Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

venerdì 10 luglio 2015

Pensieri nani 16


L'Absinthe di Leszek Sokół

Beckett aveva ragione da vendere: non c’è niente di più ridicolo dell’infelicità.
Sono un uomo ridicolo e non ho niente a che fare con Dostoevskij, molto più con Fantozzi.

Tenere un diario “intimo” per anni significa rendersi conto di ripetere sempre le stesse cose. Anche questo l’ho già scritto. Ci muoviamo in tondo.



Le dotte (si fa per dire) analisi psicosociali in cui mi producevo fino a un paio di anni fa, mi fanno solo ridere, ora. Sono di un’ignoranza esemplare. Sto declinando. Sto iniziando a marcire senza essere ancora maturo. Il mondo supera in fretta tutti. Ma qual è questo mondo? La TV? Gli addetti alle opinioni? Il mondo è qui, dentro e fuori di me, immenso, inspiegato. Il mondo, la sua presenza, va oltre qualunque stronzata della mia testa o di chiunque. Questa è la mia unica speranza.


Puntare alle stelle e tirare fuori un poliziottesco.
Puntare a Thomas Bernhard e tirare fuori Tomas Milian.


A caccia dell’eterna baldoria, troviamo solo la depressione. La tecnologia va bene. è l’uomo che va male. Se la tecnologia sostituisse l’uomo, sarebbe una cosa rispondente a logica. Ma la tecnologia non sostituisce l’uomo. È l’uomo che si impoverisce a contatto con troppi esemplari di se stesso. L’uomo ha perso il desiderio di pensare, di capire, di cercare. Ha perso il senso di sé. È giusto che venga sostituto da una macchina.
Imbecilli che si agitano al suono dell’ennesimo spot.


Fin che siamo in vita, dobbiamo sperare di poter costruire una società migliore.
Sarebbe bello poter creare qualcosa in cui ci sentissimo fratelli e sorelle, tutti confederati, come dice Leopardi. Siamo soli e abbandonati, dispersi in un universo strano e ostile. Potremmo amarci una volta per sempre.
Sarebbe bello nascere e morire in seno a una comunità di amici.
Sarebbe bello pensare che la sfortuna non esista e che ogni cosa è rimediabile che la morte è solo un passaggio verso una vita migliore e tutte queste stronzate.
Sarebbe bello sentire la pienezza della vita senza doversi per questo scolare un litro di birra.
Sarebbe bello scrivere cose che riempiano la vita delle persone, le facciano volare, superare i propri limiti, desiderare una società diversa, senza arroganza, senza stupidità …
Sarebbe bello fare fiorire questa inguaribile tristezza, renderla viva e comica.
Sarebbe bello ridere di tutto, senza avere più paura nel cuore.
Sarebbe bello imbroccare un cavallo vincente.
Sarebbe bello che la terra fosse piatta e infinita e il sole ci ruotasse intorno e che Dio vegliasse dall’alto, sopra il settimo cielo e alla fine degli eoni la Città Celeste scendesse dall’Empireo e sostituisse quella Terrena.
Sarebbe bello che l’eternità si sentisse eternamente, che le foglie cadessero senza cadere e i morti tornassero a vivere, giovani, sani e felici.
Sarebbe bello trovare sollievo infinito e sollevare la testa senza avere vertigini, perché tutto rimarrà così per immemorabile tempo.

Nella mente di un turista, tra un rutto, una scoreggia e un ticket per un giro in barca, non passa nulla, solo la beatitudine animale di essere lontani dal lavoro una settimana.
Che cosa passa nella mente di un terrorista?
I turisti sono dalla parte giusta della vita. Loro sono la vita. Il terrorista è la morte.
I turisti hanno diritto alla frittura di pesce e alla gita in pedalò, cazzo.
È nel turismo che si rivela la parentesi di morte nel quadro più generale di disfatta dell’intelletto.
La nascita di obbrobri come l’Isis è la diretta conseguenza dell’allargarsi a macchia d’olio della scempiaggine umana. A sovrapproduzione di esperienze fasulle, come le esperienze turistiche, si sviluppano per reazione, follie dettate dal risentimento da esclusione al parco dei divertimenti mascherato da religione e abilmente pilotate da interessi internazionali.
L’individuo è annullato da queste forze. Zombi contro fanatici. So già chi vincerà.
Gli zombi sono infinitamente più numerosi. Non è auspicabile la vittoria di nessuno dei due, ma dovendo scegliere il meno peggio, io sto con gli zombi.

Ho avuto per qualche istante la percezione precisa che la vita è tutta qui e non c’è altro e che qualunque pretesa metafisica è un’illusione, una specie di ubriachezza del pensiero e delle emozioni. La vita è tutta qui, non significa una limitazione, ma la percezione di una potenza immensa, agghiacciante nella sua sconfinatezza. È come se ciascuno di noi, per qualche motivo, entrando in questo mondo, fosse stato ammesso alla Presenza del Reale.
Questa Presenza è talmente incredibile, come essere esposti a un sole bianco accecante, che la mente crea subito trucchi per adattarcisi.

 C’è un bellissimo libro di Pär Lagerkvist che si intitola Ospite della Realtà. Il titolo, da solo, costituisce un programma. È la biografia dell’autore stesso, premio Nobel nel 1951. Ciascuno di noi, però, non è altro che questo: un ospite della realtà.

Sogno che un giorno sarò fuori da questa confusione e vedrò e sentirò la vita in modo più bello e più chiaro. Sogno che questa “notte oscura” che sto attraversando diventi un tesoro prezioso. Ma sono anche consapevole che tutto questo potrebbe essere soltanto l’ennesima illusione, la pretesa di un lieto fine, la riuscita eroica di chi dal dolore arriva all’illuminazione. Potrebbe essere, in sostanza, l’ennesima presa per il culo.
Viviamo nella pretesa dell’estasi catartica, del progresso infinito, del “per aspera ad astra”.
La vita però non è così. Non è lineare, consequenziale, non ha trama, né necessariamente lieto fine, non ha necessariamente consolazione e neppure necessariamente desolazione inevitabile. È la pretesa della catarsi che ci frega. La catarsi avviene solo se lasci la presa.
In altre parole, la pretesa della catarsi potrebbe essere frutto dell’ennesima sottile arroganza che ci fa credere centro degli eventi.
È esemplare l’errore che fece DFW quando cercò di eliminare gli antidepressivi. La sua mente si ottenebrò completamente. La sua pretesa letteraria filosofica psicoanalitica che ci fosse una luce alla fine del tunnel, che si potesse attuare un processo junghiano di individuazione, lo tradì. Potette sfuggire alla sofferenza devastante solo uccidendosi.
È pericoloso giocare con i concetti. In genere la gente si salva perché non pensa così tanto.
Vuole solo vivere, poche cose, semplici, delineate. Se appena si pretende di più, si cercano astrazioni inarrivabili come il “genio”, l’“arte”, il “sublime”, la “catarsi”, il “nirvana”, il gioco può diventare pericoloso.