Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

lunedì 23 gennaio 2012

Umano e nuovo umano


Immaginatevi di essere completamente soli, in mezzo a sterminate miglia quadrate di oceano. Muraglie d'acqua tutto intorno, che diventano ancora più alte, insidiose e terribili quando c'è tempesta. Immaginatevi cattedrali sconvolgenti di nuvole all'orizzonte, contrafforti di cumuli, neri o bianchi o rosso fuoco, smisurati  quando il sole tramonta o albeggia. Immaginatevi dentro un bialbero di 11 metri, tra corde, vele, cime, rande, condannati al costante su e giù del moto ondoso o a angoscianti momenti di calma di vento, quando il silenzio dell'universo incombe: ancora peggio se è notte e le stellate in mare aperto sono fredde e assolute, quando non c'è luna.
Ma soprattutto immaginatevi la solitudine. Solo voi e nessuna cosa intorno che sia umana: solo la cosiddetta natura, indifferente, colossale, da sentirsi un niente.
Adesso immaginatevi di avere 16 anni e di essere una fresca e carina ragazza olandese. Siete partite 366 giorni prima dalle Antille e siete tornate un bel giorno di gennaio dopo aver girato intorno alla Terra, via oceano. Avete segnato tutto sul vostro blog, con le vostre impressioni, le voste foto e siete contente: erano due anni che volevate fare questo giretto.
Ma allora ne avevate soltanto 14, di anni.
Il vostro papà sta passando un guaio giudiziario per avervi fatto partire per cotale impresa. Magari vi affidarenno ai servizi sociali.
Se la vostra non è solo immaginazione siete Laura Dekker e siete nate nel 1995.
Siete un esemplare di sesso femminile di una nuova varietà umana. Quella che non sente il peso del proprio nulla in mezzo al mondo. Quella che nell'età dello sviluppo ha un io inaccessibile, duro come la pietra.
Io mi inchino di fronte alla nuova razza umana.

Quanta differenza con la vicenda di Crowhurst, Tetley, Mortissier e Knox Johnston, partiti per la Sunday Times Golden Globe Race del 1968, una regata mondiale di poco più di quarant'anni fa.
E' interessante (per me) notare lo sforzo atroce, la solitudine, la fatica di questi uomini duri di quaranta, cinquant'anni, soli sui loro bialberi o trimarani. Uno è naufragato (Tetley) e , salvato a stento, in preda alla depressione, si è suicidato due anni dopo; un altro (Crowhurst) è impazzito e si è buttato fuori bordo. Hanno ritrovato la barca vuota, dondolante in mezzo all'oceano.
Knox Johnston (unico) ha completato il giro e ha lasciato il premio di 5000 sterline alla vedova di Crowhurst.
Mortissier, a un certo punto ha invertito la rotta per la Gran Bretagna e si è diretto a Sud, per tornare in Australia: così, per amore del mare, rinunciando a premi o quant'altro. Quel lucente abisso lo attirava troppo.
Ma è soprattutto Crowhurst a costituire un caso, direi, letterario.
Partito per risollevare economicamente le sorti sbilenche della sua impresa commerciale, si dimostò da subito inadeguato per una tale regata di tale portata. Decise allora di fingere di compiere una navigazione che non stava affatto percorrendo. Rimase in mezzo all'oceano per 243 giorni, redigendo un falso log (blog deriva proprio da logbook=diario di bordo), simulando tragitti fasulli.
Quando il percorso reale della regata inizò a coincidere con la sua vera posizione, a circa 700 miglia dal'arrivo, cominciò a sviluppare una serie di alterazioni mentali.
Ruppe la radio di bordo, isolandosi definitvamente, e si lasciò andare alla deriva verso il vicino Mar dei Sargassi.
Probabilmente prese questa decisione divorato dai sensi di colpa per il suo sporco imbroglio, per la sua inadeguatezza umana, perché affrontare la sua famiglia, bisognosa dei soldi, del suo riscatto personale, di lui, era diventato un pensiero intollerabile.
Il diario di bordo comincia a riempirsi di strane annotazioni, Crowhurst comincia a elaborare cosmologie nelle quali esseri celesti giocano con la verità, il bene, il male, la vita dell'uomo.
"Condurre una barca in mezzo all'oceano" scrive Crowhurst" è esattamente come vivere. Le regole che in terra sembrano di Dio, qui, diventano regole di Satana. Non esiste bene o male, ma solo la verità."
In un altro punto scrive "A un certo momento comprendi che pregare Dio (se esiste) non serve a niente. Einstein ha cambiato la natura del mondo fisico con il pensiero. Quello che ha fatto Einstein lo può fare chiunque, se si applica con sforzo e volontà"
La sua disperata condizione di uomo sbagliato, lo condusse a una strana e paradossale fiducia nell'umanità in generale. Crowhurst ebbe l'intuizione che il successivo stadio dell'evoluzione umana sarebbe stato liberare la mente dalle limitazioni del corpo.
Una delle ultime annotazioni sul log,  scritta poco prima di buttarsi fuori bordo e lasciarsi inghiottire dall'oceano, è questa: "La natura non consente a Dio di compiere alcun peccato, eccetto uno - Nascondersi."
Crowhurst ritenne di essere in uno stato di illuminazione e si sentì in dovere di lasciare queste annotazioni per l'umanità futura, per ogni futura (aggiungo io) piccola Laura Dekker che non teme l'oceano, né (così giovane, così forte) sé stessa.
Lei ha raccolto l'insegnamento. Non ha bisogno di sbagliare, né di mentire a sé stessa.
Lei è di un'altra razza, più forte. La razza degli uomini che giocano.
Fino alla fine del mondo. E senza avere letto un rigo di Nietzsche.
Facciamole posto.

7 commenti:

  1. Come sai, s'è creata questa regola da me che meglio scrivo meno commentano.
    Credo che questo tuo racconto, quindi, dovrebbe rimanere senza commenti, perché è un racconto veramente bellissimo. Te lo scrivo, solo per fartelo sapere.
    Smuovi qualche leva, o qualche comando del blog, e mettimi sto commento inopportuno nei numeri negativi, così rientrano la pancia e l'inghippo.

    ilDin: -1

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  2. Bellissima storia che hai saputo raccontare molto bene, concordo con Dinamo.

    Della storia di Crowhurst invece venni a conoscenza tramite un romanzo di Jonathan Coe dal titolo "I terribili segreti di Maxwell Sim", in cui, per via indiretta, viene raccontata la sua vicenda, peraltro contribuendo ad arricchire parecchio il valore del romanzo che, pur non essendo complessivamente male, lascia un po' a desiderare in un finale tirato via frettolosamente.

    @ dinamo
    A volte ci sono dei post che, proprio perché scritti ed elaborati bene, risultano talmente autoconclusivi da non necessitare di commenti aggiuntivi. :-)

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  3. @Biancaneve

    Lo so, però ormai mi diverto troppo a farne un leitmotiv. Penso che andrà avanti ancora qualche ora. Poi mi stufo, davvero, ci vuole solo tempo :-)

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  4. Grazie per i complimenti, ma sento che avrei potuto svilupparlo meglio.
    La storia di Crowhurst è da un po' che mi frulla dentro perché è veramente universale.
    La storia di questa poco più che bambina che se la gira da sola in barca a vela per gli oceani, mi sgomenta. Non c'è nulla di più spaventoso del mare aperto, chiunque abbia navigato almeno una volta lo sa. La solitudine è assoluta e se si è in mezzo a una folla di crocieranti o traghettanti, va bene. Ma soli con sé stessi, beh, richiede un equilibrio mentale notevole.
    Io, poi, soffro di attacchi di panico, per cui anche la solitudine affollata di una tangenziale certe volte mi crea problemi ... figuriamoci l'oceano aperto. Eppure è in quelle condizioni che si vede la verità del mondo, come diceva Crowhurst. Niente bene o male, solo la natura del formidabile.
    Queste cose mi affascinano molto di più dei battibecchi di qualche aspirante scribacchino di palazzo.
    Ciao

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    1. Mi dispiace che soffri di attacchi di panico, anche a me è successo qualche episodio del genere e so cosa significhi.
      Più che gli spazi aperti però a me mettono angoscia quelli chiusi ed affollati. Pensa che qualche anno fa sono rimasta chiusa in un piccolo ascensore insieme a due colleghi di lavoro, nel palazzo c'eravamo solo noi perché era un palazzo di soli uffici ed era venerdì sera in ora di chiusura, quindi nessuno sentiva l'allarme. Alla fine, fortunatamente, siamo riusciti ad usare il cellulare e a chiamare i carabinieri, che ci hanno inviato i vigili del fuoco. In tutto però siamo rimasti bloccati quasi un'ora ed è stato poco piacevole (il panico però, ad eccezione dei primi minuti, poi sono riuscita a controllarlo).
      Trovarmi sola in uno spazio aperto, immenso, quale può essere il mare, ma anche l'alta montagna, invece penso che mi provocorebbe qualcosa di ancora più profondo, sgomento, angoscia, non saprei come definirlo, qualcosa capace di atterrirmi ed annichilirmi completamente...
      Pensa che a me ha messo angoscia anche la visione di "2001: Odissea nello spazio", e proprio per l'idea dell'infinito, dello spazio smisurato, dell'impossibilità dell'essere umano di poter comprendere ed afferrare l'ignoto dell'universo.
      Diciamo che sono due sensazioni diverse, anche se simili: trovarsi in uno spazio chiuso è una sensazione terribile, ma in qualche maniera comprensibile, afferrabile. Trovarsi nella vastità di uno spazio smisurato invece provoca il terrore di non poter comprendere il tutto e quindi fa sentire impotenti, vulnerabili.
      Ad ogni modo la ragazza che ha compiuto l'impresa deve aver avuto qualcosa cui aggrapparsi fortemente: la passione per il mare e il suo sogno di riuscire a farcela.
      Credo che i sogni - per quanto aleatori - rimangano alla fine l'unica cosa davvero salda cui aggrapparsi. Di nulla si può essere certi, tutto è destinato a mutare, sparire, ma i sogni invece, paradossalmente, ci restituiscono il senso della pienezza del nostro essere.

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  5. Gli attacchi di panico e in generale l'ansia, sono bruttissime compagnie che da un annetto non riesco a togliermi di dosso ... se non rinuciando a fare alcune cose.
    Ma vabbé, ognuno ha le sue ... comunque ci farò sopra un post, prima o poi.

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    1. Leggerò con interesse il tuo post.
      Tieni presente che l'ansia e gli attacchi di panico sono delle risposte - spesso, paradossalmente, le migliori che la mente riesce a concepire in un certo momento e spesso una salvezza, anziché un problema, o almeno è così che le interpreta la mente, come una risposta data per sviare l'attenzione da ciò che in un dato momento si preferisce non affrontare - l'unica è riuscire ad individuare quali sono le vere domande.
      Dici che sei costretto a rinunciare a fare alcune cose: probabilmente il tuo inconscio ti sta dicendo che è meglio rinunciare a fare determinate cose piuttosto che farle, il che magari ti condurrebbe ad affrontare determinate conseguenze.
      Non voglio fare della psicologia spiccia, da giornaletto di gossip di serie B, ogni caso è a sé, però le psicopatologie spesso rispondo a questi meccanismi di difesa.
      Un saluto e spero che passi tutto presto. Comunque sì, indubbiamente, ognuno ha le sue: l'uomo moderno è il nevotrico per eccellenza. :-)

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