Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

martedì 7 agosto 2012

La democrazia è la dittatura del XXI secolo


Tu dici, la fine della Storia. Quella con la maiuscola, naturalmente, le nostre piccole storie minuscole non entrano qui. Tu dici, dunque, la fine della Storia. E io chiedo, quale Storia? Cos’è la Storia: un insieme di date, eventi tipo le Crociate, lo Sbarco in Normandia, la nascita e l’estinzione di una sconosciuta dinastia africana nel Congo del X secolo? Quando è iniziata la Storia: con i rotoli babilonesi, con l’invenzione della ruota? E quando è finita, con il crollo del Muro di Berlino, con la fine dell’URSS? E quando è ricominciata: forse in questo fastidiosamente troppo simbolico 11 settembre 2001? Cos’è la Storia, oltre che una ininterrotta serie di eventi per lo più sanguinosi? È curioso pensare invece che eventi epocali come il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS siano stati privi di spargimenti di sangue. È come se il gigante stanco si sia abbandonato alla morte e migliaia di vermi siano fuggiti dal suo immenso corpo in decomposizione. La fine della Storia, dici. Vediamo di capire. Il concetto di fine della Storia è essenzialmente hegeliano.
La Storia è un fiume le cui acque vorticose si devono placare nell’oceano della fusione di Concetto e Tempo, cioè del sapere e del soggetto, coscienza giudicante e coscienza agente. Tutto avrà termine nell’estrema riconciliazione, nell’omogeneità delle vite, in un mondo in cui tutti i bisogni di tutti saranno appagati. Questa suprema conciliazione, per Hegel, è il dominio perfetto dello Stato, non come si immagina di solito, lo Stato prussiano: Hegel ha passato gli ultimi anni di vita nel “crepuscolo” come lo chiamava, cercando di trovare “la rosa nella croce del presente” lamentando l’insufficienza della Ragione. L’immagine futura dell’Assoluto integrato, Hegel non la conobbe: è lo stato stalinista. Non, come si potrebbe pensare, il regime hitleriano: il Terzo Reich era assai poco ambivalente, i suoi fini erano troppo evidentemente distruttivi. Lo stalinismo è dunque il prodotto finale della Storia. Lo stalinismo è sanguinario, crudele e perfetto. Proprio per questo è il modello perfetto di Stato, il modello perfetto di mondo nel quale avviene la riconciliazione di tutte le contraddizioni, attraverso la forza, l’astuzia, l’inganno, la delazione, l’esilio, la morte, ma anche la lusinga, l’adescamento, la finta benevolenza. Come non vedere che, in qualche modo nascosto, cupo e terribile, lo stalinismo è il desiderio nascosto di ogni democrazia, ciò che ogni governo democratico vorrebbe inconsciamente essere? Non per niente Debord parlava dello stalinismo come del regime dello spettacolare “concentrato”. Ora viviamo nel regime dello spettacolare “diffuso”. Come non vedere l’istinto di morte che, mentre viene cacciato dalla porta, rientra dalla finestra? Hegel sperava in una riconciliazione pacifica delle contraddizioni, vedeva nella fine della Storia, la vera prima manifestazione dello Spirito Assoluto nel quale l’uomo, definito da lui il Concetto, potesse esprimire il proprio pieno potenziale, contribuendo alla collettività, felice di dare la vita per essa, in quanto l’individuo esiste solo dentro la collettività. Non si può pretendere troppo da un uomo vissuto tra il 1770 e il 1831. Tuttavia Hegel sapeva che il Concetto, la filosofia, la sapienza che è anche (forse) speranza, giungono sempre troppo tardi, sul far della sera come la nottola di Minerva. Arriva, cioè, quando la guerra e la stupidità hanno già devastato nazioni e cuori. Hegel vedeva la fine della Storia allontanarsi sempre più, come l’orizzonte al quale una nave tende ad avvicinarsi senza tuttavia poterlo mai raggiungere. Raggiungerlo veramente, significherebbe arrivare alla fine del mondo, e precipitare nel nulla ma il mondo è una sfera e dunque non ha mai fine, e il nulla è tenuto fuori, come se si fosse nell’utero materno. Il mondo non ha neppure inizio. Forse non inizierà mai, forse l’utero-mondo non partorirà mai qualcosa degno di vivere. Hegel è rimasto così, avvolto in un infinito crepuscolo fino alla morte per colera. Sarà dunque morto sostanzialmente cagando fuori l’anima. Avvolto dai fumi della febbre la sua coscienza giudicante avrà perso molta della sua proverbiale lucidità. Decisamente quel giorno del novembre 1831 per lui la Storia fu finita.
Cos’è dunque la Storia? Sicuramente un flusso di eventi specificamente umani che tendono tutti al soddisfacimento di desideri più o meno uguali ma contrapposti. In sostanza la Storia è la storia di chi vince la gara per la sopravvivenza. La Storia è storia della classe dominante e dei suoi schemi difensivi, ideologici e psicologici. Da qui deriva l’illusione che con la fine pressoché spontanea dell’URSS la Storia potesse assestarsi su un indefinito ordine mondiale, più o meno pacifico, retto dal mercato globale e dalle concezioni liberali, cioè meno Stato possibile e più possibilità di speculare per tutti. Qui l’Occidente, o meglio, la classe dominante dell’Occidente, ha commesso un grosso peccato di arroganza. Ha creduto che i conti fossero ormai chiusi, una volta liquidato il suo vecchio nemico, l’Est. L’Occidente arrogante ha preferito ignorare, ritenendoli innocui o controllabili, i residui della sua antica lotta contro l’impero sovietico. Vale a dire tutti i terroristi e i fanatici integralisti, coccolati e addestrati per far fuori Ivan. Tutti noi, nati al tempo della Guerra Fredda, siamo vissuti così, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Dopo il Crollo, i cattivi si sono sparpagliati in giro e gli alleati dei buoni (ovviamente, gli occidentali) gli si sono rivoltati contro. Abbiamo vissuto per decenni in un mondo diviso da uno specchio. E ognuna delle parti rifletteva l’altra. Ora lo specchio è andato in frantumi e in cosa l’Occidente si può specchiare, ormai? Ora, tutto è Occidente, è tutto ciò che è contro di noi è brutto, straccione, fondamentalista, Altro, troppo Altro. Noi rifiutiamo di specchiarci nel nuovo specchio che è sorto dalla macerie nel frattempo. Rifiutiamo di  vedere la nostra immagine rozza e violenta che ci viene rimandata dai paesi poveri, dai paesi che bombardiamo. Fingiamo, fingiamo che la Storia sia finita, che d’ora in poi ci saranno solo guerricciole infinite di aggiustamento per eliminare chi non ci somiglia troppo, ma che sostanzialmente la nostra visione del mondo trionferà. Dobbiamo essere tutti democratici e tutti commercianti, in un modo o nell’altro. La cosa tragica è che il “nemico” di adesso, il fondamentalismo islamico, il “terrorismo” non propugna una visione radicalmente Altra, che per noi è inaccettabile, come può essere il comunismo, la rivoluzione: niente di tutto questo. Il nemico propugna gli stessi nostri valori, solo distorti, ancora più impoveriti e imbarbariti. Non ci sono più due visioni del mondo che si combattono: esiste solo lo straccione che confida in un Dio arcaico contro il manager in completo scuro che confida nella merce, o meglio, nel business, a sua volta derivazione di un Dio arcaico che nel frattempo si è evoluto. In mezzo a tutto ciò, Mafia e Stato fanno i loro giochetti. Le filosofie orientali sono neutre e anzi in realtà più tendenti a dare a Cesare quel che è di Cesare e anche di più. Business is business. Non a caso tantissimi uomini d’affari e politici orientali fanno mostra della loro fede buddista senza che questa le impedisca di commettere alcunché. Il fatto è che nell’appiattimento ideologico imperante, gli straccioni hanno alzato la testa. Ne fanno una questione di identità, cioè noi contro loro. L’identità è tutto, nel XXI secolo. Più non si capisce cosa cazzo è l’identità, più il tema dell’identità (e per identità si intende per lo più la religione o l’etnia di nascita) diventa cruciale. E la Storia, che non ha mai smesso di tendere al suo vero fine, cioè il godimento estremo della classe dominante, continua a procedere, macinando vite, finendo di fare a pezzi coscienza agente e coscienza giudicante, finendo di far cagare l’anima a Hegel come in quelle (per lui) atroci e definitive notti del novembre 1831. L’unica cosa che consola è pensare che vista dalla prospettiva di un osservatore vivente, che ne so, tra un migliaio di anni, questa contrapposizione in blocchi durata meno di mezzo secolo, con tutte le conseguenze che stiamo vivendo adesso, sarà forse una paginetta o due su un manuale. Quello che rimarrà, saranno invece gli sfracelli ambientali ed economici che avrà prodotto il capitale. La fine della Storia, dunque, dici. Ma la Storia può avere fine solo se c’è un fine. Se il fine è la riconciliazione, la soddisfazione del bisogno, la Storia è un’illusione. Mai nessun fine collettivo è stato realizzato veramente, consapevolmente, tranne il tentativo leninista maoista. E si sa come è andato a finire. Nel mondo cosiddetto “libero” è la stessa cosa. Ho persino il sospetto che, dopo tutto, l’elevato grado di benessere nel quale vive molta gente, sia tutto sommato casuale, non voluto dal potere. Solo in seguito, il potere si è accorto che il benessere delle classi mediobasse gli faceva comodo. Semplicemente, l’espansione dei mezzi di produzione prima e il libero mercato poi hanno consentito, marginalmente, a molti di stare bene. La classe dominante ha bisogno di consumatori, dopo tutto. Forse la vera riconciliazione umana avviene sotto il segno della merce. Da qui nasce l’illusione della Fine della Storia. Il capitalismo produce come surplus, benessere per milioni di persone, un benessere pagato a caro prezzo.
Democrazia e capitalismo sono uniti indissolubilmente. Il gioco della merce ha bisogno di persone libere di acquistarle, venderle, farle circolare. La libertà la si compra pagandola sotto forma di vita degli altri. Il capitalismo non può fare a meno di sfruttare, non può fare a meno della disuguaglianza, non può fare a meno di esternalizzare. Tutti vogliono saltare sul carrozzone. Ma nel carrozzone non c’è posto per tutti. Il surplus prima o poi finisce. Allora chi guida il carrozzone fa finta che sì, il posto c’è, anche se non è così, per prendere tempo, perché gli straccioni sperino, vivano sperando senza che niente per loro cambi mai.
Tu dici che non sai. Non lo so, non lo so che cos’è e cosa succederà, dici.
E invece lo si sa benissimo. Andrà a finire che riempiranno il carrozzone fino a sfondarlo, ma anche fino a un minuto prima della catastrofe riusciremo a far finta che non sta succedendo niente. Non a noi, perlomeno. E allora ci sarà veramente la fine della Storia, forse. Il lungo sonno della merce, dal quale non vogliamo e non possiamo destarci ci condurrà all’oblio. La Storia è sempre staliniana, sanguinaria, crudele, ambivalente, perfetta. E il maggior pericolo di quest’epoca è non vedere che lo stalinismo è il compagno oscuro della democrazia. La democrazia è stalinismo senza Stalin e (quasi) senza gulag. Come lo stalinismo inghiottiva gli avversari del regime, così la democrazia inghiotte gli avversari della merce. Anche la democrazia può essere sanguinaria, crudele e perfetta. La democrazia è la dittatura del XXI secolo, il modello imbellettato di una finta rappresentanza popolare da esprimere a suon di morti ammazzati. La democrazia ha però in sé quel residuo di giustizia per cui, in maniera quasi casuale, a volte qualcuno può farcela, a cambiare qualcosa. Ma mai l’essenziale. Chi tocca l’essenziale muore. Le monde n’est que abusion, diceva François Villon. Il mondo non è che inganno.