Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 21 luglio 2011

Big Bang, quasars e altri splendori e miserie di un universo tolemaico



 Non temere mai di dire cose insensate. Ma ascoltale bene quando le dici.
                                                                       L. Wittgenstein

C’est ci n’est pas astronomie

Da qualche parte, il critico letterario americano Harold Bloom ha detto che psicologia e cosmologia, nei tempi antichi, erano una cosa sola: cioè il modo di intendere l’universo è strettamente legato al modo di vedere noi stessi e viceversa. Questa unità è presente anche oggi. Qui la matassa è particolarmente ingarbugliata e dipanarla è compito che esige la più alta attenzione e ciò va sicuramente oltre le mie modeste capacità: pure mi ci provo, piano piano, come se, dal caos originario di una nebulosa, dovessimo formare una galassia di qualche rispetto, stella per stella, ammasso per ammasso, quasar per quasar.
Il risultato finale, qualora dovesse essere raggiunto, sarà il paradosso di un inferno ordinato.

Un universo tolemaico è un posto che si adatta perfettamente a una visione del mondo univoca. È tagliato perfettamente su un unico punto di vista, il centro. Da questo centro si dipana un cosmo nel quale ogni cosa è al posto giusto.
Una simile limitata visione, si dice, è stata superata da secoli. Da Galileo in poi sappiamo di non essere più il centro di tutte le cose e che l’umanesimo è una faticosa conquista.
E le cose, lungi dall’essere al loro posto, rigurgitano, si spostano, si confondono.
Finita l’epoca  delle “grandi narrazioni” (religione e ideologia), viviamo nell’epoca della spettacolarizzazione del passato. Così si dice, almeno.

Il passato è merce di scambio, nostalgia di un’Età dell’Oro mai avvenuta, ma che può essere venduta e comprata. Ti vendo e ti compro i bei tempi di mamma e papà, oppure la bellezza dell’ideologia comunista ai tempi di Lenin, o la giovinezza ardita delle camicie nere. Nostalgia per tutti i gusti.
La tecnologia è essenzialmente un mezzo per accedere sempre meglio al Passato, o più precisamente, all’idea del Passato come “grande narrazione”.
L’unica “grande narrazione al presente” che permea ogni strato della società odierna è la democrazia, la democrazia americana e quella europea. Ma quella europea dipende in larga misura da quella americana.

Si dice ancora che le epoche arcaiche vivessero in un eterno presente, nel quale vita, morte malattia e destino coesistevano in una totale accettazione da parte dell’individuo.
Si racconta poi che la modernità ha preso come direzione il Futuro e il Progresso, concetto tanto criticato dal “moderno” Leopardi.
Adesso, proseguono a dirci, viviamo nella postmodernità (sempre che una cosa simile esista per davvero) che, non avendo più punti di riferimento, si rivolge, paradossalmente, solo al fantasma del Passato come punto d’arrivo.
In altre parole, il centro verso cui siamo diretti è un Passato mascherato da Futuro.

La gente non si preoccupa normalmente della qualità della sua concezione esistenziale, lobotomizzata com’è da serie Tv e fiction su extraterrestri, mafie, madri coraggio e medici senza frontiere. Il mondo, per loro, è un campo di battaglia tra il Bene e il Male (maiuscoli), che (per quanto doloroso, problematico ed eventualmente in parte migliorabile) è giusto così com’è.

Combattere il Male (maiuscolo) implica fare cose sgradevoli, tipo scatenare guerre e introdurre misure sociali repressive: il tutto sotto l’egemonia statunitense con le sue gerarchie televisive. Le fasce più deboli non esistono più, in quanto non sono mediaticamente rappresentabili.  Raramente i poveri sono protagonisti di qualche cosa in TV e poiché la TV è il mondo, i poveri esistono solo in quanto merce di scambio tra organizzazioni umanitarie.
Oppure, peggio ancora, come nazioni arretrate da tenere sotto controllo in quanto potenziali stati canaglia.

A distanza di quasi dieci anni dall’11 settembre 2001, la spinta propulsiva di quel grande evento si sta gradualmente esaurendo: rimane però l’immane stupidità manicheista che pervade la società e il pressoché totale azzeramento dei diritti sociali delle fasce più deboli della società democratica. Da questa situazione difficilmente si tornerà a qualcosa di simile al XX secolo. Ormai il più è fatto. Un Altro Mondo Non È Più Possibile.

The Big Event 2001 è stato usato come Esplosione Originaria della Grande Rivoluzione del XXI secolo: la presa del potere mondiale da parte delle èlites. Da quel momento (anche se i prodromi hanno origini molto più lontane) milioni di esseri umani sono diventati consumatori e fruitori dell’Unico Pensiero possibile. Ogni accesso al contraddittorio è scivolato nelle plaghe di Internet e in nessun altro luogo. Chi vuole può accedervi e trastullarsi con l’indignazione: nulla tratterrà le generazioni ipoalfabetizzate e americanizzate a venire, dal tornare gradualmente a credere nella terra piatta. Padroni e schiavi, tutti ugualmente ignoranti, si consumeranno a vicenda in una finale esplosione di idiozia.

In questa epoca di caos conservatore, in cui élites privilegiate decidono cosa il peone deve pensare, la credenza nella Teoria del Big Bang, ha preso il sopravvento su ogni altra teoria cosmologica, divenendo così una delle ultime “grandi narrazioni” insieme alla Democrazia, che riunisca in sé l’immagine attuale di questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo postmoderno.
Tra questi capisaldi si snocciola la, peraltro noiosa, storia tra la fine del II e l’inizio del III millennio.

Il Big Bang fa rientrare di schiena, dalla finestra della cosmologia, quell’universo tolemaico cacciato dalla porta secoli fa. È un universo tolemaico al contrario: non siamo più noi il centro da cui si dipana il tutto, e oltre questo tutto c’è Dio, ma questo centro, posto ormai irrimediabilmente al di fuori di noi, possiamo vederlo, possiamo crederlo. E Dio è non più sopra noi, oltre il cielo delle stelle fisse, ma dietro e all’origine. Grazie ai radioelescopi, possiamo vedere (secondo la teoria del Big Bang) sempre più chiaramente (o presumere di vedere) l’Origine, distante e indietro nel tempo.


La Grande Esplosione è il simbolo dell’Origine della Potenza dell’esistente così com’è.
È suprema giustificazione del Potere. In altre parole, il Potere non è più trascendente, ma immanente. Permea ogni cosa.
Nella vecchia Unione Sovietica avrebbero definito il Big Bang (forse lo hanno fatto davvero) una teoria borghese.
In effetti, in URSS si dava più credito alla Teoria dello Stato Stazionario.
Nella Teoria dello Stato Stazionario la materia veniva in continuazione creata, non si sa come né dove, man mano che la materia vecchia decadeva. L’universo non ha un vero inizio né una vera fine e un suo punto è equivalente a un altro. Non è dunque un universo gerarchico.
Nel Big Bang, il Centro da cui tutto si dipana, il punto bianco dell’esplosione originaria, è contemporaneamente davanti e dietro a noi. Siamo noi a osservare il centro, mentre ce ne allontaniamo. Così come siamo noi a muoverci istintivamente, emotivamente, verso il centro del Potere, senza poterlo raggiungere e cogliere nella sua essenza.

Qualunque ricerca del centro è il grande rimpianto dell’universo tolemaico.
Si ricerca il centro per coincidere finalmente con qualcosa di definito: il Potere, da cui dipendere, il Dio creatore che, pur avvilendoci, ci protegga dallo smarrirci in un universo senza senso nel quale rischieremmo di doverci assumere la responsabilità delle nostre vite.
Se Tutto ha soltanto 13, 7 miliardi di anni, Tutto è iniziato in un momento, per quanto distante, concepibile. E dunque, se è concepibile, ha un senso. Un universo senza inizio e fine, quello sì che non avrebbe senso. 13,7 miliardi di anni o il 4004 a. C. placano l’angoscia di chi ricerca il Potere. Dona loro un senso e una giustificazione.
Per inciso, l’angoscia di chi potere invece non ne avrà mai, non può mai essere placata, ma solo sedata.

L’avvento della credenza senza alternative nel Big Bang ha coinciso con una delle epoche più conservatrici della storia. Conservatorismo tecnologico, si potrebbe definire. Arcaismo tecnologicamente equipaggiato, direbbe Debord.
Il Big Bang soddisfa l’inconscio creazionista di molti scienziati, mette d’accordo i monoteismi con la scienza, perché se c’è Origine, sia pure esplosiva, un Originatore deve esserci. Il dubbio che l’universo non abbia inizio né fine, ma sia scandalosamente aperto deve essere combattuto, pena la perdita di ogni centro mentale di potere.
Il vecchio universo senza inizio né fine di Nietzsche, il mostro caotico della volontà di potenza, non può soddisfare in nessun modo la collusione definitiva tra il potere tecnologico-finanziario delle élites (cui la scienza “ufficiale” appartiene) e il vecchio, decrepito, ma sempre vivo, potere religioso. I neo buddisti possono bensì accontentarsi di un universo oscillante, purchè ci siano Big Bang e Big Crunch, Big Mac e Big Tasty in oscillazione. I più disperati nichilisti ricorrono alla Materia Oscura e al Big Rip. Tutto finirà in niente, anche il più piccolo protone. Questa malinconica fine appaga tutt’al più qualche scienziato, ma non certo le masse. Per le masse c’è solo la televisione.

1 commento: