfino per se stesso. L'Assurdo regna e genera i suoi giovani mostri. Dietro di loro, burattinai e burattini a loro volta, personaggi oscuri. Non verremo lasciati in pace tanto presto.



domenica 26 giugno 2016

Metodi efficaci di valutazione politica

Chi sa veramente se la GB ha fatto bene o male a uscire dalla UE. Le opinioni, come al solito, si accavallano e non portano a nulla di concreto.
Esistono però sistemi più semplici e quasi infallibili per valutare la validità di una decisione politica così epocale*: la faccia da becchino di Severgnini, il disappunto plastico della Gruber e il rosicamento di Renzi.

I megaburosauri di Bruxelles non lasceranno smantellare facillmente il loro giocattolone: troppo ci hanno guadagnato finora. Ma qualunque cosa accada, l'unica cosa certa è che l'Italia farà la sua solita politica: accodarsi al vincitore di turno, chiunque sia. E' curioso che in un sondaggio fatto su cosa pensano gli italiani della UE i risultati siano stati negativi in maggioranza. Alle stesse persone hanno poi chiesto se allora sia più giusto uscire da questa fallimentare baracca. La risposta è stata a maggioranza no. Come dire: fa schifo, ma ci restiamo, hai visto mai. Tengo famiglia.

* "Epocale" è termine eccessivo. Tra 50 anni della UE non fregherà più niente a nessuno, impegnati come saranno a non affogare nella merda che stiamo producendo ora.

lunedì 6 giugno 2016

Prove tecniche di eccetera eccetera

Suppongo che le migliaia di affezionatissimi lettori di questo blog (faccina su questo punto) si stiano chiedendo che fine ho fatto. Ci sono, ci sono, miei cari. Cambiamenti repentini di sedi lavorative e tante piccole incombenze quotidiane mi tengono lontano dal magico mondo della Rete. Ma non appena sarò riuscito a organizzarmi meglio (che vuol dire anche ritrovarci un po' di voglia) mi rifarò sentire.
Avevo promesso tutta una serie di (pseudo) recensioni letterarie e io sono uno che le promesse le mantiene. Mica ho specificato l'anno.
Vi auguro, nel frattempo tanta serenità e a presto.

mercoledì 23 marzo 2016

Promemoria


Pierre Delvaux La Venere dormiente


Domenica ho compiuto 54 anni. Una età ragguardevole, un tempo. Mio nonno paterno non ci è arrivato, è morto due mesi prima di compierli. Mia madre non ci è arrivata. Si è fermata molto prima. Proust è morto a 51 anni, Cartesio a 53, DFW a 46, Glenn Gould a 50, Gustav Mahler poco prima dei 51, PKD a 53, Moliere a 51, ecc. ecc.

Esempi illustri, come pure esempi qualunque, vanno e vengono in una specie di staffetta senza fine.

Si va avanti a superare quelli che se ne sono andati e poi toccherà a noi e l’universo continuerà nella sua opera di di disgregazione. Ogni anno un pezzo si stacca, una molecola decade, il sogno luminoso dell’eterno amore e eterna giovinezza sbiadisce ancora un po’ di più, la trama ormai scolorita fino alla semi trasparenza. Ci si vede la realtà attraverso. Ed è la realtà ad avere sempre più importanza.

Comincio a sentire l’onnipresenza della morte e nello stesso tempo la vita diviene sempre più evidente, potente, vibrante. Meno spazio alle finzioni e più alla cosa – in – sé.

Galleggiamo nel vuoto, come bolle distanti, silenziosi e stranamente sempre più felici, nonostante tutto, di quella felicità fatta di barlumi di sole anche dentro il buio.

Avere sempre più passato dietro di noi, anche se irrecuperabile, anche se non ci si pensa mai, è una forza. Si cammina, come diceva Proust, sui trampoli dei propri anni e più ce ne sono, più lontano lo sguardo si porta. Il nero orizzonte si fa vicino, ma intorno c’è anche la sterminata evidenza della vita, la grandiosa epifania del tutto. È uno spettacolo commovente e sublime. È la gioia della stella che splende bruciando se stessa.

giovedì 17 marzo 2016

Il lato stanco del web


Vladimir Kush

Il blog è morto, dicono. I blog sono obsoleti e molti rimangono inattivi per mesi, per noia, mancanza di tempo, disinteresse, troppa lentezza nel gestirli.
C’è sicuramente qualcosa di vero in queste affermazioni, che peraltro non sono nuove.
Forse, semplicemente il blog rappresenta il lato stanco del web.
E la stanchezza, come sottolinea il filosofo tedesco – coreano Byung Chul – Han in un gustoso libriccino intitolato La società della stanchezza, è una reazione alla “società della prestazione” nella quale viviamo.
Superata la società del controllo, superato Foucault insieme a tutti gli altri ammennicoli francesi, ci ritroviamo precipitati dentro una “società della prestazione” che ci costringe a essere imprenditori di noi stessi, anche solo per lavorare in un call center o capire, in mezzo a valanghe di offerte, dove andare a posare il culo nella prossima vacanzina low cost. I disturbi e i disagi di cui soffriamo non sono più legati, secondo BCH, alla reazione contro la negatività causata dall’alterità, ma per eccesso di positività.
In altre parole, fino al secolo scorso l’alterità caratterizzava il nostro modo di porci nel mondo: noi, loro, competizione, identità, ecc. ecc. Oggi l’alterità è stata sostituita dalla differenza, dall’accoglienza, dall’ibridazione totale, dalla dittatura dell’Eguale.
Questo porta a un eccesso della positività. Da qui deriva il senso di rigetto, di rifiuto, che coglie molti individui sulla strada della vita.
Le nostre vite sono immerse nell’etica della sovrapproduzione. Tutto diventa possibile e tutto quindi deve poter essere fatto. Nella giungla delle possibilità sterminate (illusorie, aggiungo io) l’individuo si smarrisce, si deprime. Non sa cosa fare, e istintivamente, come autodifesa, non ha più voglia di fare niente.
Questo è il paradosso e il dramma delle nostre società opulente, informatiche, mediatiche, spettacolari: l’individuo soccombe di fronte all’imperativo morale di appartenere a se stesso. La società della positività non ha nulla da invidiare a livello di violenza sistemica, nei confronti dell’obsoleta società del controllo. L’apparente libertà (ma in realtà l’abbandono terribile) schianta l’individuo, lo lascia irrisolto, depresso, demotivato, di fronte a banconi sterminati di offerte allettanti.
In questo modo, sempre secondo BCH, libertà e costrizione coincidono all’interno dell’individuo stesso. Si arriva al paradosso che nell’attuale società della prestazione è l’individuo stesso a divenire nello stesso tempo sfruttatore e sfruttato.
Questo accade, aggiungo io, anche nei casi in cui si vive ai margini di questa società della prestazione. Siamo tutti (in un certo senso) uguali, desideriamo le stesse cose, subiamo le stesse mancanze, da qualunque parte proveniamo, Italia, Siria, Giappone, Togo, Marocco, Messico … le differenze sono ormai solo quantitative (leggi: guadagno) più che qualitative. C’è poi la questione della diversa percezione della felicità da parte di popolazioni diverse, ma questo discorso porterebbe troppo lontano.
Anche le reazioni di avversione nei confronti dei massicci flussi migratori non sono, se si bada bene, dovute all’intrusione dell’Altro cattivo e Straniero (queste maiuscole levinasiane ormai sono stucchevoli) nelle nostre vite beate, ma al terrore di dovere ulteriormente “competere” per le stesse cose. Le migrazioni sono ondate “positive” alle quali non possiamo ormai opporre questioni reali di “identità”, “nazionalità”, ecc. ecc.
La soluzione a questa “stanchezza”? Una vita più contemplativa, dice BCH. Bisogna lasciare spazio alla stanchezza, non vederla come un impedimento alla Vita Activa di cui parlava Hanna Arendt. La vita attiva è spesso una trappola. E il web, aggiungo io, è disseminato di queste trappole. Da qui ne consegue che la stanchezza epocale che stanno attraversando i blog, lungi dall’essere un problema, è forse una reazione “sana” al ciclo demente di sovrapproduzione di stronzate che ci circonda.
L’eccesso di individualizzazione ha portato a tutti i problemi che ci sono adesso.
L’individuo – massa (tutti diversi, ma tutti uguali) DEVE realizzare i propri desideri, a scapito della specie e della collettività.
Le ideologie novecentesche partivano invece dall’assunto contrario: l’individuo deve sacrificarsi in nome dell’idea, dell’utopia, della razza, della collettività, della specie.
I risultati li conosciamo. Era la “società del controllo”.
L’ideologia del XXI secolo (tutto è possibile per tutti e chi non riesce è perché non vuole veramente) ha portato alla sovrappopolazione, al riscaldamento globale, a una forma inedita di alienazione al contrario.
Senza contare che la quantità di morti ammazzati, pur se non in maniera così eclatante come nel XX secolo, non cessa di diminuire.
La stanchezza, in quest’epoca di pazzi e idioti, potrebbe dare luogo a una nuova etica.
Non è detto che succeda, beninteso.
BCH, usa un’espressione molto significativa delle conseguenze della società della prestazione: “L’eccessivo aumento delle prestazioni porta all’infarto dell’anima.”
La stanchezza dei blogger, unita a una consapevolezza sempre maggiore, costituisce uno sguardo commovente, a volte “epico” su questa nostra epoca delirante.
 


martedì 15 marzo 2016

Confutare il confutabile


Jack Vettriano The Road to Nowhere


Vogliamo mettere il sottile piacere di confutare il confutabile? Di rinnegare le antiche credenze? Di tradire la fiducia del gregge?

È incomparabile, ripaga la solitudine che ne hai in cambio. Ho mandato all’aria i buddisti, i comunisti, gli anarchici, i chakra, le cazzate di ogni tipo. Sono libero.

Certo, non ho la pretesa di avere ragione su niente. Nemmeno credo che non ci sia un grano o anche più di verità in tutto ciò che ho confutato: semplicemente la verità contenuta in qualsivoglia ideologia, non è sufficiente per nutrirmi.

Certo, è bello credere di potere cambiare la società prima che il sole esploda: ma il modo in cui si attua il cambiamento fa tutta la differenza.

Anzitutto, ho una antipatia istintiva per chiunque affetti una pretesa superiorità morale.

Io, peccatore e uomo miserabile, non vedo intorno a me tutte queste persone irreprensibili.

La civiltà del libero mercato rende tutti inevitabilmente un po’ ipocriti.

L’ipocrisia nasce dal cercare di nascondere che si è in vendita al miglior offerente, 24/24.

E proprio io, che sono un miserabile peccatore, sono meno in vendita di tutti, da sempre.

Proprio io, che non ho certezze, non sono in grado di averne, non ho mai voluto veramente vendermi. Non ce l’avrei fatta. Non ce l’ho fatta: non per superiorità morale, ma per semplice inettitudine. Sono salvo per incapacità congenita.

C’è sempre meno da parlare di questo mondo: è ormai una noia indescrivibile, una noia complessa, ma sempre noia. Non c’è verità, non ci sono fatti, non c’è giusto, sbagliato, non ci sono uomini e donne, ma apparati di consumo. Di cosa raccontare? Automi spermatici.

L’uomo è un prodotto dei tempi, è una nozione che non è mai stata tanto vera come in quest’epoca. E per forza: non siamo mai lasciati a noi stessi, mai, per un solo istante, da New York a Rejkiavik, da Ouagadougo a Rio, da Monaco a Cinisello Balsamo. Siamo sempre in compagna di Tv, tablet, PC, Twitter, WhatsApp, Facebook, sempre connessi con qualcosa, sempre a fotografare qualcosa, sempre a guardare, guardare, guardare, guardare...

Senza vedere.

Non ci lasciano soli un istante. Non ci lasciamo soli un istante. Da qui deriva la catastrofe collettiva e permanente.

 
Eternamente condannato a essere tra quelli che vengono dopo, quando tutti i giganti se ne sono andati, e camminare tra quelle immani suppellettili del pensiero, dell’arte, dell’amore passato. Eternamente condannato a inginocchiarmi di fronte a esse, eternamente condannato a cercare un orizzonte libero dalle loro ombre, al quale affacciarmi.

Distaccato da me stesso, dagli altri, dalla vita, testimone di una biologia in declino. E inspiegabilmente, a volte, felice.

 
La tecnica. Come se davvero contasse qualcosa. Non servono tecnologia, ideologia, progresso. Serve un cielo nuovo in cui riflettersi. Non ha importanza tutto questo balletto su coppie gay, adozioni, uteri in affitto, migrazioni, capitalismo. Serve solo un po’ di silenzio. Il brusio ininterrotto di questa umanità spaventosa, arriva fino a un certo punto poi svanisce. Rimane lo spazio, immenso, nero. Dove questi idioti non possono arrivare.

La specie umana si modifica. Perde in intelligenza e guadagna in capacità di utilizzare congegni di cui non sa l’origine e il funzionamento. È un idiota a sette miliardi di teste.

Le teste aumentano sempre di più. È un immenso organismo che divora tutto in nome di una visione sfocata, una fame atavica di vita che non conosce ostacoli. Edifichiamo civiltà su ipotesi azzardate e queste durano millenni. Siamo la trappola perfetta di Dio.



mercoledì 24 febbraio 2016

L'Era dell'Autocensura




“Se ne deduce che egli (Pasolini) pensa ad una società in cui pochi schiavi eterosessuali, a cui è proibito l'aborto, dovranno continuare a partorire degli eletti di classe superiore a cui sia invece consentita la libera e aristocratica pratica dell'omosessualità”

Umberto Eco, 1975

 

“Nella nostra società non è del tutto vero che gli omosessuali siano discriminati e perseguitati. [..] vengono discriminati gli omosessuali poveri. Gli omosessuali ricchi hanno diritto alle loro "pratiche preferite". [...] non sarebbe il caso di smettere di dire "noi omosessuali", per cominciare a dire "noi omosessuali proletari" e, all'occorrenza, "noi proletari"?”

Umberto Eco, 1975

 

Qui Eco, malgrado (credo) lui stesso, ha espresso una vera profezia sul futuro che ci aspetta. All’epoca tutto questo aveva il sapore di una battuta. Nel 1975 Eco poteva ancora permettersi queste uscite sul Corriere.

Dopo, morto Pasolini, è stato preso dai sensi di colpa, presumibilmente.

In seguito, il dissolversi del comunismo e dei partiti, aprirono una nuova era. I susseguenti vent’anni di berlusconismo avrebbero talmente tanto assorbito ogni aspetto della realtà, che non ci sarebbe stato più posto per altro. Individuato un nemico che vada bene a tutti, l’intellettuale si rilassa.
Una cosa però, è certa: quella libertà che avevano allora i cosiddetti intellettuali (tutti quelli che se la volevano prendere), di dire qualunque cosa pensassero veramente, giusta o sbagliata che fosse, non esiste più.
Il Soviet Europeo non ha nemmeno bisogno di censure: ci pensano gli addetti stessi ad autocensurarsi, con una auto programmazione cerebrale senza precedenti.
Il motivo è, di base, uno solo: la pagnotta.
Questa pagnotta ha veramente un grande valore, mi sa.
Un giorno, tra tanti anni, se chi ci sarà (tolto il tempo impiegato per sopravvivere) ne avrà voglia, studieranno questo curioso fenomeno.
Chiameranno quest'epoca, l'Era dell'Autocensura.

martedì 23 febbraio 2016

Il barcone va avanti da sé




Il mondo mi sopraffà, inevitabilmente. Mi sento superato in ogni cosa che penso, credo e vivo. C’è da smarrirsi, come su un pianeta straniero, di cui non si conoscono la lingua e le usanze. È colpa mia, di sicuro, non mi sono aggiornato, anche se credevo di averlo fatto.

Certo, se guardo fuori dalla finestra, il mondo è sempre quello: alberi, case, cani che cagano nei giardinetti, passanti che si affrettano per andare chissà dove, il traffico, lo smog, il cielo che attraversa tutte le sfumature possibili tra il blu, il grigio e il rosa –

Dov’è allora, l’orribile sensazione che mi sto perdendo qualcosa?

Qui, ora, non c’è peccato. Il dolore avvampa solo quando guardo la TV o il web o leggo qualche giornale: allora la sensazione che mi assale è che il cosiddetto consorzio civile sia diretto da gruppi di clan collusi tra loro, una banda di cialtroni ben pagati per dire quelle che sono, come minimo, delle inesattezze perpetue.

Nessuna perplessità sulle immigrazioni: le cause, i numeri, l’inserimento, dove li mettiamo, il fatto che siano quasi tutti islamici –

Nessuna perplessità demografica: mai un sospetto che siamo troppi, anzi molti hanno il coraggio di parlare di inverno demografico –

Nessuna perplessità sul nodo storico del lavoro: il lavoro è ormai inutile, ma viene usato come arma formidabile di ricatto contro intere classi sociali e sbandierato come vessillo elettorale. Solo che ormai per lavoro si intende l’epopea quasi western delle PMI.

Loro sono protagoniste e il vecchio Cipputi stia chiuso in cesso a curarsi la prostata.

Nessuna perplessità su alcuni nodi storici: la Resistenza, la Shoah, il comunismo, il novecento in generale, gli USA –

Nessuno che critica MAI le opere letterarie, teatrali, musicali, che il collettivo industrial – culturale decide di promuovere. Le critiche le si possono fare solo su alcuni fenomeni stranieri e sempre molto garbatamente: il risultato è la sensazione estraniante che siano tutti, più o meno, sempre sulla stessa lunghezza d’onda, il che è perlomeno sospetto.

Nessuna perplessità sull’obiettivo della crescita: è evidente che siamo in un epoca di declino capitalista, il sistema, semplicemente, è saturo. Orbene, in questa situazione evidente anche a un imbecille, le vene dell’opinione pubblica vengono dopate con dosi massicce di “ripresa”, “crescita”, “eccellenza”, “progresso” e le voci contrarie vengono ignorate o, qualora per qualche motivo non possano esserlo, denigrate, sminuite, avvilite, vilipese, scartate.

È un sistema che si autoalimenta con l’inganno. Un sistema mondiale, colossale, di autoinganno. Una rete satellitare di mezze verità, illusioni, vere e proprie bugie, omissioni.

La cosiddetta gente comune, nasce, vive e muore nella irrealtà.

In un mondo dove una cosa e il suo contrario convivono senza che nessuna delle due assuma i contorni di una verità condivisa, l’ansia non può che prevalere.

Il desiderio di fuga corona tutto.

In Italia la cosiddetta sinistra è ormai un cadavere vivente che azzanna chi gli sta intorno, un vero e proprio zombie che gorgoglia dalla sua bocca fetida promesse impossibili da mantenere. È un Frankenstein creato con tronconi del vecchio PCI, della vecchia DC, del vecchio PSI, del vecchio … del vecchio, insomma. L’età anagrafica dei protagonisti è ininfluente. È la stessa merda che si rigenera per partenogenesi.

Vittima epocale di un senso di colpa cronico, dovuto al fatto di sentire oscuramente di avere alimentato più che altro leggende su se stessa e di essere l’incarnazione della più odiosa e ipocrita borghesia salottiera – industriale - comunicativa, la sinistra difende a spada tratta le “minoranze”: impone la difesa delle “minoranze” ai poveri cristi in piena lotta sociale, getta in faccia alla classe medio bassa le “minoranze” da sostenere irrorandola di sensi di colpa e propaganda, serie TV e programmi di cucina.

Ottiene così di non rappresentare mai veramente fino in fondo il paese. E si domanda il perché.

Vive, la sinistra, in preda al suo immaginario letterario, soffre costituzionalmente di incapacità di vedere la realtà. Fa i suoi sporchi interessi completamente convinta che siano interessi collettivi. È assurdamente sincera nella sua ipocrisia: un caso da DSM-IV di dissociazione collettiva.

La sinistra sarebbe veramente da psicanalizzare. E in Italia, in buona sostanza la “realtà” propinataci quotidianamente in TV è di sinistra. I suoi seguaci più profondamente ipnotizzati sono i cittadini con un livello di istruzione superiore: questo la dice lunga sulla differenza tra avere un’istruzione superiore e possedere capacità critiche.

La destra è invece ormai (per fortuna, direi) l’ombra di se stessa, ridicola nel difendere concetti – contenitore come “identità nazionale”, confini”, “bandiere”, “altolà all’immigrazione” pur con un blando accenno alla “ripresa”: niente insomma, che possa smuovere le masse, tranne che per un ricorso alla “pancia” della nazione, ma senza alcuna proposta accettabile.  La Le Pen e Salvini difficilmente faranno la differenza in un’Europa che sta andando a ramengo. Qualora avessero la maggioranza (ma non è affatto scontato che possa succedere), potrebbero fare ben poco e lo sanno anche loro. L’inerzia spaventosa  del colossale baraccone non la fermi con qualche veto o slogan o legge simil razzista.
I loro sono slogan per vincere le elezioni alla faccia degli idioti.

La destra più intellettuale è ancora alle prese con Evola, Drieu la Rochelle, Gentile, persino Pasolini, con un recupero tardivo e impossibile del fascismo e con l’annettersi alcune figure storiche “ibride”: tentativi che hanno un loro fascino ma che aumentano il guazzabuglio infernale delle opinioni. Il vero cavallo di battaglia della destra intellettuale è  lo sputtanamento della “sinistra” (e in questo raggiunge livelli impareggiabili, davvero godibili: ma è come sparare sulla croce rossa).

Insomma le sponde dell’utopia sono lontanissime, invisibili. A nuoto non ci arriveremmo mai. Si affacciano scenari inquietanti, alla Houellebecq? Difficile da dire.

Finché il barcone regge, la pseudo democrazia nella quale viviamo può ancora sfoggiare i suoi mille travestimenti.

Se il barcone dovesse affondare… beh, veramente, si salvi chi può.

L’inerzia è lunga, lunghissima ancora … forse.

I clan di cialtroni che comandano sanno che conviene a tutti mandare avanti questa fiera delle vanità. I disoccupati si crogiolano nell’idea che domani, forse, vinceranno un Milionario, oppure troveranno posto nell’azienda del cugino di secondo grado.

I migranti pensano di venire qui e trovare il sol dell’avvenire. Conviene farglielo pensare, da qualche parte come esercito di lavoratori di riserva (come diceva Marx) li possiamo mettere e insomma dopo non sono cazzi nostri, pensano. Ma sì, un po’ di polizia, qualche muro, qualche associazione culturale, qualche fiction TV dove sono tutti buoni e integrati e in qualche modo altri trenta milioni di poveracci possiamo farceli stare.

E il barcone va avanti per un altro po’, e le sponde di utopia sono laggiù da qualche parte in mezzo alla nebbia.

Tanto nel lungo termine, come si dice …

giovedì 18 febbraio 2016

Tarde divagazioni tardo capitaliste


Questo veramente sarebbe Osho, non Padre Pio, ma la somiglianza è inquietante ...
anche se qui Osho ne guadagna dal punto di vista estetico ...






“Incoraggiandoci a restare concentrati su noi stessi e sulla nostra felicità individuale, il Do what you love ci distrae dalle condizioni di lavoro degli altri e al tempo stesso conferma le nostre scelte, sollevandoci da qualsiasi responsabilità verso tutti coloro che lavorano anche senza amare quello che fanno. E’ la stretta di mano segreta dei privilegiati e una visione del mondo che maschera il suo elitarismo da nobile aspirazione a migliorare se stessi.”

 

“Se crediamo che lavorare come imprenditore nella Silicon Valley o pubblicista in un museo o come ricercatore in un istituto sia essenziale per essere persone autentiche -in pratica, per amare noi stessi- cosa crediamo delle vite interiori e delle speranze di quelli che puliscono le stanze d’albergo e riforniscono gli scaffali di un grande magazzino? La risposta è: niente.”

 

Miya Tokumitsu “Do What You Love
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Viviamo nel triste mondo dell’economia, con tutti i suoi derivati tecnologici o anche finto – rurali. Le metafisiche spicciole delle varie new age non sono derivate da antichi insegnamenti, ma dalla spettacolarizzazione degli stessi.
Andiamo avanti a tutta forza verso il muro che ci attende, come specie. Ne sembriamo entusiasti. Direi dunque che non c’è da preoccuparsi.


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Io non so se negli ultimi anni, in queste Cronache, ho scritto essenzialmente delle stronzate. È possibile. Non le cancellerò , tuttavia, lascerò tutte le ingenuità, i partiti presi, le affermazioni presuntuose, le mefitiche lamentele, i borborigmi pessimisti, nichilisti, gli slanci malinconici, le teorie fumose, le affermazioni poco originali, le calamitose invettive e tutte le simpatiche corbellerie che il mio (mal)umore mi ha suggerito fino ad oggi.
Lascio tutto com’è.
Lassar tutto come la sta, dice Goldoni.
Prego chiunque (una mia preghiera narcisista) si chinerà su questi fogli o pixel, tra qualche decennio (se mai accadrà, peraltro) di avere un po’ di indulgenza. Non ci siete obbligati, sia chiaro. E forse, essere mandato a quel tal paese è soluzione buona e giusta.
Vorrei potermi appellare a te, lettore, come già fece Baudelaire, chiamandoti “mio simile, mio fratello”. Ma la verità è che non ti conosco e non ti conoscerò presumo mai e che potresti essere diversissimo da me e infinitamente migliore, qualunque cosa voglia dire “migliore”. O infinitamente peggiore e vale la stessa perplessità.

E dunque qualunque cosa succeda, va bene.

Qui c’è semplicemente una certa parte della vita interiore di un comune individuo dotato di cultura medio alta del primo quarto del XXI secolo.

Un eterno aspirante vissuto nel periodo storico del “quarto d’ora di gloria per tutti di stile Occidentale tardo capitalista”.

Tutto qui. Sono un sette miliardesimo di umanità. All’incirca e in rapido aumento: la frazione, intendo.

Detto questo, vado avanti. Oggi è il 18 febbraio 2016.

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Hanno scoperto le onde gravitazionali. Einstein aveva ragione. E chi ne dubitava?

L’universo è una rete, anzi, un tessuto gommato, anzi, una trama piena di buchi.

Siamo in grado di usare i cellulari perché Einstein aveva ragione. Io a 14 anni ho letto la biografia di Einstein perché era dei pesci pure lui e la cosa mi inorgogliva. Era una strana persona, un misto di egoismo e santità. Non come Padre Pio, però.

Perché non portano la salma di Einstein in qualche luogo per essere riverita? Forse è stato cremato. È per quello, di sicuro. Non può essere più importante Padre Pio di Einstein. Che cazzo ha fatto Padre Pio? Fa funzionare i cellulari, Padre Pio? Sa fare solo dei miracoli di cui peraltro viene data una sola versione, senza controprova. Sa solo trasmettere (ai suoi devoti) un odore dolciastro di rose, che sarebbe l’odore della santità. Per indicare la sua presenza, cioè quella della sua anima. È un marcatore di territori dell’anima, Padre Pio.

Einstein invece se ne fregava. Lui pensava che credere che ci sia un’anima che sopravviva alla morte fosse un pensiero molto stupido.

No, meglio continuare a usare i cellulari per seguire le notizie su Padre Pio e non pensare a Einstein. Lui miracoli non ne faceva, non li riteneva necessari, come Spinoza.

Spinoza cosa avrebbe pensato di Padre Pio?

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Io sono favorevole a tutto: utero in affitto, matrimoni gay, possibilità (creata dalla futura tecnologia) di partorire dal culo. A quest’ultima ipotesi, probabilmente non sarebbero favorevoli i gay stessi. Il culo a loro, serve per altre cose ed è infinitamente più delicato (credo) di una vagina.

Ma stiamo divagando.

Io sono, come dicevo, d’accordo su tutto. Sono a favore dell’estinzione della famiglia o del suo mantenimento sotto forme più variegate. Sono per l’abolizione dei bambini, cioè volevo dire, delle problematiche che impediscono ai bambini di avere due meravigliosi genitori vegani, omosessuali, pacifisti, antivivisezionisti, pro life, proattivi, con le vitamine, professionisti, professionali, ma soprattutto carichi d’amore.

Un bambino, suvvia, non si nega a nessuno.

Il diritto al bambino è il perno della nostra società. Sono così carini, bellini, simpatici, poi ho trovato un paio di scarpine Prada da urlo, in saldo … e le tutine? Hai visto le tutine?

Carini, i bambini, il nostro futuro sgambettante, sembrano noi, ma sono più piccoli, è il nostro futuro che cammina, con quei cappellini così bellini, guarda, l’ho pagato solo venti euro (il cappellino, non il bambino, stupido ...). E poi ci sarà più lavoro per le tate, il mondo delle tate fatato, il tafato mondo delle tafe, il tatato mondo delle fate … insomma, non ci sono discussioni, io sono d’accordo su tutto.

E poi le nevrosi ce le avevamo noi con il vecchio tipo di famiglia!

E su questo sono veramente d’accordo! La famiglia di una volta, papà, mamma, due tre figli … la vacanza sulla riviera romagnola … il papà con la pancia, la mamma con i bigodini, la Domenica Sportiva, la visita ai nonni … che palle!
Di mamma ce n'è una sola ... pure troppa.
Quella famiglia faceva cagare. Una noia mortale. Ci si salvava solo perché a una certa ora si scendeva in cortile. Per il resto, le ore vuote inducevano alla nevrosi. Ora siamo in un mondo più colorato! E meno maschilista, finalmente. Più empatico, meno grossolano. Oggi la gente si sa vestire, finalmente! Mica come negli anni 70, 80. Noi siamo il futuro.

Noi combattiamo le sfide di questo futuro. Siamo tutti imprenditori di noi stessi e ci vestiamo bene. La nevrosi è una stronzata del passato.

Questi del futuro, mica ce l’avranno la nevrosi … la nevrosi non è più di moda. Avranno tutto quello che gli serve, ma soprattutto l’amore.
Oggi l'uomo crede nell'amore. Basa tutto sull'amore. Il futuro è amore.

Carrettate d’amore. Scriveranno libri pieni d’amore, gireranno film pieni di amore, l’amore scorrerà come una corrente benefica su tutto il pianeta.

L’amore è l’onda gravitazionale!

Già stanno preparando i cartelloni 24 x 20 da attaccare ai grattacieli

PREPARIAMOCI A FARCI INVADERE DALL’AMORE

Il futuro del mondo è così pieno d’amore … io lo vedo questo amore che sta per arrivarci addosso. Persino i terroristi islamici crolleranno di fronte all’amore … perché è amore vero.

Si toglieranno i passamontagna neri, brinderanno, balleranno, spareranno in aria dalla gioia … il mondo liberato dalle angustie di vecchi pensieri e vecchie nevrosi.

Tutti insieme nel reparto abbigliamento maschile della Rinascente.

I cocktail si chiameranno Shock Gravitazionale … andremo a braccetto tutti.

Siamo la generazione che vedrà compiersi l’amore sulla Terra.

No, le nevrosi sono cose del passato … ti pare che ci stiamo ancora perdendo in certe cose.

Ora ti lascio che sto per partire, vado a gestire un progetto interculturale nel Togo.

Sì, una cosa fighissima,  costruiamo gonfiabili dove tutti questi bambini (vedessi bellini sti negretti co’ sti occhioni) possono giocare e interagire con moderni software che gli insegnano a giocare meglio. Certo che gli diamo anche da mangiare. Vedessi bellini che sono. Sono il futuro. Guarda il video. Guarda bellini.


PS. Le formattazioni di blogspot mi stanno sfiancando.

venerdì 29 gennaio 2016

Piccoli appunti di letteratura contemporanea (italiana)




Verrebbe da dire, "sì ma basta con questi nipotini di Bukowski allungati in salsa Gadda con una spruzzata di Pasolini e sheckerati con Bernhard". Tutti i suddetti scrittori sono morti e inimitabili. Perché non cercare una voce che sia solo la propria?
O meglio ancora tacere? Ma quest'ultima possibilità non è considerabile. Nessuno di loro, nessuno di noi, tacerà mai, almeno finché lo sfacelo sociale in corso riporterà l'umanità a un livello primitivo accettabile.



Moresco è un curioso misto di ingenuità, follia, dismisura e ostinazione. Non so se è un grande scrittore veramente (presumo non lo saprò mai), ma di sicuro ha una tenacia sorprendente. I suoi malloppi metafisico – fumettari hanno appeal per i consumatori letterari di un certo livello. Il gioco in essi, dura solo finché ti sforzi di non scoprirlo.

Gli increati ha un piglio metafisico, ma in fondo è un fumettone, un misto tra il Buzzati del Racconto a fumetti e il Philip Jose Farmer della quadrilogia del Fiume della Vita. Per la gioia degli intellettuali nostrani ci mette in mezzo anche Pasolini, giusto perché non poteva mancare. Moresco mi piace. Voglio dire, mi piace lui: i suoi libri non riesco proprio a giudicarli. Non so se mi piacciono. Devo metabolizzarli. Ha un suo mondo e questo è già qualcosa. Lui ha qualcosa che gli altri non hanno. Una tensione verso l'assoluto molto poco contemporanea. Basta questo a rendermelo degno di rispetto.


Alla mia età penso di poterlo dire senza peli sulla lingua: Bukowski ha rovinato almeno tre generazioni di lettori/aspiranti scrittori. Il tono da "marginale che però cammina in mezzo alla gente come un re perché solo lui sa (gli altri no, ovviamente) che 'tutti sono stronzi e possessori di un buco del culo, voglio dire, ci avete mai pensato che tutti hanno un buco del culo? C'è da impazzire" è troppo allettante perché non ci si caschi almeno una volta. Peccato che Buk lo facesse quarant'anni fa e alla terza volta pure lui annoiava.

Chi è il più grande scrittore vivente? Rispondere a questa domanda è un modo per procurarsi nemici. Per cui non riponderò. Non perché io non sappia chi è il più grande scrittore vivente. Lo so ma ... non lo dirò mai.

Non discuto la letteratura di consumo (non di genere, non sempre le due cose coincidono, come qualità). Non mi interessa, ma  non la critico, esiste, tutti devono campare e così sia.
La letteratura che ha pretese culturali, quella ... nemmeno quella discuto. E' inutile discuterne. Questi sono semplici appunti, mica dichiarazioni di guerra.

I guai della letteratura contemporanea italiana sono Calvino e Pasolini. Due giganti (discutibili entrambi, ma giganti) che schiacciano le povere teste pensanti.
Io da parte mia, con la mia testa piena di stronzate, ma povera di pensiero, non ho nessun tipo di propensione né per l'uno, né per l'altro.
Io tra gli italiani prediligo Buzzati, Berto, Parise. Tutti veneti, sarà un caso. Tutti così poco ideologici. Tutti con una sottile carica di anti umanesimo, Parise suo malgrado.
Anche loro morti da tempo, ahimè, "tracimati" come direbbe Moresco.

Barocco non è Gadda, dice Gadda. Barocco è il mondo. Ma oggi il mondo è meno barocco, meno lussureggiante di quello che sembra. E' una proliferazione continua, sì, ma delle stesse cose, come le cellule tumorali, che non si diversificano, riproducono solo se stesse fino a uccidere l'organismo a cui appartengono.

Oggi vincono gli zombie. Le putrefazioni verranno affrettate dal cambiamento climatico di cui, a proposito, non vi è accenno in tutta la letteratura contemporanea italiana.
Si denuncia tutto, tranne quello (forse Moresco ne parla e infatti lui è diverso).
Non si vuole dedurre il male vero che appesta l'ecumene, cioè l'atroce proliferare e inquinare delle genti, l'invasione senza scampo della miseria materiale e spirituale, lo spettro di Dio che esala dalle pianure.

Oggi, come sempre, vince l'incomprensibile formattazione di blogspot.

giovedì 28 gennaio 2016

... E ancora scrivere



E sono ancora qui, a tentare di scrivere qualcosa di diverso. È la mia passione, maledizione, ossessione, come se avessi puntato tutto su una singola posta e questa non uscisse mai, come se avessi infilato la testa in un cancello e non riuscissi più a tirarla fuori, come se fossi in un vicolo cieco con la fronte contro il muro e non sapessi girarmi. Se rinunciassi, mi dico, se rinunciassi. Ma non ce la faccio. Non ce la faccio. Sarebbe meglio per l’umanità, forse. Un imbecille in meno da sciropparsi. Ma non ce la faccio. Questo è il mio pezzettino di vita. Non riesco a non scrivere. Non riesco a non rendermi ridicolo.

Scrivere per respirare, dilatare i polmoni, uscire dalla tomba

Scrivere come se fosse un dio metallico a dettarmi le parole, spezzate e diverse, echeggianti nei corridoi della memoria

Scrivere per non darla vinta a chi dice che dovrei smettere di scrivere

Scrivere come una promessa che ho fatto milioni di anni fa, quando le costellazioni erano diverse ed ero un giovane e felice dinosauro

Scrivere per scoprire se esiste il nuovo, dopo me stesso, dopo il mondo, dopo la morte

Scrivere per gonfiare le vele del tempo, renderlo eternamente felice

Scrivere per dare forma alle mattine di sole

Scrivere per sentire le voci

Scrivere per capire le voci

Scrivere per parlare con i morti

Scrivere come un grande dono d’amore al deserto e ai suoi fiori

Scrivere di un mercoledì di autunno

Scrivere di un bagno pubblico e di un’estasi religiosa

Scrivere una lettera d’accompagnamento per Dio

Scrivere di un dolore precoce e una tarda felicità

Scrivere per non cancellare niente

Scrivere per cancellare tutto

Scrivere di un’attesa mai conclusa

Scrivere del sonno, del sogno, della tenebra

Scrivere da un’orbita geostazionaria posizionata sull’Antartide della mia anima

Scrivere a te che non leggerai mai

Scrivere a te proprio perché non leggerai mai

Scrivere per nascondermi

Scrivere per rivelarmi

Scrivere perché non mi basterò mai

Scrivere perché la mia solitudine è come un palo conficcato in una laguna morta

Scrivere diecimila cose diverse che sono una

Scrivere perché voglio contenere l’oceano nei miei pensieri

Scrivere come se stessi precipitando

Scrivere per sentire il plesso solare espandersi, le lacrime scendere

Scrivere per sentirmi come Buster Keaton

Scrivere immaginando mille epitaffi per una sola tomba

Scrivere scavando nel ridicolo, quello che non fa ridere, ma che taglia
 
 
 

sabato 16 gennaio 2016

Pensieri nani 19




Buon anno, con un po' di giorni di ritardo, ai miei affezionatissimi 1/2/3 lettori.

Vi auguro molta felicità, è possibile anche in piena recessione mondiale, anche in piena era Renzi.

Capodanno a Valeggio sul Mincio. Cose già viste e nuove esperienze del morituro. Abbiamo molti domani di cui occuparci. Dobbiamo plasmarci. Dobbiamo finalmente incarnarci in splendidi uomini del futuro quali ormai siamo da decenni.

Abbiamo mollato gli ormeggi, ormai. E qualunque cosa accada, siamo sotto nuove costellazioni.


Naturalmente la felicità consiste nel vivere in campagna, a dimensione agriturismo.
E' una dimensione da consumatore incallito di emozioni.

La sera, cena “biologica”.

Buona parte della condizione umana si può spiegare con il fatto che Esaù è antipatico a Dio, così, senza nessun perché. Allo stesso modo il Signore ignora qualsiasi offerta di sacrificio di Caino a favore invece delle offerte di Abele, che trova consenso ai Suoi occhi.
Non c’è perché. Caino non era più cattivo o più stupido di Abele. Semplicemente Dio aveva deciso di ignorarlo. L’odio cresce nel cuore di Caino che uccide il fratello per gelosia. Caino non può sottrarsi alla colpa, tuttavia è stata l’opera di Dio a metterlo in tentazione. Dio ha operato un’ingiustizia perché Egli può decidere del tutto arbitrariamente, a chi concedere i Suoi favori e a chi no, in modo del tutto libero. L’uomo può solo subire, come Giobbe, come Caino, come Esaù, come tutti gli sconfitti della storia. Caino avrebbe dovuto arrendersi, rinunciare ai suoi desideri, rinunciare all’amore di Dio, che non l’avrebbe mai scaldato. Avrebbe dovuto mantenersi puro, ma il male corrode chi non viene amato. O forse c’è ancora qualcos’altro.
La condizione umana deriva da Caino, Giobbe, Esaù, dalle loro reazioni, dal loro dolore.
Descartes consegna tutto alla ragione astratta. Pascal alla ragione del sentimento.
Descartes reagisce alla morte della figlioletta elaborando la res extensa, Pascal reagisce alla sua debole salute e all’incidente con la carrozza, con la “sottomissione” totale a Dio in Gesù Cristo. Nasce l’uomo occidentale, cartesiano e pascaliano.


Morto David Bowie. Un altro pezzetto del mondo che conoscevo si stacca. Le sue canzoni mi accompagnano da sempre. Quando toccherà anche a Peter Gabriel il mondo rimarrà per me quasi completamente muto.
Bellissimo, comunque, il suo ultimo brano - video "Blackstar. Ci sono rimandi alla "Villa di Ormen", la Città del Serpente e all'influsso negativo delle religioni, ma il significato potrebbe essere tutt'altro, chi sa. So solo che è bello in modo inquietante.
Se ne avrò tempo, ne posterò un'analisi delirante, così, per divertirmi.
Ormen (Serpente) è anche il titolo di un romanzo di Stig Dagerman, un autore semi sconosciuto in Italia, ma che andrebbe riscoperto.
La pesantezza degli anni. E davvero, è come se ogni anno aggiungesse un fardello gravitazionale in più. Sei sempre più ancorato a terra, sempre più dentro essa e il cielo ti è precluso. Forse si tratta di un passaggio. Dopo la morte torneremo lievi. Ashes to ashes.
 
Non sono donna, non sono giovane, non ho nessun interesse per i social, non credo nella maniera più assoluta a nessuna delle cose che vengono spacciate dai media come opinione comune: ergo, non ho speranze. Ma sono contento. Non si creda che non lo sia. Sono più contento che mai.
Se non ci sono più Lou Reed, Pino Daniele, David Bowie, non si sa più bene a che squadra appartenere. Le nuove generazioni incalzano, come è giusto che sia. Da loro verrà il nuovo. E nessuna rivoluzione. Solo qualche rivolta. L’unica vera rivolta al mondo occidentale è rappresentata dall’ISIS il quale non è certo quel che si dice una ventata di progresso. Meglio rimanere come siamo.
Seguire la leggerezza, qualunque cosa sia. Tornare alle radici della realtà. Il mondo cambia ed è sempre lo stesso. Non fare l’errore di preoccuparti di qualcosa.
Sono contento di esserci, in questo 2016, qualunque cosa porti.
La vita è un respiro fresco, un aliseo che soffia instancabile e spazza via la pesantezza, il dolore e la morte. Sono le arterie che si ossigenano che si aprono, richiamano vita vita vita vita. Respira respira respira respira respira respira respira respira respira.
È un peccato che l’anima prenda sempre più “corpo”, man mano che il corpo si disgrega. Senza corpo, l’anima ormai formata è destinata a dissolversi, come una polvere dorata nel vento di marzo. La natura viaggia per contraddizioni.
Si oscilla tra ragione e sottomissione. Sempre. Non si è in grado di stabilire cosa sia meglio. La sottomissione può portare a un certo grado di felicità, non si sa quanto illusoria. La ragione può portare alla sua antitesi, la follia. No, non è esatto: la follia non è l'antitesi della ragione, bensì la sua decomposizione.
L’unica cosa è farsi sorprendere. Stupore, meraviglia.
Per esempio, non finiscono mai di stupirmi le deliranti formattazioni di blogspot.